Spesso,
nel chiedermi perché l’interesse degli italiani per la politica sia
così profondamente cambiato da quarant’anni a questa parte, mi viene
naturale aggiungere alla delusione e alla riprovazione per il
comportamento di molti politici, anche la scarsa voglia di impegnarsi in
quello in cui si crede.
E, conseguentemente, conscio
dell’influenza che la cultura cattolica ha avuto su questo Paese, anche
sulla fetta dei non credenti e praticanti, mi chiedo quanto abbia
influito su questo atteggiamento mentale la formulazione dei dieci
comandamenti che, tranne che per “Onora il padre e la madre” e
“Ricordati di santificare le feste”, hanno tutti una formulazione
negativa, di proibizione. Mi chiedo insomma, quanto sarebbe diverso il
nostro Paese, anche dal punto di vista etico, se, per esempio, invece di
“Non uccidere” fosse stato scritto “Aiuta il tuo prossimo a vivere”;
oppure se, invece di “Non rubare”, la prescrizione fosse stata:
“Contribuisci equamente al bene di tutti”.
La risposta è che, inevitabilmente
saremmo tutti molto diversi in quanto oggi, perché uno si senta a posto,
è sufficiente che sia convinto di non aver fatto del male; non
necessariamente si sente in obbligo di accollarsi la fatica di fare del
bene. E, in politica, spesso preferisce non impegnarsi e addirittura non
votare, piuttosto che metterci la faccia ed effettuare una scelta che,
come tutte le scelte, può anche essere sbagliata, ma che è la
caratteristica principale che distingue il cittadino dal suddito.
Oggi, con l’avvicinarsi del
referendum sulla revisione costituzionale, questa necessità di
partecipazione non è più soltanto filosofica, ma diventa anche pratica
perché, se dovesse vincere il sì, la disarticolazione della seconda
parte della Costituzione si rifletterebbe inevitabilmente – e con
effetti disastrosi – anche sulla prima, quella dei “Principi
fondamentali” e su quella dei “Diritti e dei doveri dei cittadini”.
Perché l’architettura costituzionale è unica e tiene strettamente
intrecciati tutti i suoi elementi. Quindi non si tratterebbe soltanto di
ridurre ad assurdo mostriciattolo un ramo del Parlamento e di accettare
una legge elettorale sconsiderata, per aumentare il potere legislativo
del potere esecutivo, ma si andrebbe a incidere in maniera disastrosa
sul tasso di democraticità e di rappresentanza del nostro Paese che
sarebbe esposto, senza la Costituzione che ci ha già salvato da alcune
mire berlusconiane, a concreti rischi futuri.
È per questo che si deve votare no, a
prescindere se Renzi possa considerare una sua sconfitta la causa per
ritirarsi dalla politica. Quelli sono fatti suoi e di alcuni suoi amici,
mentre la Costituzione è un fatto nostro. Di tutti.
Ed è per questo che non ci si può
limitare a non fare nulla di sbagliato, ma bisogna agire – ognuno a
seconda delle proprie possibilità – perché il “NO” vinca. Ho ben
presente come ci commuovevamo e ci entusiasmavamo quando, per opporsi
alle violenze berlusconiane, i magistrati si presentavano
all’inaugurazione dell’Anno giudiziario tenendo tra le mani la
Costituzione. Non mi dispiacerebbe affatto, da qui al referendum, che i
parlamentari, i consiglieri regionali, provinciali e comunali che
credono alla nostra democrazia si presentassero nelle loro aule tenendo
in mano la Costituzione. E questo potrebbe essere allargato anche ai
personaggi pubblici e anche ai privati cittadini. Sembra poco, ma
sarebbe un modo per far sentire a tutti, anche a quelli che non leggono i
giornali e non ascoltano i telegiornali, che stiamo vivendo un momento
di estremo pericolo.
