lunedì 5 gennaio 2015

Sempre meno “demo”, sempre più “crazìa”

Sarebbe facile continuare a sottolineare le infinite incompatibilità tra le scelte fatte da Renzi e una politica davvero di sinistra, o, almeno, di centrosinistra. Oppure ci si potrebbe anche soffermare su quanto lucida sia l’analisi di Thomas Piketty, il francese definito “l’economista più autorevole del 2014” dal Financial Times, quando dice che il vero rischio per l’Europa non è costituito dalla voglia di equità sociale di Tsipras, ma dall’immobilismo egoistico della Merkel e dall’ipocrisia rapace di Junker; cosa quasi immediatamente confermata dalla stessa Merkel e dal suo ministro Schäuble quando hanno fatto trapelare che, tutto sommato, nulla succede se la Grecia decide di uscire dall’euro.
 
Però, se non ci si vuole limitare a lamentarsi e a recriminare, ma si punta a reagire in qualche modo per cambiare l’andazzo con cui – in Italia e in Europa – i problemi degli altri non vanno risolti, bensì soltanto eliminati dalle tavole di discussione, allora occorre cominciare a pensare a come fare davvero opposizione, con la speranza di riuscire a cambiare sul serio le cose. Perché, se continueremo a ragionare con i vecchi canoni non riusciremo mai a cavare un ragno dal buco visto che intanto la democrazia ci è già cambiata sotto gli occhi, e con lei sono cambiate le regole con le quali ci si deve battere per realizzare i sogni o le utopie legati ai propri valori. Questo, insomma, non vuole essere un commento a un fatto già verificatosi, ma piuttosto un invito a ragionare insieme, a cercare una strada per riuscire a trovare la possibilità di governare avvenimenti che ancora devono accadere.

Credo che la prima cosa di cui si debba tener conto è che non viviamo più in un sistema proporzionale, ma in uno maggioritario e questo comporta il fatto, o almeno la convinzione, che chi è in maggioranza può fare ciò che vuole senza curarsi troppo delle opposizioni; non soltanto sulle cose fondamentali (e questo può essere comprensibile perché sui principi fondamentali è difficile trovare compromessi, a meno di non rinunciare proprio a quei principi), ma anche su determinati particolari che potrebbero essere oggettivamente migliorativi. Chi è in maggioranza, insomma, dice di no – a prescindere – a qualsiasi proposta di cambiamento, rispetto alle proprie decisioni, anche se arriva dal proprio stesso partito, in nome di quella cosiddetta “governabilità” che, checché ne dicano i sostenitori, è il maggiore pericolo per la democrazia perché presuppone velocità di decisione e assenza di discussione, mentre la democrazia proprio sulla discussione – e sui tempi da essa richiesti – si basa.

In questo quadro va valutata negativamente, secondo me, anche la volontà di abolire il Senato nella forma voluta dai padri costituenti che, secondo l'ormai quasi ex presidente Napolitano, in questo hanno commesso un errore perché ha rallentato insopportabilmente l’attività legislativa. Però, contemporaneamente, l’esistenza di quel Senato ha consentito un controllo molto più attento dell’attività del potere esecutivo. Controllo anche a livello molto basso e l’ultima prova è data dal pasticcio che stava per passare, a favore di Berlusconi, sulla riforma del fisco: se non c’è dolo, c’è un colpevole pressapochismo almeno pari a quello che ha causato il crollo del viadotto inaugurato da appena dieci giorni in Sicilia.

E non vorrei anche che si dimenticasse in alcun modo che, proprio con una teorica scarsa governabilità, l’Italia è riuscita a riemergere dalle macerie della guerra e a costruire e consolidare il boom economico, mentre proprio nel periodo delle smanie di “governabilità” ha eroso tanto il terrazzamento su cui si era assestata da rischiare seriamente di cadere nel baratro. Difficile credere alle coincidenze.

È proprio nel passaggio dal proporzionale al maggioritario, dalla ricerca delle convergenze possibili alla “governabilità” senza rallentamenti e senza approfondimenti, che la democrazia italiana rischia di diventare sempre meno “demo” e sempre più “crazìa”. Pensateci: una volta tutti i gruppi che avevano da dire qualcosa che metteva d’accordo una quantità consistente di persone avevano la possibilità di avere l’attenzione di chi aveva il potere di decidere. Manifestazioni, scioperi, ma anche interventi e interviste a nome di gruppi e organizzazioni, inducevano i partiti a non trascurare di valutare le varie richieste perché uno 0,2 / 0,3 per cento in più o in meno alle elezioni poteva fare la differenza tra l’entrare nella coalizione di governo, o nel restarne esclusi. E, quindi, la ricerca di soluzioni non soltanto di parte era quasi obbligata. Ora questo non avviene più perché chi possiede una maggioranza blindata dai premi elettorali può benissimo infischiarsene delle opinioni altrui e procedere sordo e determinato come un bulldozer. Ma anche perché i partiti non sono più tali e si sono trasformati sempre di più in comitati elettorali di un leader diventato tale in mille modi diversi tra i quali la visione politica molto spesso sembra essere il meno importante

Ovviamente nel tempo del proporzionale c’erano anche abusi e prepotenze, errori e contraddizioni, sacche di privilegi e di delinquenza. Aspetto ancora, però, che qualcuno mi dimostri che abusi e prepotenze, errori e contraddizioni, sacche di privilegi e di delinquenza non ci siano stati e non ci siano anche nell’epoca del maggioritario. Anzi, sono stati e sono, pur in meno anni, molti di più.

Ora, se non ci si vuole rassegnare a un mondo in cui i forti comandano e gli altri obbediscono, i ricchi vivono negli agi e i poveri muoiono di fame, di freddo, di malattie e (perché no?) di sete visto lo scandaloso aumento delle tariffe dell’acqua che rende anche il liquido fondamentale per la vita sempre meno raggiungibile per chi non ha soldi, bisogna chiedersi come si può realizzare un’efficace opposizione a quello che sta accadendo nel nostro Paese e, poi, anche in Europa. Come si può allestire un’efficace nuova Resistenza che non si basi assolutamente sulle armi, ma sulla forza della ragione e del convincimento e che dia nuovamente alla popolazione il piacere della democrazia vera, la gioia di partecipare non soltanto al voto, ma anche alla costruzione di soluzioni che comunque vengono cercate, anche se comportano tempo e fatica.

La risposta è difficilissima ed è alla sua ricerca, per prima, che tutti devono partecipare. E, a proposito di Resistenza, proprio dalla pagina più luminosa dell’ultimo secolo di storia italiana deve arrivare il primo comandamento: quello di restare tutti uniti almeno sull’obbiettivo primario di riconquistare la nostra democrazia. Quella volta rischiavano la vita insieme comunisti e monarchici, cattolici e azionisti, socialisti e liberali, anarchici e radicali. Questa volta la vita non la rischia nessuno e se a questo obbiettivo ci si tiene davvero la perdita di un po’ di tempo per lavorare seriamente insieme, almeno a sinistra, non dovrebbe spaventare. O, almeno, dovrebbe spaventare molto meno di quello che si sta profilando all’orizzonte.

Io, almeno, la penso così. E voi?

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