lunedì 25 maggio 2015

Un colpo al pensiero unico

Della vittoria di Podemos nelle elezioni amministrative di Barcellona e Madrid sono ovviamente contento anche e soprattutto in proiezione verso le elezioni politiche spagnole di novembre che potrebbero far cambiare ulteriormente alcuni atteggiamenti europei, ma quello che più mi ha piacevolmente colpito è il commento del leader di Podemos, Pablo Iglesias, a spoglio concluso: «Il risultato delle elezioni di oggi segna l’inizio della fine del bipartitismo in Spagna» e «il cambiamento ora è irreversibile». 

Insomma, è un primo serio colpo non soltanto filosofico, ma concreto, al mito del bipartitismo che tanto affascina una grande parte della politica italiana e che finora ha posto soltanto le basi per distruggere quello che il tanto vituperato multipartitismo era riuscito a costruire prendendo un’Italia che era soltanto un cumulo di macerie belliche e trasformandola in pochissimi decenni non soltanto in uno dei Paesi industrialmente più potenti del mondo, ma anche, in contemporanea, in una delle nazioni socialmente più avanzate. Oggi, in entrambe le classifiche siamo scesi molto all’ingiù.

Se davvero il successo di Podemos mette in crisi il concetto di bipartitismo in Spagna, figuriamoci cosa potrebbe fare un simile successo in Italia contro il sogno renziano di quel “Partito Nazionale”, unico e potentissimo che nessuna nazione che abbia già avuto esperienze di dittatura – Spagna e Germania in testa – potrebbe mai accettare e che un governo che ha già scarsi concetti di democrazia, al di là della pura conta dei voti quando conviene, potrebbe rendere letale per la nostra democrazia, appunto.

Del resto, è sempre lo stesso Renzi a sognare un sindacato unico che dovrebbe arrivare al teorico scontro con il governo già sfibrato e annacquato dalle preventive trattative interne tra le sue varie anime. Il tutto, mentre Draghi, pensando soltanto ai bilanci delle aziende, delle banche e degli Stati, invita i Paesi europei a spingere sulla contrattazione aziendale privilegiandola rispetto a quella nazionale e, quindi, indebolendo tutti i lavoratori, anche quelli che tanto deboli ancora non erano. Davanti a simili posizioni non molti anni fa le strade e le piazze si sarebbero riempite quasi spontaneamente per la protesta: oggi si registrano posizioni intransigentemente negative di Camusso (Cgil), Landini (Fiom), Barbagallo (Uil), mentre Furlan (Cisl) resta sempre più defilata e nelle varie periferie i concetti di Renzi e Draghi sembrano non sollevare eccessiva indignazione.

Vorrei ribadire, pur molto grezzamente per ragioni di spazio, un vecchio concetto: il maggioritario va decisamente bene alla destra, dove l’arrivo di un capo che decide per tutti è considerata una benedizione; il proporzionale è il sistema di voto della sinistra in cui nessuno rinuncia in partenza a pensare, ma – salvo alcune deprecabili eccezioni – è poi disposto a collaborare per raggiungere obbiettivi comuni.

Costruire nuove realtà politiche restando attaccati ai vecchi capi che amano il decisionismo, o, al contrario, escludendo in partenza dialoghi sia pur difficilissimi, non può che rendere ancor più lisce le strade scelte da gente come Renzi e come Draghi.


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