Nessuna
sorpresa: dopo aver attaccato il potere legislativo con la volontà di
eliminazione del Senato, con un premio elettorale che impedirà ogni
discussione utile in Parlamento, con un’infinita serie di “canguri” e di
“fiducie” che hanno già svuotato le due Camere di ogni potere reale,
ora era giunto il momento di attaccare anche il potere giudiziario.
L’obbiettivo evidente, infatti, è quello di dilatare oltre ogni limite
il potere del potere esecutivo. Proprio quello che la Costituzione
voleva a ogni costo evitare creando tutta una serie di contrappesi per
limitare una possibile, sia pur temporanea, dittatura del governo in
carica.
E non è una caso che il cambiamento
delle regole sulla responsabilità civile dei magistrati sia stato
approvato soltanto con i voti del partito di Renzi (chiamarlo ancora PD,
mi sembrerebbe un’offesa a coloro che lo hanno fondato). Il ministro
della Giustizia Andrea Orlando dice che «la giustizia sarà meno ingiusta
e i cittadini saranno più tutelati». Ma dimentica che la giustizia è
spesso ingiusta soprattutto perché i colpevoli, se ricchi, se la cavano
pagando avvocati espertissimi nel dilatare i tempi per raggiungere la
prescrizione, che la corruzione dilagante trova gran parte del suo
alimento proprio in alcuni anfratti di quella politica che poco o nulla
fa contro i conflitti di interesse, che lascia depenalizzato il falso in
bilancio, che non si preoccupa se nei tribunali mancano giudici,
cancellieri, addirittura la carta.
Del tutto ridicolo, poi, è lo
stesso ministro quando dice che «Valuteremo laicamente gli effetti e
siamo pronti a correggere alcuni punti. Ma ritengo che molti dei
pericoli paventati non hanno riscontro». Ma come? Laicamente in un
partito che è talmente confessionale da accettare come vangelo le parole
del capo? Ma si rende conto che confessa che, per la fretta endemica di
Renzi e dei renziani, non è stata valutata preventivamente con
attenzione una norma delicatissima? Ma davvero pensa che non avrà
riscontro il fatto che ci sarà un diluvio di ricorsi, ora che non serve
più un passaggio preventivo per valutarne l’ammissibilità e che il
travisamento del fatto e della prova rientra fra le ipotesi per cui
chiedere i danni? Il tutto mentre si innalza la soglia economica di
rivalsa del danno.
Stanno distruggendo la Costituzione.
E hanno cominciato dall’articolo 1. Ora, in attesa di vari referendum
abrogativi, l’appello non può che essere quello lanciato a suo tempo da
Borrelli contro Berlusconi: «Resistere. Resistere. Resistere». È
improcrastinabile fuori dal Parlamento, ma anche al suo interno. E anche
all'interno del partito di Renzi.
mercoledì 25 febbraio 2015
lunedì 16 febbraio 2015
Il problema è nostro
Come dice da
sempre Guglielmo Lucilli, ogni problema non deve mai essere visto come
“suo”, ma sempre come nostro. E questo vale a qualsiasi livello. Se
abbiamo un figlio in situazione di disagio, il problema è nostro, non
suo. Dobbiamo viverlo e tentare di risolverlo insieme, non delegarglielo
e pensare che il nostro compito sia soltanto quello di fare la morale e
di rimproverare, e non, soprattutto, quello di capire le nostre colpe
per quanto è accaduto e di impegnarci strettamente insieme a lui per
risolvere il problema. E lo stesso vale anche per tante altre cose.
Vale per la crisi economica della Grecia che è tanto nostra che ora – ma era evidente già da molto tempo – rischia di minare le fondamenta stesse dell’Europa, se si continuerà a non capire che l’Unione deve essere sociale e politica molto prima che economica.
Vale per le crudeltà dell’Isis che stanno diventando davvero nostre soltanto perché si sono avvicinate geograficamente ai nostri confini e perché un ministro, in evidente ricerca di visibilità, ha scelto di parlare prima di pensare e di coordinarsi con i tanti altri che di quelle violenze sono già vittime. Ma che con attuale grande evidenza erano nostre già prima.
