Sarebbe facile
continuare a sottolineare le infinite incompatibilità tra le scelte
fatte da Renzi e una politica davvero di sinistra, o, almeno, di
centrosinistra. Oppure ci si potrebbe anche soffermare su quanto lucida
sia l’analisi di Thomas Piketty, il francese definito “l’economista più
autorevole del 2014” dal Financial Times, quando dice che il vero
rischio per l’Europa non è costituito dalla voglia di equità sociale di
Tsipras, ma dall’immobilismo egoistico della Merkel e dall’ipocrisia
rapace di Junker; cosa quasi immediatamente confermata dalla stessa
Merkel e dal suo ministro Schäuble quando hanno fatto trapelare che,
tutto sommato, nulla succede se la Grecia decide di uscire dall’euro.
Però, se non ci si vuole limitare a
lamentarsi e a recriminare, ma si punta a reagire in qualche modo per
cambiare l’andazzo con cui – in Italia e in Europa – i problemi degli
altri non vanno risolti, bensì soltanto eliminati dalle tavole di
discussione, allora occorre cominciare a pensare a come fare davvero
opposizione, con la speranza di riuscire a cambiare sul serio le cose.
Perché, se continueremo a ragionare con i vecchi canoni non riusciremo
mai a cavare un ragno dal buco visto che intanto la democrazia ci è già
cambiata sotto gli occhi, e con lei sono cambiate le regole con le quali
ci si deve battere per realizzare i sogni o le utopie legati ai propri
valori. Questo, insomma, non vuole essere un commento a un fatto già
verificatosi, ma piuttosto un invito a ragionare insieme, a cercare una
strada per riuscire a trovare la possibilità di governare avvenimenti
che ancora devono accadere.
Credo che la prima cosa di cui si
debba tener conto è che non viviamo più in un sistema proporzionale, ma
in uno maggioritario e questo comporta il fatto, o almeno la
convinzione, che chi è in maggioranza può fare ciò che vuole senza
curarsi troppo delle opposizioni; non soltanto sulle cose fondamentali
(e questo può essere comprensibile perché sui principi fondamentali è
difficile trovare compromessi, a meno di non rinunciare proprio a quei
principi), ma anche su determinati particolari che potrebbero essere
oggettivamente migliorativi. Chi è in maggioranza, insomma, dice di no –
a prescindere – a qualsiasi proposta di cambiamento, rispetto alle
proprie decisioni, anche se arriva dal proprio stesso partito, in nome
di quella cosiddetta “governabilità” che, checché ne dicano i
sostenitori, è il maggiore pericolo per la democrazia perché presuppone
velocità di decisione e assenza di discussione, mentre la democrazia
proprio sulla discussione – e sui tempi da essa richiesti – si basa.
In questo quadro va valutata
negativamente, secondo me, anche la volontà di abolire il Senato nella
forma voluta dai padri costituenti che, secondo l'ormai quasi ex
presidente Napolitano, in questo hanno commesso un errore perché ha
rallentato insopportabilmente l’attività legislativa. Però,
contemporaneamente, l’esistenza di quel Senato ha consentito un
controllo molto più attento dell’attività del potere esecutivo.
Controllo anche a livello molto basso e l’ultima prova è data dal
pasticcio che stava per passare, a favore di Berlusconi, sulla riforma
del fisco: se non c’è dolo, c’è un colpevole pressapochismo almeno pari a
quello che ha causato il crollo del viadotto inaugurato da appena dieci
giorni in Sicilia.
E non vorrei anche che si
dimenticasse in alcun modo che, proprio con una teorica scarsa
governabilità, l’Italia è riuscita a riemergere dalle macerie della
guerra e a costruire e consolidare il boom economico, mentre proprio nel
periodo delle smanie di “governabilità” ha eroso tanto il terrazzamento
su cui si era assestata da rischiare seriamente di cadere nel baratro.
Difficile credere alle coincidenze.
È proprio nel passaggio dal
proporzionale al maggioritario, dalla ricerca delle convergenze
possibili alla “governabilità” senza rallentamenti e senza
approfondimenti, che la democrazia italiana rischia di diventare sempre
meno “demo” e sempre più “crazìa”. Pensateci: una volta tutti i gruppi
che avevano da dire qualcosa che metteva d’accordo una quantità
consistente di persone avevano la possibilità di avere l’attenzione di
chi aveva il potere di decidere. Manifestazioni, scioperi, ma anche
interventi e interviste a nome di gruppi e organizzazioni, inducevano i
partiti a non trascurare di valutare le varie richieste perché uno 0,2 /
0,3 per cento in più o in meno alle elezioni poteva fare la differenza
tra l’entrare nella coalizione di governo, o nel restarne esclusi. E,
quindi, la ricerca di soluzioni non soltanto di parte era quasi
obbligata. Ora questo non avviene più perché chi possiede una
maggioranza blindata dai premi elettorali può benissimo infischiarsene
delle opinioni altrui e procedere sordo e determinato come un bulldozer.
Ma anche perché i partiti non sono più tali e si sono trasformati
sempre di più in comitati elettorali di un leader diventato tale in
mille modi diversi tra i quali la visione politica molto spesso sembra
essere il meno importante
Ovviamente nel tempo del
proporzionale c’erano anche abusi e prepotenze, errori e contraddizioni,
sacche di privilegi e di delinquenza. Aspetto ancora, però, che
qualcuno mi dimostri che abusi e prepotenze, errori e contraddizioni,
sacche di privilegi e di delinquenza non ci siano stati e non ci siano
anche nell’epoca del maggioritario. Anzi, sono stati e sono, pur in meno
anni, molti di più.
Ora, se non ci si vuole rassegnare a
un mondo in cui i forti comandano e gli altri obbediscono, i ricchi
vivono negli agi e i poveri muoiono di fame, di freddo, di malattie e
(perché no?) di sete visto lo scandaloso aumento delle tariffe
dell’acqua che rende anche il liquido fondamentale per la vita sempre
meno raggiungibile per chi non ha soldi, bisogna chiedersi come si può
realizzare un’efficace opposizione a quello che sta accadendo nel nostro
Paese e, poi, anche in Europa. Come si può allestire un’efficace nuova
Resistenza che non si basi assolutamente sulle armi, ma sulla forza
della ragione e del convincimento e che dia nuovamente alla popolazione
il piacere della democrazia vera, la gioia di partecipare non soltanto
al voto, ma anche alla costruzione di soluzioni che comunque vengono
cercate, anche se comportano tempo e fatica.
La risposta è difficilissima ed è
alla sua ricerca, per prima, che tutti devono partecipare. E, a
proposito di Resistenza, proprio dalla pagina più luminosa dell’ultimo
secolo di storia italiana deve arrivare il primo comandamento: quello di
restare tutti uniti almeno sull’obbiettivo primario di riconquistare la
nostra democrazia. Quella volta rischiavano la vita insieme comunisti e
monarchici, cattolici e azionisti, socialisti e liberali, anarchici e
radicali. Questa volta la vita non la rischia nessuno e se a questo
obbiettivo ci si tiene davvero la perdita di un po’ di tempo per
lavorare seriamente insieme, almeno a sinistra, non dovrebbe spaventare.
O, almeno, dovrebbe spaventare molto meno di quello che si sta
profilando all’orizzonte.
Io, almeno, la penso così. E voi?
Nessun commento:
Posta un commento