venerdì 28 agosto 2015

L’esorcismo di Rimini

È tempestiva e assolutamente condivisibile l’analisi (e la condanna) che Guido Crainz fa, su “la Repubblica”, della frase con cui Renzi, con grave e sicuramente voluta sottovalutazione, ha parlato dell’antiberlusconismo come di un fenomeno di settarismo e, quindi, come di una delle cause per le quali l’Italia si è fermata e, anzi, è drammaticamente retrocessa socialmente ed economicamente.

Crainz parla di irresponsabilità di governo, stravolgimento delle istituzioni e di una grande quantità di altre iatture legate al nome dell’ex cavaliere e rigorosamente documentate con rimandi a libri e articoli contemporanei agli avvenimenti analizzati. Ma la cosa più importante, la dimensione reale della portata del berlusconismo, a mio avviso, è quella che Guido definisce «diseducazione civica», perché mentre molte delle altre brutture sono velocemente scolorite con il tramonto di Berlusconi, il veleno peggiore del berlusconismo continua a corrodere il nostro Paese. E non soltanto a destra. Anzi.

Non credo che la corsa alle televisioni, realizzata in piena intesa con Craxi, mirasse soltanto a ripianare una voragine spaventosa di debiti berlusconiani, ma sono convinto che nascondesse anche un ben mirato piano necessariamente sociale ancor prima che politico. Non può essere stata casuale, infatti la determinazione portata avanti, sia con i programmi di cosiddetta “informazione”, sia con quelli di evasione, di minare l’eticità comune facendo balenare dappertutto lo sfavillio di un mondo in cui le uniche cose importanti erano il benessere, la ricchezza, il divertimento a prescindere dalla condizione degli altri. O, forse, addirittura approfittandone. E parlando di eticità non intendo riferirmi, se non secondariamente, alla più che provata sessuomania dell’allora capo della destra e presidente del Consiglio, ma al suo incitamento all’elusione e all’evasione fiscale, alla condiscendenza nei confronti delle mafie, alla cooptazione degli obbedienti e all’acquisto dei disponibili, alle leggi ad personam e ancora ad altre evidenze il cui elenco sarebbe davvero lungo.

Berlusconi non ha avuto né visione politica, per la conclamata insofferenza alle regole e per il leaderismo portato avanti come pretesa soluzione dell’anti-partito e dell’anti-politica, né senso della storia, per l’incapacità di capire a cosa avrebbero portato le sue mosse, a livello nazionale e internazionale, non in un lontano futuro, ma neppure l’indomani.

È in questo senso che l'antiberlusconismo ha avuto ragione di esistere ed esiste, a piena ragione, ancora oggi. Come a piena ragione esiste ancora l’antifascismo. Poi è evidente che nella lunga vita del berlusconismo sono state molte le responsabilità accumulate da una sinistra che correva dietro e non andava avanti per la sua strada e che ancora oggi non riesce a trovare una propria capacità davvero elaborativa e propositiva.

Credo che Renzi, assieme alla pronuncia di una congerie dei suoi abituali slogan, abbia evocato l’antiberlusconismo dal palco del Meeting di Comunicazione e Liberazione di Rimini e, quindi, in un ambiente che sicuramente gli è vicino perché altrettanto sicuramente non è di sinistra, soprattutto per esorcizzare il crescere dell’ antirenzismo che si sta consolidando su alcune delle stesse basi, e soprattutto sulla paura di veder «intaccare quell’equilibrio fra i tre poteri dello Stato che è il fondamento della democrazia» nel nome apparente della “governabilità”, ma nella sostanza di un leaderismo che una volta era la mira di Berlusconi, come adesso è di Renzi.