Vale per la disperazione dei migranti che scappano da guerre, fame, malattie, dittature, violenze, schiavitù. Che non possono non farlo, come non potremmo non farlo noi nelle loro condizioni. E che troppo spesso lasciamo morire nei loro viaggi della disperazione per risparmiare qualche soldo.
Vale per chi non riesce a trovare un lavoro, per chi non riesce a sostentare decorosamente la propria famiglia, per chi non può curarsi decentemente scontando una crisi economica che non potrà non innescare altre tensioni pericolosissime e subendo un’incapacità politica che permette che gli squilibri nella distribuzione della ricchezza raggiunga livelli tali da far pensare a una fredda determinazione proprio da parte della politica, o a una sua incredibile debolezza davanti ai ricchi.
Vale per chi in Italia vede in pericolo la democrazia davanti a certe parodie di partiti e agli attuali ostinati e inaccettabili metodi di forzare la mano legislativa a colpi di maggioranza per realizzare un teorico potere che poi, inevitabilmente, passerà ad altri e che, comunque, toglierà potere a chi la nostra Costituzione vorrebbe davvero appartenesse: quel popolo in cui esistono pure delle minoranze che hanno diritto di parola, anche e soprattutto se quella parola è capace di dimostrare che chi comanda – e non governa – sta sbagliando.
Vale in tutti questi casi e anche in tanti altri. E valeva anche nel passato mentre Hitler, Stalin, Mussolini, i colonnelli greci, i generali argentini e tanti altri della loro stessa risma distruggevano milioni di uomini.
In tutti questi casi del presente e del passato il problema non è mai “suo”, è sempre nostro.
Questo, ovviamente, se pensiamo di essere parte di una comunità e se decidiamo di comportarci di conseguenza. Di una comunità di grandezza assolutamente variabile che spazia dalla famiglia alla specie umana.
Perché nostra non deve essere soltanto la ricchezza: nostro deve essere sempre anche il debito. E non parlo soltanto di ricchezze e debiti pecuniari. Altrimenti, se non ci impegneremo con fatica, con pazienza, magari anche commettendo qualche errore, alla fine ci resterà soltanto il debito che deriverà da ogni problema che delegheremo totalmente agli altri con l’assurda e sbagliata convinzione che il non restarne coinvolti, che il non considerare mai la nostra responsabilità individuale in quello che ci succede attorno, possa assicurarci la tranquillità. Questo impegno è sempre stato il connotato e la spinta di quella vera sinistra che oggi non può non essere costruttivamente rimpianta.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
Vale per la crisi economica della Grecia che è tanto nostra che ora – ma era evidente già da molto tempo – rischia di minare le fondamenta stesse dell’Europa, se si continuerà a non capire che l’Unione deve essere sociale e politica molto prima che economica.
Vale per le crudeltà dell’Isis che stanno diventando davvero nostre soltanto perché si sono avvicinate geograficamente ai nostri confini e perché un ministro, in evidente ricerca di visibilità, ha scelto di parlare prima di pensare e di coordinarsi con i tanti altri che di quelle violenze sono già vittime. Ma che con attuale grande evidenza erano nostre già prima.
Vale per la disperazione dei migranti che scappano da guerre, fame, malattie, dittature, violenze, schiavitù. Che non possono non farlo, come non potremmo non farlo noi nelle loro condizioni. E che troppo spesso lasciamo morire nei loro viaggi della disperazione per risparmiare qualche soldo.
Vale per chi non riesce a trovare un lavoro, per chi non riesce a sostentare decorosamente la propria famiglia, per chi non può curarsi decentemente scontando una crisi economica che non potrà non innescare altre tensioni pericolosissime e subendo un’incapacità politica che permette che gli squilibri nella distribuzione della ricchezza raggiunga livelli tali da far pensare a una fredda determinazione proprio da parte della politica, o a una sua incredibile debolezza davanti ai ricchi.
Vale per chi in Italia vede in pericolo la democrazia davanti a certe parodie di partiti e agli attuali ostinati e inaccettabili metodi di forzare la mano legislativa a colpi di maggioranza per realizzare un teorico potere che poi, inevitabilmente, passerà ad altri e che, comunque, toglierà potere a chi la nostra Costituzione vorrebbe davvero appartenesse: quel popolo in cui esistono pure delle minoranze che hanno diritto di parola, anche e soprattutto se quella parola è capace di dimostrare che chi comanda – e non governa – sta sbagliando.