E il momento referendario potrebbe
essere anche un sistema per veder rinascere come partito di
centrosinistra quel PD che si sta trasformando sempre di più in un
movimento elettorale di centrodestra. Io vedo il PD come un vecchio
castello medievale, imponente con le sue alte e larghe mura e con il suo
solido mastio. Un castello che è stato assediato a lungo e che, a un
certo punto è stato conquistato dai nemici perché qualche traditore ha
aperto il portone e ha abbassato il ponte levatoio. Ora il castello è in
mano agli avversari e non si può far finta che non esista perché la sua
massa critica è imprescindibile se si vuol riuscire a riportare
l’Italia su quella che io ritengo sia la giusta via. L’unica strada è
attaccarlo dal di fuori, ma contando anche sull’aiuto di quelli che sono
rimasti al suo interno pur guardando con disapprovazione la bandiera
alzata dal nuovo dominatore.
La chiave giusta per unire queste
due forze può essere proprio la battaglia per il referendum, per la
salvezza della democrazia. Una battaglia da fare sempre tenendo la
Costituzione in mano.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
Verdini e i suoi
diventano determinanti al Senato per dare via libera alla riforma
costituzionale e Renzi, ineffabile, afferma che si tratta soltanto di
una cosa casuale e che non per questo Verdini entra in maggioranza. Ma
circa ventiquattr’ore dopo i verdiniaini sono “premiati” con tre
vicepresidenze di commissione. Questa volta le rassicurazioni di Renzi
appaiono difficilmente digeribili addirittura per la frantumatissima
sinistra del PD, ma molto probabilmente per l’ennesima volta l’ex
sindaco di Firenze continuerà a imporre le sue volontà senza eccessivi
problemi reali.
Il medesimo Renzi continua a
esaltare i cosiddetti “risultati raggiunti” e a tacere ostinatamente
sulle cose non fatte soltanto perché odorerebbero vagamente di sinistra e
rischierebbero di indisporre, oltre che Verdini, qualche alfaniano,
anche se non lo stesso Alfano che ha dimostrato capacità digestive degne
di uno struzzo.
Lui stesso, oltre che il ministro
Boschi, nuota sempre più al largo nelle perigliose acque del mare dei
conflitti di interessi, ma piuttosto che parlare di queste cose, per le
quali manca ancora una legge seria, preferisce presentare come nuova una
legge già esistente contro gli assenteisti e, per ulteriore
precauzione, fa di tutto per distrarre gli italiani ingaggiando un
scontro con Junker alzando vertiginosamente i toni su argomenti di tipo
europeo sui quali già da anni si discuteva, ma quasi soltanto per
ingannare il tempo.
Nel frattempo trova ancora
l’occasione di legare nuovamente il suo destino politico al risultato
del referendum costituzionale: «Se perdo il referendum, la mia carriera
politica finisce lì». Cerca, insomma, di far diventare plebiscito sulla
sua persona un referendum sulla Costituzione e, obbiettivamente, la
tentazione di cedere a questa lusinga ci sarebbe perché liberarsi in un
colpo solo dell’attentato alla nostra Costituzione e del capo della
fazione che cerca di abbatterla sarebbe davvero una bella prospettiva.
Ma a questa tentazione è necessario
resistere perché deve restare sempre chiaro a tutti che l’uscita di
scena da parte di Renzi in caso di vittoria degli italiani che vogliono
mantenere intatti i principi fondamentali che hanno ispirato i padri
costituzionali, sarebbe soltanto un effetto collaterale. Assolutamente
piacevole, d’accordo, ma pur sempre collaterale.
Deve restare sempre chiaro a tutti,
insomma, che al referendum non si andrà per confermare, o meno, la
fiducia a Renzi, ma per scegliere se mantenere intatti i caposaldi della
nostra democrazia, oppure per cambiarli. Ad alcuni potrà anche sembrare
giusto che qualche cambiamento ci sia, ma il voto deve mettere a
confronto proprio le due tesi contrapposte sulla democrazia e sulla
Costituzione, non su un piccolo personaggio che si sente grande soltanto
perché è riuscito ad arrivare a palazzo Chigi senza mai essere stato
eletto dagli italiani, ma soltanto, al massimo, da una parte dei
toscani, o dalla maggioranza di coloro che hanno partecipato alle
primarie del PD, spesso senza essere neppure vagamente vicini a quelli
che erano gli ideali fondativi del PD stesso.
