lunedì 15 giugno 2015

Nella palude

Di una cosa, almeno, bisogna dargli atto: Matteo Renzi è assolutamente coerente nei suoi tentativi di giustificazione. «Non è una sconfitta mia, ma della sinistra» è, infatti, il succo delle sue dichiarazioni dopo entrambe le tornate delle amministrative appena concluse. Se, però, bisogna ammettere la sua onestà nel separare nettamente se stesso dalla sinistra, appare curioso che sia sempre la sinistra a essere colpevole, sia nella sconfitta della Paita in Liguria, sia in quella di Casson a Venezia, sia in quella di Bracciali ad Arezzo.
Riassumiamo grezzamente. In Liguria la Paita vince le primarie con il determinante aiuto di Scajola e amici, la sinistra (anche del PD) non accetta e candida un proprio candidato. A Venezia Casson vince le primarie, ma, visto che non è un renziano, non gli spetta neppure una citazione da parte dei vertici del partito che pure tanto si sono spesi (e con che risultato!) per la Moretti in Veneto. Ad Arezzo, città rossa per eccellenza, Renzi scende in campo più volte per sostenere direttamente Bracciali e il risultato è che per la prima volta il centrosinistra non soltanto non sfonda al primo turno, ma addirittura perde al secondo.

Lasciamo pur perdere il fatto che il nuovo sindaco veneziano, il forzista Brugnaro, avesse dichiarato per tempo che era sicuro di vincere raccogliendo i voti di molti elettori renziani che non gradivano Casson, ma, pur non dimenticando il “tanto peggio, tanto meglio” dei grillini, ancora una volta non si può non notare che Renzi non considera minimamente importante il fatto che sempre meno gente va a votare e che (gli studi sui flussi di voto lo dimostrano al di là di ogni dubbio) le file degli astensionisti sono ingrossate soprattutto da elettori tendenzialmente di centrosinistra delusi dai propri partiti sia a livello politico, sia a livello etico.

So che le autocitazioni non sono eleganti, ma desidero riproporvi una cosa che ho scritto una dozzina di anni fa e che ho ripetuto, a voce, più volte.

«Il problema – dobbiamo avere il coraggio e l’umiltà di dirlo – è che abbiamo buttato via, almeno per una certa parte, i nostri valori: lo hanno fatto i comunisti, i socialisti, i cattolici, i liberali; lo hanno fatto persino i fascisti; perché anche loro hanno dei valori, anche se per me sono orrendi e non condivisibili. Li abbiamo buttati via illudendoci che senza valori ci saremmo potuti avvicinare l’uno all’altro in una sorta di fatale attrazione in un posto paludoso, nebbioso, indistinto, ma ritenuto vincente che molti, per comodità, chiamano centro, ma che io non voglio definire così, perché anche il centro è stato politicamente degno e aveva i suoi valori. E abbiamo tentato di avvicinarci facendo ressa tutti insieme, cercando di farci belli e di attrarre simpatie, imitando gli altri quando questi stavano vincendo, truccandoci e travisando il nostro volto, perché era più importante catturare simpatie e un voto per “vincere”, che compiere un’azione degna. Ma in definitiva non siamo riusciti ad attrarre nessuno perché il vuoto, dopo un primo senso di disorientante vertigine, non attrae mai nessuno, ma, anzi, dà un senso di repulsione. E il risultato è che c’è stata sempre meno gente che si è avvicinata al voto, alla politica, alla partecipazione, al vivere sociale. E contemporaneamente non ci siamo sentiti maggiormente vicini agli avversari di una volta perché ne siamo rimasti completamente estranei. E contemporaneamente abbiamo perduto molti amici perché senza valori di riferimento non li riconoscevamo più, né loro riconoscevano noi. E contemporaneamente abbiamo perso anche il rispetto di noi stessi. E soltanto quando abbiamo percepito questo vuoto, quando abbiamo sentito il rodere del rimorso provocato dal nostro peccato di omissione – il più grave perché l’unico sicuramente deliberato – abbiamo cominciato a riprendere quota, a tornare a pieno titolo umani, a ritenere nuovamente che la nostra vita privata e pubblica non possano esistere senza etica, che la politica non possa esistere senza etica, che il lavoro non possa esistere senza etica, che l’economia non possa esistere senza etica, che la finanza, raffinata e spietata usura moderna, così com’è non possa esistere e basta».

Avevo sbagliato a pensare che già quella volta avessimo toccato il fondo e stessimo per risalire. E non è detto – neppure considerando Salvini e le sue abiezioni – che questo fondo sia stato già toccato neppure oggi. Per uscire da ogni palude non ci sono sentieri lastricati, ma occorre fare molta fatica.

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