È da tempo che scrivo che Renzi mi è politicamente estraneo come estraneo mi era Berlusconi. Ma forse la parola più esatta è “alieno” perché non in altra maniera posso definire chi pone l’antiberlusconismo sullo stesso piano del berlusconismo. Sarebbe – e non credo proprio di esagerare – come porre la Resistenza sullo stesso piano del nazifascismo, come attribuire alla Resistenza la causa delle migliaia di morti provocate in Italia dai nazisti e dai repubblichini dal 1943 alla fine della guerra.

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giovedì 20 agosto 2015

Domande scomode

È certo che il segretario della Conferenza Episcopale Italiana, Nunzio Galantino, sull’esempio di Papa Francesco, non usa giri di parole quando si trova ad affrontare temi che hanno a che fare con la dottrina sociale della Chiesa. Dopo l’intemerata contro Salvini e Grillo che ancora una volta si erano scagliati violentemente contro i profughi e che sono stati da lui definiti «piazzisti da quattro soldi che, pur di raccattare qualche voto, dicono cose straordinariamente insulse» e dopo aver sottolineato che «è il governo che è completamente assente sul tema dell’immigrazione», ha deciso di concludere - almeno per il momento - la polemica non partecipando a Pieve Tesino a un incontro su Alcide De Gasperi, ma mandando comunque il testo della sua lectio magistralis nella quale si legge che, a differenza dei tempi del politico trentino, oggi la politica è «un puzzle di ambizioni personali all’interno di un piccolo harem di cooptati e di furbi» e che «i populismi sono un crimine di lesa maestà di pochi capi spregiudicati nei confronti di un popolo che freme e che chiede di essere portato a comprendere meglio la complessità dei passaggi della storia».
 Alcune reazioni sono scontate: Salvini usa il consueto turpiloquio per attaccare chi lo critica; i grillini tentano di negare che monsignor Galantino intendesse riferirsi anche a Grillo che pure era stato estremamente esplicito nel suo blog; quelli di Forza Italia sono un po’ smarriti davanti a prelati che criticano i politici, mentre fino a non molto tempo fa tanti prelati erano ossequienti, mentre monsignor Fisichella, davanti a una bestemmia di Berlusconi, nel tentativo di non fargli perdere voti cattolici, diceva che, evidentemente soltanto per lui, la bestemmia andava “contestualizzata”; gli alfaniani guardano con sommo disinteresse il problema dei migranti, ma fanno finta di indignarsi a essere definiti “cooptati”.

Da valutare con attenzione sono, invece, le reazioni degli esponenti del PD obbligati a esporsi in prima persona per consentire al cattolico Renzi di mantenersi defilato in una questione che, con la Chiesa in campo, può diventare spinosa. Dal punto di vista dei voti che si rischia di perdere, ovviamente, visto che la politica non si occupa più di valori e men che meno di ideologie, ma quasi esclusivamente di campagne elettorali. Ebbene, questi i portavoce del segretario del PD non fanno una piega e, anzi, annuiscono sorridendo quando le accuse sono indirizzate a Salvini e a Grillo. Però quando le critiche si rivolgono al governo l’atteggiamento cambia e dal vicesegretario Serracchiani, per esempio, viene detto che le parole di Galantino sono «ingenerose». E già questa parola la dice lunga sulla difficoltà di barcamenarsi tra la necessità di difendersi e quella di non negare una verità troppo evidente. Infatti è vero che il PD non può usare l’aggettivo «false», ma è anche vero che non si capisce il significato di «ingenerose»: forse si intende dire che Galantino ha ragione, ma che avrebbe potuto fare finta di niente per, diciamo così, “vicinanza politica”?

Molto più interessanti, però, sono le parole dette da Graziano Delrio, altro cattolico fortemente a disagio, dopo la lectio magistralis. Abbastanza scontato è il fatto che il ministro dichiari che bisogna stare «attenti alle analisi sulla politica animate dalla nostalgia dei tempi andati. La politica è fatta di ricambi. E questo è stato il tempo del ricambio e del cambiamento». Sulla qualità dei ricambi e dei cambiamenti, ovviamente, nemmeno una parola.

