sabato 23 maggio 2015

Il rovesciamento della realtà

Sembra quasi che il principio del rovesciamento della realtà sia diventato, a tutti i livelli e in tutto il mondo, uno dei pilastri su cui si regge quella che ci ostiniamo a chiamare politica, senza neppure specificare che dell’etimologia originale rimane ormai ben poco.
Prendete, per esempio l’Unione Europea e il caso legato al ministro greco delle Finanze, Janis Varoufakis che, a un mese di distanza, ha rivelato che nel vertice di Riga nessuno lo aveva mai accusato di essere «dilettante, perditempo e giocatore d’azzardo» e che, come prova, può presentare una registrazione completa dell’intera seduta. Gli ha risposto lividamente il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbleom non confutando minimamente la smentita di Varoufakis, ma accusando il greco di aver registrato una seduta riservata il cui contenuto non può essere né registrato, né diffuso. Al di là della stranezza del fatto che Dijsselbleom non ritenga importante che qualcuno, tramite la stampa di mezzo mondo, abbia diffamato Varoufakis, e, quindi uno Stato membro, è interessante notare che lo stesso Dijsselbleom non si era minimamente sognato di dire che il contenuto di un vertice non poteva essere diffuso quando qualcun altro aveva diffuso false notizie sulla pretesa umiliazione di Varoufakis.

Per venire all’Italia, molto colpisce l’uscita del ministro dell’Economia Carlo Padoan che ha accusato la Corte costituzionale di non aver valutato il buco che si sarebbe prodotto nel bilancio dello Stato quando ha dichiarato illegittima la legge sul blocco della rivalutazione delle pensioni. Al di là del fatto che la Corte costituzionale è un organo dello Stato istituito appositamente per sorvegliare che non sia tradita la Costituzione e non per sorvegliare i pareggi di bilancio, e che una tale disinvoltura istituzionale da parte di un ministro spiega abbondantemente come il declino democratico di questo Paese appaia sempre più pronunciato, a Padoan non viene in testa che, accusando la Consulta, sta rovesciando la realtà? Non sarebbe stato il caso, invece, di accusare il governo Monti e i suoi ministri di non aver consultato attentamente la Carta fondamentale prima di adottare una legge che, in questa forma, ha degli evidenti riflessi di illegittimità e che avrebbe potuto ottenere gli stessi obbiettivi con una stesura diversa – legata non alla rivalutazione, ma alla fiscalità – che avrebbe, però, fatto dispiacere ai ceti più abbienti, quelli più vicini a quel governo? E che, comunque, la legittimità costituzionale dichiarata da una commissione parlamentare – e quindi politica e usa a obbedire ai capipartito – non è proprio una garanzia di obbiettività di giudizio costituzionale?

Ma, forse, è proprio un problema di comprensione di quello che si sta dicendo, perché altrimenti non si capirebbe come Renzi possa affermare che lui «non prende lezioni da nessuno sulla legalità», proprio durante un'iniziativa elettorale con il candidato alla Presidenza della Campania, Vincenzo De Luca, affermando poi, più tardi, in tv, che il Pd è pulito mentre sono sporche le liste che lo affiancano e sostengono. In pratica, che per lui basta non rubare per poter vivere tranquillamente a fianco di ladri, senza denunciarli.

E, infatti, sulla comprensione, finisce per ammettere: «Non capisco Cgil,Cisl e Uil. Spero che prima o poi si arrivi al sindacato unico». Renzi, infatti, preferirebbe anche un partito unico – lo chiama Nazionale – sempre a patto che alla guida di quel partito ci fosse ovviamente lui. La quasi totalità degli italiani, invece, di partiti unici non vuol più sentir parlare. Se almeno la maggior parte di loro decidesse di tornare a votare e di non astenersi più, allora probabilmente di Renzi avremmo soltanto un ricordo e il centrosinistra potrebbe ricostruire un partito che sia tale non soltanto di nome, ma anche di fatto.

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