Vale in tutti questi casi e anche in tanti altri. E valeva anche nel passato mentre Hitler, Stalin, Mussolini, i colonnelli greci, i generali argentini e tanti altri della loro stessa risma distruggevano milioni di uomini.
In tutti questi casi del presente e del passato il problema non è mai “suo”, è sempre nostro.
Questo, ovviamente, se pensiamo di essere parte di una comunità e se decidiamo di comportarci di conseguenza. Di una comunità di grandezza assolutamente variabile che spazia dalla famiglia alla specie umana.
Perché nostra non deve essere soltanto la ricchezza: nostro deve essere sempre anche il debito. E non parlo soltanto di ricchezze e debiti pecuniari. Altrimenti, se non ci impegneremo con fatica, con pazienza, magari anche commettendo qualche errore, alla fine ci resterà soltanto il debito che deriverà da ogni problema che delegheremo totalmente agli altri con l’assurda e sbagliata convinzione che il non restarne coinvolti, che il non considerare mai la nostra responsabilità individuale in quello che ci succede attorno, possa assicurarci la tranquillità. Questo impegno è sempre stato il connotato e la spinta di quella vera sinistra che oggi non può non essere costruttivamente rimpianta.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
sabato 14 febbraio 2015
Chi deve rammaricarsi
Che, secondo
lui, il Parlamento non serva più a niente Renzi ormai l’ha dimostrato ad
abundantiam con quello che è successo negli ultimi giorni e soprattutto
nell’ultima notte nella quale il PD è rimasto da solo nell’aula a
cancellare tutti gli emendamenti possibili ai cambiamenti della
Costituzione con una fretta e un’improntitudine che soltanto il
presidente del Consiglio pro tempore potrebbe spiegare. Dopo la
squallida approvazione da parte della sola maggioranza di un solo
partito, ha detto: «Credo che a rammaricarsi debbano essere il
centrodestra, le opposizioni. Noi bene così, andiamo avanti».
Io sono convinto, invece, che a rammaricarsi debbano essere i deputati del PD cjhe, pur recalcitranti, hanno preferito cancellare il loro voto di coscienza per privilegiare la disciplina di partito. Ma evidentemente Renzi non crede che in questa Italia ci siano tantissime persone che oltre al discorso economico – o forse addirittura prima del discorso economico – tengano alla democrazia. Ettore Rosato, bontà sua, chiudendo i lavori dell'Assemblea, ha ammesso che quell’aula semivuota, per la decisione di tutte le opposizioni di uscire, è «una ferita istituzionale». E verrebbe da chiedergli perché, allora, stante la sua consapevolezza, ha contribuito a infliggere questa profonda ferita alla democrazia italiana.
Una ferita che è stata anche accompagnata da qualche beffa come quella che, in presenza di un articolo della Costituzione che afferma che «l’Italia ripudia la guerra», stabilisce che spetterà alla sola Camera dei deputati, con la maggioranza assoluta dei voti a deliberare lo stato di guerra. Dal suo profondo vuoto il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, definisce questa scelta un ragionevole punto di «mediazione». Ma quale mediazione può esserci con un ripudio? E che senso ha parlare di maggioranza assoluta se nell’unica Camera esistente la nuova legge maggioritaria con premi assegnerà a chi vince almeno il 55 per cento dei seggi?
Renzi è riuscito nel capolavoro di far sentire personaggi come quelli della Lega e di Forza Italia autorizzati a parlare di democrazia; addirittura a sentirsene paladini. Non riesco a capire come si potrà votare ancora per il partito di Renzi fino a quando Renzi sarà il suo segretario.
Sono sempre più coloro che si stanno rendendo conto che dalle crisi economiche, pur profonde, è più facile uscire che dalle crisi democratiche. E forse molti che avevano rifiutato il diritto di voto perché non soddisfatti dalle alternative proposte cominceranno a pensare che davanti a questo rischio sempre più palpabile occorre darsi da fare per opporsi democraticamente allo smantellamento della democrazia. L’omissione adesso sarebbe assimilabile alla complicità. Sia dentro, sia fuori dal PD.