Più spericolate sono le affermazioni con le quali sostiene che Galantino alimenta l’antipolitica e che non si può dire che tutti i politici sono uguali. È possibile che a Delrio non venga in mente che l’antipolitica è creata proprio da coloro che mal si comportano nelle stanze in cui si decide e non da coloro che li criticano? Ed è possibile che non si accorga che ormai è diventato ben difficile distinguere tra i protagonisti della politica se tutti fanno praticamente le medesime cose, magari stringendo patti tra loro pur di riuscire ad arrivare dove vogliono? E che la scelta degli elettori – di quelli che continuano ad andare a votare – non è più tra “bene” e “male”, ma soltanto quella del “male minore”.

Il fatto è che le affermazioni di monsignor Galantino sono, in realtà, domande alle quali è difficilissimo rispondere in maniera credibile. Come si fa a dirsi cristiani se non si pratica la solidarietà e se tutto viene asservito alla logica del guadagno e della comodità? Come si fa a dirsi democratici se il demos non ha più nemmeno il diritto di eleggere direttamente i propri rappresentanti e se la cosa più importante diventa la governabilità che, per la sua stessa natura, aborrisce il dibattito e il confronto di idee? Come si fa a dirsi di sinistra quando si firmano e si accettano – e non soltanto in tema di lavoro - riforme praticamente uguali a quelle che erano state proposte dalla destra?

Sono domande che richiedono risposte che, se fossero date sinceramente dai fedeli e dai laici, cambierebbero profondamente il panorama sociale e politico di questo nostro Paese.


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lunedì 10 agosto 2015

Votare insieme a Razzi

Ormai dovrebbero saperlo tutti che gli slogan possono andar bene, al massimo, per qualche battuta – e anche un po’ deboluccia – durante una cena tra amici, ma che in politica ormai non soltanto non riescono più a fare presa, ma spesso finiscono addirittura per ritorcersi contro chi li pronuncia.
 
Stupisce, quindi, sentire Debora Serracchiani che, continuando imperterrita nella sua vita di vicesegretario nazionale del PD, che fortunatamente non sempre è coincidente con quella di Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, riferendosi alla sempre più forte opposizione della sinistra dem davanti allo scempio costituzionale voluto da Renzi, possa dire: «Credo che la minoranza del PD si dovrà interrogare se vuole votare insieme a Razzi».

Ora, visto che è assolutamente escluso che Debora Serracchiani sia un’imbecille senza memoria, questo non può che significare che lei stessa considera gli italiani degli imbecilli senza memoria perché – lasciando pur perdere il fatto che talvolta coloro che dicono a Razzi cosa votare possano anche casualmente fare la cosa giusta – è molto difficile pensare che gli italiani, almeno quelli di centrosinistra e di sinistra, non ricordino che è stato proprio Renzi, aiutato dai suoi vicesegretari Serracchiani e Guerrini, dal presidente Orfini, e da tutti i suoi ossequienti ministri e vassalli, a dire, subito dopo il patto del Nazareno, che il Pd doveva assolutamente votare insieme a Razzi.

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venerdì 7 agosto 2015

La barbarie del male minore

Lo si sente dire sempre più spesso, anche dopo la nuova lottizzazione effettuata d’amore e d’accordo con Forza Italia, anche dopo che la famosa “lotta all’evasione” si concretizza in nuovi sconti per gli evasori: «Chi non vuole le riforme consegna l’Italia a Grillo e a Salvini ». 

