venerdì 11 marzo 2016

Una frase per capire

Per comprendere cos’è il renzismo, nessuna spiegazione può essere più chiara e illuminante di una frase-slogan, pronunciata ieri, nel cantiere dell'ultimo diaframma della Salerno – Reggio Calabria, dallo stesso fondatore di questa ideologia che discende in linea diretta dal berlusconismo: «Ci vuole l'Italia che corre, non l'Italia che ricorre».
Chiara e illuminante perché nelle sue due concise parti spiega benissimo come la pensa e come agisce il presidente del Consiglio pro tempore che contemporaneamente è anche segretario del PD.
 

La prima considerazione, che scaturisce inevitabile dall’intero enunciato, è che, visto quello che sta accadendo, dato per assodato che Renzi è tutt’altro che stupido, l’unica alternativa possibile è che egli ritenga stupidi tutti gli italiani. Quando, infatti, uno dice, con sorridente arroganza, due scemenze insieme, se non le indirizza verso se stesso, inevitabilmente vuol dire che è convinto di poter fare da imbonitore nei confronti di tutti gli altri.

La scemenza iniziale – «L’Italia che corre» – è uno dei suoi cavalli di battaglia; anzi quello che gli è più facile da usare, visto che quello della rottamazione è da tempo che ha rivelato tutta la sua assurdità e il suo squallore. Ma il correre, la velocità, è un bene assoluto soltanto in poche, determinate circostanze, mentre nella quasi totalità delle altre – e nel governare certamente – porta con sé dei terribili rischi connessi alla fretta che impedisce di ragionare e che fa assumere decisioni personali come fossero quelle di tutti perché chi ha il potere di decidere finisce per ritenersi infallibile.

La scemenza successiva nasconde malamente una totale mancanza del rispetto delle regole perché «l’Italia che ricorre» non lo fa soltanto per ingannare il tempo, ma in quanto si trova di fronte a palesi violazioni. E disprezzare coloro che vogliono il rispetto delle regole porta con sé tutta una serie di conseguenze perniciose.

La prima è che ci si pone tra coloro che alle regole non tengono. Ma questo, dal punto di vista di Renzi, sarebbe il male minore visto che i nuovi ingressi nel PD non hanno mai brillato per il loro comportamento cristallino.

La seconda fa capire che all’attuale presidente del Consiglio interessa vincere, non come si vince, o perché si vince. Ma anche questa era una caratteristica alla quale i nuovi arrivati – quasi tutti dal disastrato campo berlusconiano – erano ben abituati e senza la quale si sentirebbero sicuramente a disagio.

La terza consiste nel fatto che, se l’esperienza ligure ha insegnato qualcosa, con i comportamenti di Napoli e di Roma, crescono a dismisura i rischi che anche in quelle due città si verifichi nuovamente quello che è già accaduto in Liguria: un PD – non riesco proprio più a chiamarlo centrosinistra – che va a perdere, sia perché alla sua sinistra si formano altri schieramenti, sia in quanto perde una grande quantità di elettori delusi, o schifati, com’è successo alle ultime regionali emiliane, dove il PD, partendo da un pronostico favorevolissimo, è riuscito a non perdere, ma ha visto l’affluenza alle urne sprofondare sotto il 50 per cento. E non è escluso che questa delusione finisca per riverberarsi anche sulle città non direttamente toccate dagli scandali che penalmente non hanno grande sostanza, ma eticamente fanno proprio schifo.

La quarta più che da Renzi, dipende da coloro che, a prescindere, ripetono – quasi comandati da un ventriloquo – le cose che Renzi pensa, ancor prima che le abbia rese pubbliche. Maria Elena Boschi che ripete a pappagallo quello che sente dal capo e che nasconde il suo vuoto dietro a una promessa di futura riflessione quando si trova davanti a una domanda inattesa, alla quale non era preparata; Matteo Orfini e Lorenzo Guerini che, più che anticipare, dettano la linea della cosiddetta commissione di garanzia del partito; Debora Serracchiani che, pur a disagio e senza mettersi troppo in mostra, conferma la linea del capo.
 

Renzi accusa «i gufi umani, quelli che pensano che si debba fare il tifo perché l'Italia non ce la faccia», ma sbaglia: quelli che lui chiama gufi sono, invece, italiani che sperano disperatamente che l’Italia non cada ancora una volta nelle mani dell’ennesimo imbonitore istituzionale.

Ho sempre avuto grande rispetto per coloro che hanno voluto restare nel PD per riconquistarlo dall’interno, ma dopo aver sentito l’onorevole Speranza – l’unico ossimoro composto da una sola parola – evadere la domanda su come voterà al referendum costituzionale ricordando che in aula ha votato “sì” e auspicando che Renzi graziosamente decida di ritoccare la legge elettorale, non posso non domandarmi, e domandare, se davvero sperano, con simili guide, di scalzare Renzi dal suo trono, o se non sarebbe meglio uscire definitivamente da un partito che di quello che era ha mantenuto soltanto il nome. Almeno i vari abbracci di Renzi con la destra non potrebbero più essere nascosti da frasi sul tipo «hanno votato con noi, ma non ne avevamo bisogno».

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