Questo referendum deve essere
assolutamente focalizzato sugli aspetti democratici e costituzionali e
non su quelli politici perché soltanto così potrà diventare una specie
di vaccinazione democratica che potrebbe rendere impossibile continuare a
veder sedere sulla sedia del presidente del Consiglio altri energumeni
politici incapaci di pensare in termini di democrazia reale e non
soltanto di computo di voti che, tra l’altro, ormai, visti i profondi
mutamenti del quadro politico parlamentare rispetto alle ultime elezioni
– per la maggior parte indotti dallo stesso Renzi – hanno ben pochi
legami reali con quello che davvero pensano gli italiani e che, come è
stato dimostrato negli ultimi decenni, molto difficilmente i sondaggi
riescono a mettere a fuoco.
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L’anno del
referendum non comincia certamente sotto i migliori auspici politici. E,
del resto, non c’era nulla che potesse far sperare che le cose
andassero in maniera diversa perché, in realtà, agli attuali leader dei
partiti italiani l’ultima cosa che davvero può interessare è lo spirito
che che dovrebbe animare la democrazia.
Lasciamo pur stare Salvini (e la
destra che lo segue in quasi totale e imbarazzato silenzio) che, con la
finezza di analisi che lo contraddistingue, continua a cavalcare la
paura e l’odio etnico e religioso scagliandosi contro l’abolizione della
legge che prevede l’assurdo e giuridicamente inutile reato di
clandestinità, e anche plaude al rogo, sul pignarûl epifanico, di un
fantoccio vestito da combattente dell’autoproclamato califfato e afferma
che chi sostiene che questo gesto non era da fare è complice dei
terroristi.
Grillo, dal canto suo – forse
inconsapevolmente, o per abitudine – si arrampica sugli specchi di un
umorismo che non fa ridere nessuno difendendo la giunta cinquestelle di
Quarto Flegreo e sostenendo che il sindaco Rosa Capuozzo non deve
dimettersi perché i voti portati al suo schieramento dalla camorra non
sono stati determinanti per l'elezione. Come se tutto potesse dipendere
soltanto da un calcolo aritmetico. In una specie di riedizione del
latino "Pecunia non olet" in "Suffragium non olet": a non puzzare non
sono soltanto i soldi ma anche i voti.
L’equilibrista Alfano, con l’ormai
tradizionale faccia imperturbabile, afferma che la legge sulla
clandestinità (che lui stesso aveva convintamente fatto diventare legge)
è sbagliata, ma che ora non la si può toccare perché «La gente non
capirebbe».
E Renzi è sulla stessa posizione, ma
più esplicitamente sostiene che, cambiando questa legge, il PD
finirebbe per perdere voti. Attenzione: dopo aver sostenuto la necessità
di cambiarla, non dice di non avere i numeri per far approvare il
cambiamento alla Camera e al Senato, ma afferma che finirebbe per
rischiare di più alle prossime elezioni amministrative che già per lui
non si presentano dappertutto sotto i migliori auspici. Anche per Renzi,
insomma, l’aritmetica viene prima dell’etica politica.
Per tutti, dunque, l’importante non è
cercare il giusto e l’utile per il popolo, ma soltanto considerare con
attenzione la quantità di voti che si potranno guadagnare o perdere (in
percentuale, ovviamente, perché in cifra assoluta è da anni che perdono
tutti) nei futuri appuntamenti elettorali.
E, allora, non può entusiasmare
molto il fatto che Renzi dica che a ottobre sul referendum «Decideranno
gli italiani». Non può entusiasmare perché, intanto, non si capisce
cos’altro avrebbe potuto dire. E poi in quanto, se il modo di fare dei
nostri cosiddetti leader politici è questo, è molto difficile
comprendere - nel valutare schieramenti e propagande per quel voto -
quanto a loro possa importare che la nostra democrazia, con il combinato
disposto della nuova legge elettorale, cambi, venga stravolta, o
addirittura sia drammaticamente ridotta. L’importante resta
esclusivamente quanti voti si potranno lucrare sia con le vecchie
regole, sia con quelle che speriamo non diventino mai le nuove. Perché
comunque "Suffragium non olet".