Lo dicono praticamente tutti i renziani, compresa la vicesegretaria Serracchiani che, dopo la dichiarazione eterodossa sulla votazione senatoriale che ha rifiutato la richiesta di arresto per Azzollini, ora rinsalda le fila del PDR (Partito di Renzi), pur non accodandosi anche all’altro codicillo minatorio ("Ve ne andate tutti a casa") molto amato dai fedeli del presidente del Consiglio pro tempore che, evidentemente, sente sempre più incombente quella fastidiosa mancanza di eternità legata al suo attuale ruolo. Dichiarazioni del genere, infatti, non sono altro che ammissioni di preoccupazione e debolezza mascherate da minacce che possono far breccia sia tra gli eletti, che vedono messa in forse la loro permanenza a Roma, sia tra gli elettori che possono anche spaventarsi davanti all’autarchico e ondivago procedere grillino, o alla stolida chiusura razzista, aliofoba e antieuropeista dei leghisti.

In pratica, agli elettori si dice: «Non vi piace Renzi? Ebbene, pensate a come si starebbe peggio con Grillo e Salvini». In linea di massima si può essere assolutamente d’accordo; anche perché è da troppi anni che ragioniamo così, non votando più per un partito che ci convinca davvero, ma soltanto per la persona che riteniamo meno dannosa di altre. Per il male minore, insomma. Ma credo che ormai non sia più rinviabile il momento in cui chiederci, seguendo le parole di Eyal Weizmann, «se il male minore non sia il nuovo nome della nostra barbarie».

Accettare il male minore, infatti, implica rassegnazione e l’immancabile conseguente sconfitta, per il progressivo lasciare spazio a cose, opere, pensieri detestabili, che invadono quel già non enorme territorio di bene che non ci rassegniamo a veder sparire; in pratica, a lasciare che il male minore diventi la base necessaria sulla quale poi veder edificare il male maggiore.

Davanti al caos e alle frustrazioni immediatamente seguenti il primo conflitto mondiale, i difetti del fascismo, e poi del nazismo, che si presentavano come portatori di ordine e di orgoglio nazionale, sono stati considerati il male minore; e tutti sappiamo a quali orrori abbiano portato. Ancora durante quella stessa guerra l’egualitarismo esasperato - d’arrivo e non di partenza - predicato da Lenin ha fatto considerare il comunismo dei soviet il male minore rispetto al crudele feudalesimo zarista. E anche in questo caso i risultati sono stati funesti. E potremmo continuare a lungo, vagando nel tempo e nello spazio.

Qualcuno sicuramente dirà che una simile visione delle cose è un indebita drammatizzazione della realtà, ma vi invito a riflettere soltanto su un fatto: su quale situazione democratica potrebbe essere quella nella quale saremmo costretti a vivere, se andassero in porto tutte le riforme della Costituzione volute da Renzi, quasi fossero il toccasana - e non lo sono - per risolvere qualsiasi problema economico accentrando quasi tutti i poteri nelle mani di un premier identico a quello sognato a suo tempo da Berlusconi e, forse, ancor prima anche da Craxi. In realtà i costituzionalisti - tutti tranne un paio di renziani di ferro - non nascondono i rischi, se non prevedono, addirittura, sfracelli istituzionali destinati ad avere conseguenze difficilmente riparabili su tutto il tessuto sociale italiano.

E allora, chiediamoci se davvero Renzi è il male minore. Tenendo ben presente che non si è condannati a scegliere soltanto tra il male minore e i mali peggiori (perché anche loro distruggerebbero quell’Italia, piena di difetti, ma sicuramente e disperatamente democratica, uscita dalla Costituente nel 1948).

La scelta, in realtà, per ognuno, deve tornare a essere tra quello che un cittadino considera bene e quello che considera male. Con un unico punto fermo di partenza: che la democrazia è bene e la falsa democrazia non lo è. Ma servono idee, progetti e persone. 

Sono convinto che in Italia ne esistano in abbondanza e che sarebbe ora che si facessero vive, anche senza poter contare in partenza della comicità di Grillo, della spudoratezza di Salvini, dell’inutile ricchezza di Berlusconi, o dell’autoritarismo, e non dell’autorevolezza, di Renzi. Il nostro Paese lo meriterebbe.

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