lunedì 16 maggio 2016

Chi personalizza davvero

Dire che non ce lo aspettavamo sarebbe una falsità, ma da dilettanti occasionali nel campo delle bugie non possiamo che guardare con ammirazione un vero professionista, forse un fuoriclasse, che, dopo aver annunciato più volte ai quattro venti che se al referendum costituzionale dovesse vincere il no lui si dimetterebbe, ora con una faccia tosta da record afferma: «Personalizzare lo scontro non è il mio obiettivo, ma quello del fronte del no che, comprensibilmente, sui contenuti si trova un po’ a disagio». So che è difficile crederlo, ma non è in dubbio perché è stato scritto, in un passaggio della sua e-news, dallo stesso Matteo Renzi.
 
Purtroppo stiamo già vedendo altri segnali di quella che Renzi renderà una lotta fatta di colpi bassi possibili per chi ha il potere in mano (stanziamenti ai comitati del sì dai gruppi parlamentari del PD, probabile raddoppio dei giorni di votazione, impari distribuzione degli spazi informativi su giornali, radio e televisioni, donazioni e bladizie, come il raddoppio degli euro dati per ogni figlio, e tanti altri ne vedremo ancora), ma che pensi berlusconianamente che tutto si possa dire e poi negare ci sembra davvero eccessivo.

Dice nell’e-news: «Se vince il sì diminuiscono le poltrone; se vince il no restiamo con il Parlamento più numeroso e più costoso dell'Occidente». Renzi fa finta di dimenticare che la controproposta era quella di dimezzare sia Camera, sia Senato e che i risparmi sarebbero stati ben più consistenti.

Continua: «Se vince il sì, per fare le leggi e votare la fiducia sarà sufficiente il voto della Camera come accade in tutte le democrazie; se vince il no continueremo con il ping-pong tra i due rami del Parlamento». È assolutamente vero che sarà soltanto la Camera a votare le leggi, ma la sua labile memoria gli impedisce di dire che, con una maggioranza assoluta ottenuta con un premio addirittura superiore a quello già dichiarato incostituzionale dalla Consulta, si potrebbe eliminare anche la Camera e lasciare ogni decisione direttamente al presidente del Consiglio. Gli consigliamo, comunque, di dare almeno un’occhiata a come funzionano le altre democrazie occidentali perché da nessuna parte il potere non ha quei contrappesi che ora si vogliono eliminare in Italia.

Aggiunge: «Se vince il Sì avremo un governo ogni cinque anni; se vince il no continueremo con la media di un governo ogni tredici mesi». Ma si guarda bene dal rilevare che con il combinato disposto tra cosiddetta riforma costituzionale e nuova legge elettorale, potremmo anche correre il rischio di trovarci di fronte a governi che durino un ventennio.

E ancora: «Se vince il sì avremo meno poteri alle Regioni; se vince il no continueremo a avere venti burocrazie diverse per trasporti, infrastrutture, energie, promozione turistica all'estero. Se vince il sì i consiglieri regionali non guadagneranno più dei sindaci». E serve massacrare un’intera democrazia per effettuare dei mutamenti che avrebbero potuto essere realizzati senza cambiare l’intero impianto costituzionale e senza mettere a rischio l’intera democrazia? Più di sessanta costituzionalisti e oltre dieci presidenti emeriti della Corte Costituzionale non sono assolutamente d’accordo con lui.

Adesso comincia il giro delle questue: «Ho deciso – dice – che domani pomeriggio vado a Bari. Sarà l'occasione per firmare il Patto per Bari e al mattino firmiamo il Patto per l'Abruzzo all'Aquila e il Patto per il Molise a Campobasso». Anche in questo ricalca pari pari la strada percorsa dal suo maestro Berlusconi e, per coerenza non si lascia sfuggire nemmeno il “Meno tasse per tutti”. Si chiede, infatti: «Nonostante tutto, gli italiani pensano che le tasse siano aumentate. C'è qualcosa che non funziona, che dite? Sapete che mi fido molto di chi riceve e segue le e-news: mi aiutate a capire dove ho sbagliato?». Se posso azzardare una soluzione il suo errore lo individuerei nel fatto che gli italiani non sono tutti scemi e che per non sentire più la crisi occorrono lavoro, stipendi non umilianti e diritti. Le promesse e il millantato credito servono davvero a poco. Gli italiani se ne sono accorti anche con Berlusconi; perché non se ne dovrebbero accorgere anche con lui?

Ripeto quello che ho già scritto in altre occasioni: a me del destino politico di Renzi interessa poco o nulla, ma mi interessa moltissimo la democrazia in Italia e, quindi, il destino dei nostri figli e dei nostri nipoti.

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