giovedì 4 agosto 2016

Né il voto, né l'applauso

Una delle prime regole della politica – dicono – è quella di non ammettere mai di essere rimasti sorpresi. Io non sono un politico e, quindi, confesso senza imbarazzi che l’uscita di Honsell che decide di aderire ai comitati per il sì alla riforma costituzionale mi lascia sbigottito, sia per quanto il sindaco di Udine ha detto in più occasioni pubbliche, sia soprattutto per il modo in cui è arrivato alla decisione di schierarsi pubblicamente con Renzi.

E partirei proprio da qui perché, anche se nell’intervista il sindaco vuole specificare che non associa il suo sì alla fedeltà al presidente del Consiglio, appare quantomeno rimarchevole il fatto che questa sua decisione arrivi come velocissima risposta a una lettera con la quale il ministro delle Infrastrutture Graziano Del Rio, il sottosegretario e direttore dell’Anci Angelo Rughetti, e il senatore Roberto Cociancich, coordinatore del Comitato nazionale per il sì, invitano i sindaci a sostenere la riforma costituzionale. Sono tre esponenti di spicco del renzismo più appassionato e fedele (e viene da ridere a pensare che la Boschi diceva che l’Anpi, in quanto ente pubblico, non doveva prendere posizione) e a Honsell – al quale tutto si può rimproverare, ma non il fatto di essere uno sprovveduto – non può non apparire per l’ennesima volta evidente che la cosiddetta riforma è stata voluta non dal Parlamento, né tantomeno dal fantomatico “popolo”, ma solo ed esclusivamente dal presidente del Consiglio pro tempore lusingato dal 40 e passa per cento raccolto alle Europee e ora imbarazzato fortemente dal risultato delle comunali – e soprattutto dei ballottaggi – tanto da far dire ai suoi fedelissimi e anche al suo protettore Napolitano che l’Italicum dovrà essere cambiato. Ma evidentemente solo dopo il referendum.

Eppure sia in piazza Libertà per il 25 aprile, sia in altre occasioni pubbliche colui che ora si schiera apertamente per il sì aveva sostenuto che la Costituzione nata dalla Resistenza andava rinnovata e migliorata, ma non stravolta e – tra tante altre cose – che non doveva derivare dalla volontà di un esecutivo, ma da quella del popolo.

Altra cosa che colpisce molto è la serie di giustificazioni che offre per la sua scelta. Comincia dicendo che in un momento complicato come l’attuale ritiene «poco costruttivo rifiutare la proposta del Parlamento». Ma dimentica che la proposta è della maggioranza e non del Parlamento visto che tra gli altri della minoranza (?) ha ottenuto soltanto i salvifici voti dei verdiniani e che il progetto complessivo spesso è andato avanti con fiducie e supercanguri.

Poi afferma che l’eventuale sì «rafforza l’immagine dell’Italia nel mondo in un momento di grande incertezza a livello europeo con la Brexit e a livello mondiale con il terrorismo. In questa condizione – continua – è importante avere un Paese forte che vuole cambiare e questa scelta è la migliore». Al di là del fatto che nessun cambiamento, a prescindere dalla sua qualità, rafforza l’immagine di qualsiasi Paese, perché altrimenti con le stravaganze di Berlusconi l’Italia sarebbe diventata la prima potenza mondiale, questa affermazione mi richiama alla mente quel documento di 16 pagine, diffuso nel 2013, in cui gli economisti del gigante finanziario americano JP Morgan elencano le modifiche che loro vorrebbero far apportare nell’area euro per superare la crisi del debito e che sembra ispiratore della riforma Renzi­Boschi; in quelle pagine gli economisti hanno detto, senza giri di parole ai governi europei che «Dovete liberarvi delle vostre costituzioni sinistroide e antifasciste». Vi riporto un altro passo del documento: «I sistemi politici e costituzionali del sud presentano tipicamente le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche».

Un’altra accusa che da sempre ho rivolto all’iniziativa di Renzi e che ora non posso evitare a Honsell è quella di aver voluto spaccare irrimediabilmente il centrosinistra nel nome di un cambio di Costituzione che rafforza sempre di più i poteri dell’esecutivo e che si muove in un tracciato che è certamente molto più vicino alle idee del centrodestra. Capisco benissimo che Honsell è già stato eletto per due volte alla carica di sindaco e che non può più ricandidarsi, ma speravo che il suo sguardo andasse anche oltre la sua persona e che si allargasse al bene del centrosinistra non come area in cui raccogliere voti, ma come catalizzatore di idee socialmente ben indirizzate. La drammatica spaccatura nel centrosinistra prodotto da Renzi in Italia (ricordate i milioni di persone indubitabilmente di sinistra che non vanno più a votare: l’Emilia Romagna è soltanto un esempio) ora si riprodurrà senza più esitazioni anche nella nostra regione. Ed è vero che io dico quello che penso e che il mio voto vale soltanto uno, ma è altrettanto vero che in democrazia ogni voto è importante perché rivela un’idea e che è la sommatoria di tante individualità che decretano una vittoria, o una sconfitta.

Un’ultima annotazione: abbiamo applaudito convinti i discorsi che Honsell ha fatto in tanti 25 aprile in piazza della Libertà e lo abbiamo sostenuto quando moltissimi lo accusavano perché voleva mantenere vivi i frutti della Resistenza. Mi domando cosa potrà dire il prossimo 25 aprile. A prescindere da chi avrà vinto il referendum. Non fosse sufficientemente chiaro, non avrà più il mio voto, né il mio applauso.

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