giovedì 20 agosto 2015

Domande scomode

È certo che il segretario della Conferenza Episcopale Italiana, Nunzio Galantino, sull’esempio di Papa Francesco, non usa giri di parole quando si trova ad affrontare temi che hanno a che fare con la dottrina sociale della Chiesa. Dopo l’intemerata contro Salvini e Grillo che ancora una volta si erano scagliati violentemente contro i profughi e che sono stati da lui definiti «piazzisti da quattro soldi che, pur di raccattare qualche voto, dicono cose straordinariamente insulse» e dopo aver sottolineato che «è il governo che è completamente assente sul tema dell’immigrazione», ha deciso di concludere - almeno per il momento - la polemica non partecipando a Pieve Tesino a un incontro su Alcide De Gasperi, ma mandando comunque il testo della sua lectio magistralis nella quale si legge che, a differenza dei tempi del politico trentino, oggi la politica è «un puzzle di ambizioni personali all’interno di un piccolo harem di cooptati e di furbi» e che «i populismi sono un crimine di lesa maestà di pochi capi spregiudicati nei confronti di un popolo che freme e che chiede di essere portato a comprendere meglio la complessità dei passaggi della storia».
 Alcune reazioni sono scontate: Salvini usa il consueto turpiloquio per attaccare chi lo critica; i grillini tentano di negare che monsignor Galantino intendesse riferirsi anche a Grillo che pure era stato estremamente esplicito nel suo blog; quelli di Forza Italia sono un po’ smarriti davanti a prelati che criticano i politici, mentre fino a non molto tempo fa tanti prelati erano ossequienti, mentre monsignor Fisichella, davanti a una bestemmia di Berlusconi, nel tentativo di non fargli perdere voti cattolici, diceva che, evidentemente soltanto per lui, la bestemmia andava “contestualizzata”; gli alfaniani guardano con sommo disinteresse il problema dei migranti, ma fanno finta di indignarsi a essere definiti “cooptati”.

Da valutare con attenzione sono, invece, le reazioni degli esponenti del PD obbligati a esporsi in prima persona per consentire al cattolico Renzi di mantenersi defilato in una questione che, con la Chiesa in campo, può diventare spinosa. Dal punto di vista dei voti che si rischia di perdere, ovviamente, visto che la politica non si occupa più di valori e men che meno di ideologie, ma quasi esclusivamente di campagne elettorali. Ebbene, questi i portavoce del segretario del PD non fanno una piega e, anzi, annuiscono sorridendo quando le accuse sono indirizzate a Salvini e a Grillo. Però quando le critiche si rivolgono al governo l’atteggiamento cambia e dal vicesegretario Serracchiani, per esempio, viene detto che le parole di Galantino sono «ingenerose». E già questa parola la dice lunga sulla difficoltà di barcamenarsi tra la necessità di difendersi e quella di non negare una verità troppo evidente. Infatti è vero che il PD non può usare l’aggettivo «false», ma è anche vero che non si capisce il significato di «ingenerose»: forse si intende dire che Galantino ha ragione, ma che avrebbe potuto fare finta di niente per, diciamo così, “vicinanza politica”?

Molto più interessanti, però, sono le parole dette da Graziano Delrio, altro cattolico fortemente a disagio, dopo la lectio magistralis. Abbastanza scontato è il fatto che il ministro dichiari che bisogna stare «attenti alle analisi sulla politica animate dalla nostalgia dei tempi andati. La politica è fatta di ricambi. E questo è stato il tempo del ricambio e del cambiamento». Sulla qualità dei ricambi e dei cambiamenti, ovviamente, nemmeno una parola.

Più spericolate sono le affermazioni con le quali sostiene che Galantino alimenta l’antipolitica e che non si può dire che tutti i politici sono uguali. È possibile che a Delrio non venga in mente che l’antipolitica è creata proprio da coloro che mal si comportano nelle stanze in cui si decide e non da coloro che li criticano? Ed è possibile che non si accorga che ormai è diventato ben difficile distinguere tra i protagonisti della politica se tutti fanno praticamente le medesime cose, magari stringendo patti tra loro pur di riuscire ad arrivare dove vogliono? E che la scelta degli elettori – di quelli che continuano ad andare a votare – non è più tra “bene” e “male”, ma soltanto quella del “male minore”.

Il fatto è che le affermazioni di monsignor Galantino sono, in realtà, domande alle quali è difficilissimo rispondere in maniera credibile. Come si fa a dirsi cristiani se non si pratica la solidarietà e se tutto viene asservito alla logica del guadagno e della comodità? Come si fa a dirsi democratici se il demos non ha più nemmeno il diritto di eleggere direttamente i propri rappresentanti e se la cosa più importante diventa la governabilità che, per la sua stessa natura, aborrisce il dibattito e il confronto di idee? Come si fa a dirsi di sinistra quando si firmano e si accettano – e non soltanto in tema di lavoro - riforme praticamente uguali a quelle che erano state proposte dalla destra?

Sono domande che richiedono risposte che, se fossero date sinceramente dai fedeli e dai laici, cambierebbero profondamente il panorama sociale e politico di questo nostro Paese.


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