È ormai
stucchevole insistere sul raccapriccio che coglie qualsiasi persona di
sinistra nel vedere le scelte politiche volute da Renzi: talvolta può
ancora capitare di farlo, ma soltanto per rimarcare certi apici di
sfrontato leaderismo e incredibile faccia tosta nel dirsi di sinistra da
parte sua, o di ottuso servilismo da parte dei suoi fedelissimi. Per il
resto, la triste strada che attende il PD sembra abbastanza delineata:
un progressivo abbandono da parte degli iscritti ancora di sinistra, e
un contemporaneo afflusso di esponenti del centro e del centrodestra
affascinati sia dal potere del capo, sia dal fatto che è riuscito a far
passare cose che Berlusconi avrebbe fortemente voluto, ma che non aveva
mai ottenuto di far approvare. Insomma, non una dissoluzione, ma una
totale trasformazione in qualcosa che magari potrebbe anche mantenere il
vecchio nome, ma sarebbe in realtà quell’orrenda ammucchiata del
Partito della Nazione che porterebbe alla fine di quella democrazia
disegnata dai nostri padri costituenti e per la quale milioni di
italiani si sono battuti in circostanze diverse; più o meno pericolose,
ma che sempre hanno richiesto impegno e fatica.
Adesso se ne sono andati dal PD i
deputati D’Attorre, Galli e Folino che, per «mancanza di dialettica
interna», hanno raggiunto Fassina, Gregori, Mineo, Civati, Cofferati e
altri ancora, mentre restano dentro Bersani che ribadisce la sua
determinazione a cambiare il partito dall'interno, Cuperlo, Speranza e
molti ulteriori dissidenti che, però, sempre meno possono sperare di
riuscire a impossessarsi del timone di una barca la cui rotta tende
sempre più a destra.
E a questo punto credo sia più
importante guardare a cosa sta succedendo nella sinistra, quella al di
là del PD dove fin da subito baluginano i vecchi difetti che da sempre
ne hanno tarpato le ali. D’Attorre, infatti, ha annunciato una
manifestazione per proclamare la nascita di un nuovo gruppo parlamentare
formato da fuoriusciti dem e da esponenti di Sel. «Sarà – dice – una
vasta formazione di sinistra plurale e aperta. Sarà un’altra idea
dell’Italia. Metteremo in campo una nuova proposta politica». E
immediatamente Pippo Civati sente il bisogno di smarcarsi, di provare a
fare qualcos’altro, magari dopo aver sondato le intenzioni di Marino.
Potremmo limitarci a stigmatizzate il fondatore di Possibile, ma non
faremmo altro che perpetuare un antico difetto di tutti coloro che,
abituati a ragionare in base ai propri principi etici, sociali e
politici, hanno una forte difficoltà a scendere già in partenza a
compromessi con altri che, pur essendo per la maggior parte delle
prospettive molto vicini, si differenziano su alcuni punti che diventano
altrettanti spunti di incomprensione, di scontro e di allontanamento.
È una critica, ma anche una sincera
autocritica. Lo sforzo che si dovrebbe fare a sinistra è quello,
infatti, di ridurre al minimo possibile i punti di inconciliabilità tra
vicini e provo a muovermi su questa strada indicando quelli che per me,
aldilà della legalità, della giustizia sociale, dell’etica in economia e
del ripudio di ogni forma di aliofobia, sono momenti assolutamente
necessari.
Il primo è quello di una democrazia
interna che sia davvero reale e che, quindi, comporti che nessuno, dopo
aver partecipato a una discussione, possa affermare: «D’accordo, ma
comunque si deve fare quello che dico io». Il secondo è l’apertura, fino
a confronto avvenuto e a delusione comprovata, al dialogo costruttivo e
al tentativo di alleanza con ogni altro movimento, partito, o
associazione di sinistra. Il terzo è un comportamento privo di cadute di
stile, come quella purtroppo firmata da un personaggio pur coerente e
intelligente come Corradino Mineo con quel suo inaccettabile «lui sa che
io so». Il quarto è l’onestà politica che si estrinseca sia in una
coerenza di comportamento, sia nella certezza che al momento del voto
non si tenterà di confluire nel partito probabilmente vincente tradendo
il lavoro di altri che veramente a sinistra vogliono stare. Su altri
punti da prendere in considerazione credo si possa trovare un pur
faticoso accordo.
Forse qualcuno potrebbe chiedersi
perché darsi tanti fastidi per continuare a cercare un’unità delle
sinistre che nei fatti appare molto improbabile, se non impossibile.
Secondo me vale la pena di farlo non soltanto per rimettere un po’ in
sesto la situazione italiana, ma perché è sempre più chiaro che Francis
Fukuyama aveva preso un terribile abbaglio quando, nel 1989, subito dopo
la caduta del Muro, aveva parlato di «fine della storia» dando per
scontata una progressiva convergenza tra le civiltà e i sistemi
politici. La realtà, invece, parla di un’era popolata di conflitti tra
la solidarietà e l’intolleranza, tra l’emancipazione e l’asservimento,
tra la laicità e il fondamentalismo, tra la ricchezza sfacciata e la
morte per fame o per malattie curabili.
E sarebbe sbagliato guardare a
queste terribili e sanguinose contrapposizioni soltanto dove le cronache
del mondo ce le fanno vedere perché è lì che acquisiscono i caratteri
più terribili e cruenti; in realtà le stesse contrapposizioni stanno
prendendo sempre più corpo anche in Italia e se non si arriverà al più
presto a una classe politica decisa a cercare il bene del Paese e di chi
ci vive e non soltanto il perpetuarsi del proprio successo elettorale, i
frutti potrebbero tornare a essere terribilmente avvelenati.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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