mercoledì 8 luglio 2015

Le cicatrici sotto il cerone

Comunque dovremo essere grati ai greci perché, rimuovendo parte degli spessi strati di cerone autocelebrativo che da sempre accettiamo, ci hanno costretti a guardarci in faccia con più attenzione e a vedere quante cicatrici deturpano il volto dell'Europa.
Un punto estremamente importante, per esempio, è stato portato alla luce dalla smania di ridurre la portata politica del referendum greco. È con questo scopo, infatti, che uno dei padri dell'Europa, Jacques Delors, fortemente e giustamente preoccupato che la sua creatura possa andare in frantumi, ha affermato, riferendosi al referendum, che «la sua legittimazione democratica non è superiore alla legittimazione democratica delle istituzioni della UE». E Jaen-Claude Juncker si è affrettato a raccogliere il passaggio ampliandone la portata e dicendo che «nessuna democrazia europea ha più valore di un'altra».

In apparenza sono dichiarazione ineccepibili, ma le prime crepe - e profonde - di opportunismo politico apparirebbero evidenti già se qualcuno chiedesse a Juncker se aveva in testa il medesimo comandamento di uguaglianza quando, da premier del Lussemburgo, aveva furtivamente trasformato il suo Paese in un paradiso fiscale facendo il danno degli altri Paesi dell'Unione e, conseguentemente, delle loro democrazie.

Ma anche nelle parole di Delors c'è qualcosa che non va; e per vari motivi. Intanto la BCE, assoluta protagonista di tutte le vicende economiche europee non ha assolutamente nulla che fare con la democrazia perché è formalmente indipendente dalla politica e, quindi, svincolata dalla democrazia, ma ovviamente esposta alle pressioni dei più potenti e, quindi, ancora più evidentemente lontana dal potere popolare.

Delors, poi, non può ignorare che la democrazia europea è ancora qualcosa di largamente incompiuto. Basterebbe pensare che l'unico organo eletto direttamente dalla popolazione è il Parlamento Europeo che normalmente si occupa di quote agricole, rapporti internazionali con Paesi lontani, regolamenti interni, di formaggi da fare senza latte e di altre amenità simili. In questo momento, tanto per capirci non affronta le questioni greche (di cui si occupano i vertici dei premier e i subvertici dei ministri economici), né di problemi dei migranti (di cui parla - dire "occupa" sarebbe davvero eccessivo - la Commissione europea), né del fatto che la Tunisia, praticamente unico Stato laico e democratico del mondo arabo, e per di più affacciato sul Mediterraneo, sia attaccato e quasi assediato, anche dall'interno, dai terroristi del califfato dell'Is (di cui non parla proprio nessuno). E non è certamente casuale la scelta politica di Tsipras di deludere i premier europei non presentando immediatamente loro il piano richiesto, ma di voler rivolgere il suo discorso direttamente al Parlamento europeo, l’unica istituzione dell’UE che abbia almeno una parvenza di democrazia.

In questo quadro appare tragicamente buffo che qualcuno possa arricciare il naso sollevando dubbi di legittimità davanti al valore di un referendum che - giova ricordarlo - soltanto marginalmente si è occupato di questioni economiche e di trattati internazionali (materie consuetudinariamente, ma non molto democraticamente vietate alle consultazioni popolari), mentre in realtà ha posto un quesito sulla vita, o la morte, di un intero popolo, di un intero Paese.

Lasciate pur perdere le folkloristiche recite di Grillo che ora inneggia a Tsipras e fa finta di non vedere le differenze abissali che corrono tra il referendum greco e le consultazioni tra qualche migliaio di suoi amici, via internet e senza alcun controllo esterno, che lui pomposamente chiama «democrazia diretta». Non badate alle intemerate populistiche di Salvini secondo cui qualunque cosa accada, dal nascere del sole alle cose più complicate del mondo, succede solo per dare ragione alle sue teorie di esclusione, anche se Salvini stesso dal resto del mondo non è minimamente considerato, se non addirittura disdegnato. E, per carità di patria, dimenticate pure Renzi che prima parla superficialmente di «un derby tra dracma ed euro» e poi, con sommo sprezzo del ridicolo, si propone come mediatore per risolvere, con la profondità e lungimiranza del suo cosiddetto "pensiero", la spinosa situazione.

Indignatevi, invece, perché la Commissione europea decide di mandare "aiuti umanitari" fatti di cibo e medicine non a una nazione del terzo mondo, ma a un Paese che è stato la culla della civiltà europea, che è stato compromesso dall'incapacità e dalla corruzione dei suoi vecchi governanti e che è stato ridotto alla fame proprio da coloro che ora vogliono presentarsi come "salvatori" con qualche pacco di pasta in mano. Arrabbiatevi anche perché la Germania dice alla Grecia: «Parliamo pure, ma tanto a Berlino abbiamo già tutto deciso», con buona pace per la democrazia delle istituzioni europee evocate da Delors e Juncker. E indignatevi pure perché in tutto questo vortice di disastri l'unica a essere scomparsa ad alti livelli - praticamente dappertutto tranne che in Grecia - è la sinistra di cui alcuni si sono impadroniti del nome, ma il cui camuffamento, a meno che proprio non si voglia tenere gli occhi chiusi, non può resistere nemmeno per brevi periodi.


Ma su questo torneremo a breve.

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