Io sono convinto, invece, che a rammaricarsi debbano essere i deputati del PD cjhe, pur recalcitranti, hanno preferito cancellare il loro voto di coscienza per privilegiare la disciplina di partito. Ma evidentemente Renzi non crede che in questa Italia ci siano tantissime persone che oltre al discorso economico – o forse addirittura prima del discorso economico – tengano alla democrazia. Ettore Rosato, bontà sua, chiudendo i lavori dell'Assemblea, ha ammesso che quell’aula semivuota, per la decisione di tutte le opposizioni di uscire, è «una ferita istituzionale». E verrebbe da chiedergli perché, allora, stante la sua consapevolezza, ha contribuito a infliggere questa profonda ferita alla democrazia italiana.
Una ferita che è stata anche accompagnata da qualche beffa come quella che, in presenza di un articolo della Costituzione che afferma che «l’Italia ripudia la guerra», stabilisce che spetterà alla sola Camera dei deputati, con la maggioranza assoluta dei voti a deliberare lo stato di guerra. Dal suo profondo vuoto il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, definisce questa scelta un ragionevole punto di «mediazione». Ma quale mediazione può esserci con un ripudio? E che senso ha parlare di maggioranza assoluta se nell’unica Camera esistente la nuova legge maggioritaria con premi assegnerà a chi vince almeno il 55 per cento dei seggi?
Renzi è riuscito nel capolavoro di far sentire personaggi come quelli della Lega e di Forza Italia autorizzati a parlare di democrazia; addirittura a sentirsene paladini. Non riesco a capire come si potrà votare ancora per il partito di Renzi fino a quando Renzi sarà il suo segretario.
Sono sempre più coloro che si stanno rendendo conto che dalle crisi economiche, pur profonde, è più facile uscire che dalle crisi democratiche. E forse molti che avevano rifiutato il diritto di voto perché non soddisfatti dalle alternative proposte cominceranno a pensare che davanti a questo rischio sempre più palpabile occorre darsi da fare per opporsi democraticamente allo smantellamento della democrazia. L’omissione adesso sarebbe assimilabile alla complicità. Sia dentro, sia fuori dal PD.
domenica 8 febbraio 2015
La battaglia per il referendum
Debora Serracchiani, nella sua
veste di vicesegretario del PD, ha perfettamente ragione quando dice:
«Berlusconi che parla di deriva autoritaria è quasi commovente»,
rispondendo alla frase «Avvertiamo il rischio che vengano meno le
condizioni indispensabili per una vera democrazia e che ci si possa
avviare verso una deriva autoritaria». Il problema è che nella sostanza
l’ex cavaliere ha ragioni da vendere e che adesso sbraita soltanto
perché questa “deriva autoritaria” non sarà lui a gestirla, anche se da
un ventennio tentava di realizzarla.
Da sempre considero lo stravolgimento assoluto del Senato e la nuova legge elettorale due iatture da evitare a qualsiasi costo, ma adesso la cosa diventa ancora più pericolosa e più urgente perché sempre più vicino alla realtà è quello che fino a poco tempo fa sembrava soltanto un incubo: il Partito della Nazione, che già nella sua esposizione semantica è un ossimoro creato per imbrogliare la gente, visto che partito significa dividere da altri e nazione postula un’unità da non scalfire.
L’incubo diventa realtà perché dopo l’ingresso nel PD di Migliore e di altri esponenti di SEL, ora assistiamo al rientro di personaggi come Ichino, Maran e altri di SC, mentre si stanno spalancando le porte anche a buona parte dei fuoriusciti del M5S. Ne uscirà un guazzabuglio politico indistinguibile.Maria Elena Boschi afferma che il PD è un partito aperto e Pierluigi Bersani ribatte dicendo che il PD non può essere una porta girevole attraverso la quale si può entrare e uscire a piacimento. Ma questo è soltanto un aspetto – e probabilmente il minore – della faccenda.
Il punto fondamentale è che se si proseguirà su questa strada l’esistenza del Parlamento non avrà più alcun senso, se non quello di fare da paravento a un regime più o meno autocratico, perché tutto sarà discusso e votato nell’assemblea del Partito della Nazione e poi le decisioni saranno portate a Montecitorio soltanto per sottoporle a una scontata ratifica di una maggioranza straripante e praticamente invariabile in cui le opposizioni faranno soltanto da figuranti senza diritto di pensiero, oltre che di parola. Anche perché sempre più è guardato con insofferenza l’articolo 67 della Costituzione, quello in cui si dice – difendendo, appunto, l’essenza della democrazia – che i parlamentari non hanno “vincolo di mandato”.
