venerdì 20 marzo 2015

L’individuo e la società

Nel suo recentissimo “L’animale politico”, Gianluca Briguglia comincia ricordando una dichiarazione di Margaret Thatcher: «Non esiste una cosa come la società. Esistono uomini e donne. Ed esistono famiglie». Si sarebbe tentati di definirla agghiacciante, ma, in realtà, è ingenua ancor prima che stupida, perché già in sé contiene l’ammissione che esiste uno stimolo naturale all’associazione e, quindi, i presupposti per negare se stessa: i singoli, infatti, hanno in sé l’impulso a vivere in coppie e a formare famiglie; e le famiglie avvertono una spinta altrettanto naturale a creare uno spazio civile e politico che diventa etico in quanto dona umanità ai suoi membri che proprio in quell’ambito possono mostrare doti e virtù, educarsi e crescere culturalmente, mettere a disposizione degli altri i propri talenti per poter contemporaneamente godere dei talenti degli altri, uscire dalla barbarie individualistica per dare forma, appunto, a una società.
Il problema è se questa società possa e debba essere anche politica. Una risposta affermativa appare obbligata perché il dialogo e la mediazione sono fondamentali nella ricerca della felicità propria e comune. Eppure, a guardare il mondo in cui sembra che ci siamo rassegnati a vivere, si sarebbe tentati di dire esattamente il contrario perché, visto che la semplificazione è il contrario della politica, la parte dominante della nostra classe politica sembra essersi specializzata proprio in quella semplificazione che è figlia diretta della cancellazione del passato e del futuro per pensare soltanto al presente, considerando il successo elettorale come il massimo bene possibile, e subordinando tutto, salute e felicità compresa, al denaro.

È certo che nella lista delle cose imprescindibili che ognuno deciderebbe di portare con sé in un’isola deserta, nessuno includerebbe il denaro, ma è altrettanto vero che nei Paesi industrializzati (e non solo in quelli) la trasformazione di denaro in potere è giunta a tal punto da costituire il pericolo più grave per le democrazie perché, essendo sedi primarie di potere, subiscono inevitabilmente una specie di assalto in cui chi riesce a superare le difese, e a entrare nei palazzi in cui si decide, punta a utilizzare il potere non più a favore della polis, ma di sé stesso, o dei gruppi che possono assicurargli un ritorno di qualche tipo.

Nemmeno la Thatcher credeva nella sua frase, ma la usava per respingere le richieste di un welfare migliore; anzi, per distruggerlo tout court. Ma la Thatcher era e si dichiarava di destra. La domanda è: come fa un governo che si autodefinisce di sinistra a elargire i famosi 80 euro alle persone, ma a scaricare le spese riducendo certi servizi per la società? Come fa a ridurre oggettivamente gli spazi di scelta della popolazione e quelli di democrazia perché ritiene necessario privilegiare la cosiddetta governabilità? Come fa ad accusare tutti gli oppositori – interni ed esterni – di “fare ricatti”, quando è il primo soggetto a parlare soltanto per aut aut rifiutando qualsiasi discussione reale e qualsiasi mediazione possibile?
 
E, a proposito di denaro e di corruzione, come fa a lasciare – anche se soltanto ufficialmente – a un proprio ministro la scelta se dimettersi o no davanti a uno scandalo nel quale si è scoperto un nuovo apice di corruttela? Il messaggio è fondamentale e così Renzi ha dimostrato che per lui l’unica cosa importante è la sopravvivenza del suo esecutivo; non dare l’immagine di un governo che vuole – e non soltanto a parole – la pulizia – nelle cose pubbliche. Sembra quasi che lui, cattolico praticante, che non abbia sentito il recentissimo l’intervento dei vescovi che su Berlusconi hanno sottolineato che una cosa è l’assoluzione giudiziaria, mentre ben altra cosa è l’assoluzione morale. Ma, del resto, la stessa idea l'aveva già data quando proprio con Berlusconi, quella volta già colpevole anche per la magistratura, oltre che per l'etica, si era messo a decidere come cambiare la Costituzione in Italia.

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