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L’anno che è
appena cominciato sarà comunque uno dei più importanti nella storia
della nostra Repubblica. Nel 2016, infatti, gli italiani saranno
chiamati a votare per un referendum confermativo sulle nuove leggi
costituzionali volute da Renzi, approvate a maggioranza semplice, e
praticamente senza sforzi di mediazione, da un Parlamento eletto con una
legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte
Costituzionale, appunto. Il 2016 passerà comunque alla storia perché
sarà l’anno in cui gli italiani decideranno di salvare la democrazia
costruita dai propri padri e dai propri nonni, anche a costo della vita,
durante la Resistenza e la Liberazione, oppure di gettarla nelle
immondizie per fare spazio a una specie di democrazia oligodiretta,
sempre che di democrazia si possa continuare a parlare, visto che
l’eventuale approvazione delle nuove leggi, combinata con l’altrettanto
nuova legge elettorale concederebbe per cinque anni a chi vincerà tutto
il potere, compreso quello di continuare a cambiare le regole a seconda
di quello che riterrà più utile alla propria posizione.
Al di là delle considerazioni, pur
molto importanti, fatte da Eugenio Scalfari sulla totale mancanza di un
quorum richiesto per una consultazione così importante, la limpidezza di
questo referendum è macchiata in partenza da un atteggiamento che
prefigura già quello che potrebbe succedere: Renzi, infatti, ha
annunciato che se perderà il referendum si dimetterà subito dopo da
presidente del Consiglio. E, così facendo, ha già inquinato la scelta
tra un tipo di democrazia e un regime in gran parte diverso con una
specie di plebiscito sulla sua persona, sperando di recuperare voti
anche da coloro che non vedono attualmente alternative solide alla sua
leadership.
Non ci sarebbe da stupirsi, insomma,
se anche poco prima dell’appuntamento referendario, l’attuale
presidente del Consiglio pro tempore decidesse di dare i famosi 80 euro,
o i 500 euro una tantum, anche a qualche altra categoria, come ha fatto
all’approssimarsi delle elezioni europee e, adesso, quando appaiono
all’orizzonte quelle amministrative. Mance da finanziare, magari, con
ulteriori strette alla sanità dove le spese per i ticket sono diventate
tanto pesanti da far pensare se scegliere la sanità pubblica o quella
privata a chi i soldi li ha, o a far rinunciare a curarsi come si deve a
chi i soldi non li ha. E, a tale proposito, qualcuno dovrebbe soppesare
attentamente, senza ripararsi dietro il silenzio, i dati forniti
dall'ISTAT secondo cui nel 2015 il numero dei morti in Italia è
cresciuto dell'11,3 per cento con ordini di grandezza comparabili - come
scrive sul sito di demografia Neodemos il professor Gian Carlo Blangiardo -
con dati per i quali bisogna tornare indietro sino al 1943 e, prima
ancora, agli anni tra il 1915 e il 1918. In epoche diu guerra, insomma.
Il 2016 sarà un anno importante
anche perché si potrà vedere se davvero questa nazione ritiene ancora la
democrazia un bene primario, o se crede che sia preferibile rinunciare a
una fetta di libertà pur di sperare di avere in cambio qualche frazione
percentuale di Pil in più, pur sapendo che l’aumento di Pil ben
raramente va ad aiutare coloro che ne avrebbero più bisogno.
L’apparente scelta di Renzi di
dimettersi in caso di bocciatura referendaria (che poi sia una minaccia,
o una speranza dipende da quello che pensa ognuno di noi), inoltre, fa
capire che la propaganda governativa è già cominciata e che sarà
implacabile. L’unico modo per sperare di non restarne sepolti è quella
che tutti coloro che la pensano in maniera diversa diventino loro stessi
instancabili strumenti di espressione del proprio pensiero, in ogni
luogo e in ogni momento.
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