Aggiungete a questa nuova realtà che non ci sarà più nemmeno una seconda Camera capace di riformare gli errori della prima e il quadro diventa completo. Oltre che terrorizzante.
E non ci si venga a dire che chi la pensa come me è soltanto un oppositore di Renzi e dei suoi: diamo loro pure atto di totale buona fede, ma non possiamo non pensare a come sarebbe l’Italia oggi se nel 1992 il Berlusconi vincitore delle elezioni avesse trovato queste regole già in vigore. E a cosa potrebbe succedere in futuro se qualche altro personaggio poco raccomandabile dovesse conquistare Palazzo Chigi.
Chiediamoci, per favore, perché tanti italiani hanno sacrificato la vita durante il fascismo e durante la Lotta di Liberazione con il sogno di una democrazia stabile. Chiediamoci perché i padri costituenti sono stati così attenti a creare contrappesi capaci di disinnescare ogni tentazione autoritaria. Chiediamoci se l’Italia in cui dilaga la corruzione è più virtuosa – e quindi dotata di anticorpi sociali – di quella del 1948.
La realtà è che non siamo mai stati così vicini alla realizzazione di una parte fondamentale del cosiddetto “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli.
La battaglia per il referendum previsto dalla Costituzione in caso di leggi di revisione costituzionale approvate con meno di due terzi dei parlamentari (sempre sperando che questo avvenga davvero) deve cominciare già da oggi.
Da sempre considero lo stravolgimento assoluto del Senato e la nuova legge elettorale due iatture da evitare a qualsiasi costo, ma adesso la cosa diventa ancora più pericolosa e più urgente perché sempre più vicino alla realtà è quello che fino a poco tempo fa sembrava soltanto un incubo: il Partito della Nazione, che già nella sua esposizione semantica è un ossimoro creato per imbrogliare la gente, visto che partito significa dividere da altri e nazione postula un’unità da non scalfire.
L’incubo diventa realtà perché dopo l’ingresso nel PD di Migliore e di altri esponenti di SEL, ora assistiamo al rientro di personaggi come Ichino, Maran e altri di SC, mentre si stanno spalancando le porte anche a buona parte dei fuoriusciti del M5S. Ne uscirà un guazzabuglio politico indistinguibile.Maria Elena Boschi afferma che il PD è un partito aperto e Pierluigi Bersani ribatte dicendo che il PD non può essere una porta girevole attraverso la quale si può entrare e uscire a piacimento. Ma questo è soltanto un aspetto – e probabilmente il minore – della faccenda.
Il punto fondamentale è che se si proseguirà su questa strada l’esistenza del Parlamento non avrà più alcun senso, se non quello di fare da paravento a un regime più o meno autocratico, perché tutto sarà discusso e votato nell’assemblea del Partito della Nazione e poi le decisioni saranno portate a Montecitorio soltanto per sottoporle a una scontata ratifica di una maggioranza straripante e praticamente invariabile in cui le opposizioni faranno soltanto da figuranti senza diritto di pensiero, oltre che di parola. Anche perché sempre più è guardato con insofferenza l’articolo 67 della Costituzione, quello in cui si dice – difendendo, appunto, l’essenza della democrazia – che i parlamentari non hanno “vincolo di mandato”.
Aggiungete a questa nuova realtà che non ci sarà più nemmeno una seconda Camera capace di riformare gli errori della prima e il quadro diventa completo. Oltre che terrorizzante.
E non ci si venga a dire che chi la pensa come me è soltanto un oppositore di Renzi e dei suoi: diamo loro pure atto di totale buona fede, ma non possiamo non pensare a come sarebbe l’Italia oggi se nel 1992 il Berlusconi vincitore delle elezioni avesse trovato queste regole già in vigore. E a cosa potrebbe succedere in futuro se qualche altro personaggio poco raccomandabile dovesse conquistare Palazzo Chigi.
Chiediamoci, per favore, perché tanti italiani hanno sacrificato la vita durante il fascismo e durante la Lotta di Liberazione con il sogno di una democrazia stabile. Chiediamoci perché i padri costituenti sono stati così attenti a creare contrappesi capaci di disinnescare ogni tentazione autoritaria. Chiediamoci se l’Italia in cui dilaga la corruzione è più virtuosa – e quindi dotata di anticorpi sociali – di quella del 1948.
La realtà è che non siamo mai stati così vicini alla realizzazione di una parte fondamentale del cosiddetto “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli.
La battaglia per il referendum previsto dalla Costituzione in caso di leggi di revisione costituzionale approvate con meno di due terzi dei parlamentari (sempre sperando che questo avvenga davvero) deve cominciare già da oggi.
domenica 1 febbraio 2015
Complimenti e verifiche
Niente da dire.
Questa volta è obbligatorio fare i complimenti a Matteo Renzi e alle
altre figure di primo piano della maggioranza e delle minoranze del PD
per come sono arrivati all’elezione di Sergio Mattarella che mai
riuscirà a cancellare lo sfregio fatto dai 101 con il tradimento nella
votazione per Prodi, ma che ci assicura un presidente che possiede
un’etica sociale e politica, e che da queste non intende deflettere
perché mai le ha tradite, per i prossimi sette anni. Complimenti anche
perché questa elezione ha ulteriormente indebolito la posizione di
Berlusconi e ridotto le nefaste conseguenze del patto del Nazareno.
Ridotto, ma non eliminato perché alcuni frutti avvelenati, come il Jobs
act, sono già entrati nella vita degli italiani e altri, come questa
riforma elettorale, sembrano molto vicini a entrarci.
Ma in quest’anno il cinismo politico di Renzi ha già avuto modo di esprimersi abbondantemente con una specie di politica a geometrie variabili che gli permette di allearsi ora con questo, ora con quello, a seconda di quelle che sono le sue necessità del momento per raggiungere i suoi obbiettivi.
I complimenti a Renzi, dunque, sono obbligatori, ma questo non può cancellare il dissenso con il suo operato, Né, tantomeno, può far abbassare la guardia sulle tante altre cose che si dovranno decidere per tirare fuori l’Italia da quella profonda crisi – non soltanto economica – in cui è sprofondata.
Le prime parole del nuovo presidente della Repubblica («Il pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. È sufficiente questo») e il suo primo atto pubblico (la visita alle Fosse Ardeatine) sono realtà che già indicano una strada ben precisa che non si sostanzia soltanto in minore disoccupazione, maggiori stipendi e minori tasse, ma anche e soprattutto, con la parola “speranze”, nell’antico e sempre disatteso desiderio di trasformare l’Italia in un Paese in cui normale sia la legalità e non la corruzione, in cui gli onesti non si sentano dei poveri scemi, in cui i conflitti di interessi cessino di essere la norma, in cui le cose che non vanno vengano denunciate non soltanto dalle inchieste di pochi giornalisti, ma soprattutto dai responsabili della politica.
Ma in quest’anno il cinismo politico di Renzi ha già avuto modo di esprimersi abbondantemente con una specie di politica a geometrie variabili che gli permette di allearsi ora con questo, ora con quello, a seconda di quelle che sono le sue necessità del momento per raggiungere i suoi obbiettivi.
I complimenti a Renzi, dunque, sono obbligatori, ma questo non può cancellare il dissenso con il suo operato, Né, tantomeno, può far abbassare la guardia sulle tante altre cose che si dovranno decidere per tirare fuori l’Italia da quella profonda crisi – non soltanto economica – in cui è sprofondata.
Le prime parole del nuovo presidente della Repubblica («Il pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. È sufficiente questo») e il suo primo atto pubblico (la visita alle Fosse Ardeatine) sono realtà che già indicano una strada ben precisa che non si sostanzia soltanto in minore disoccupazione, maggiori stipendi e minori tasse, ma anche e soprattutto, con la parola “speranze”, nell’antico e sempre disatteso desiderio di trasformare l’Italia in un Paese in cui normale sia la legalità e non la corruzione, in cui gli onesti non si sentano dei poveri scemi, in cui i conflitti di interessi cessino di essere la norma, in cui le cose che non vanno vengano denunciate non soltanto dalle inchieste di pochi giornalisti, ma soprattutto dai responsabili della politica.
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