sabato 17 gennaio 2015

Casa propria o casa altrui?

La decisione di Sergio Cofferati di uscire dal PD, partito di cui è tra i fondatori, non è cosa che possa lasciare indifferenti e può anche costituire un punto di snodo fondamentale nelle vicende politiche italiane perché è una spinta decisa, se non decisiva, verso una chiarificazione della reale collocazione politica del partito che era erede di parte della sinistra italiana e che si è spostato sempre di più verso il centrodestra.
Della squallida vicenda delle primarie liguri è praticamente inutile parlare: tutti noi abbiamo visto personalmente, nelle primarie alle quali abbiamo partecipato, quante persone di indubbia fede di centrodestra siano andate a inquinare le elezioni interne del centrosinistra. E inquinare è la parola esatta in quanto il centrodestra ha decisamente spostato verso se stessa la barra di un timone politico che non è più diretto nel verso in cui – pur faticosamente e con reciproci sacrifici – era stato fissato da donne e uomini dei DS e della Margherita.

È importante parlare, invece, di come questa vicenda sia stata vissuta nel PD. Lasciamo pur perdere la grande arroganza e la scarsissima profondità politica dimostrate dalla “vincitrice” Paita, sempre e comunque sorridente, come renzismo comanda, anche davanti alle accuse più nefande. E, in definitiva, non stupisce neppure che la vicenda sia finita – e con non eccessivo rilievo – nelle pagine interne dei quotidiani: intanto perché giustamente i fatti avvenuti in Francia meritavano lo spazio maggiore e più importante, ma un po’ anche in quanto ormai le polemiche sulle primarie del PD sono diventate una costante e, quindi, non fanno più tanta notizia.

Quello su cui è invece doveroso soffermarsi è il silenzio all’interno del PD: da parte della maggioranza perché certe nefandezze, quando si vince in quel modo, è meglio lasciarle sfumare con il passare del tempo; dall’altra parte perché nella minoranza del partito di Renzi c’è una sorta di rassegnazione con cui vengono accolti e accettati imbrogli e soprusi.
 

Credo che oggi, mentre Cofferati decide di andarsene sbattendo la porta, sia fondamentale analizzare meglio la frase di Pierluigi Bersani: «Io non me ne vado perché questa è casa mia». Chi è nel giusto? O, forse, entrambi sono nel giusto, ma seguono strategie diverse? Insomma, quando un Paese viene invaso da truppe straniere continua a essere la propria casa, come dice Bersani, oppure diventa – si spera temporaneamente – una casa altrui, come fa capire Cofferati?

Credo che l’importante non sia dare una risposta a questo quesito, ma, come più volte ha insegnato la storia, che sia necessario mettersi di fronte al problema di come riconquistare la propria casa: se facendo resistenza all’interno, oppure conducendo una battaglia di liberazione dall’esterno. Entrambe le soluzioni possono essere percorribili, ma richiedono determinazione, sacrificio e pazienza.

Per il successo di entrambe, però sono necessari almeno due presupposti: il primo consiste nell’essere convinti che la sinistra abbia diritto a un proprio spazio (a prescindere se vincente, o perdente) nel quale cercare di sviluppare i propri valori; il secondo è far capire a tutti che quello che viene definito, soprattutto da interessati esponenti di destra, come un partito di sinistra, non è più nemmeno lontanamente tale, anche a prescindere dai reiterati tentativi di regali da fare a Berlusconi.

Insomma, la resistenza, che sia dall’interno, o dall’esterno, ha bisogno di basarsi su una questione morale che, oltre che guardare ai tanti problemi irrisolti dal punto di vista delle illecite commistioni tra politica ed economia, metta in primo piano anche l’uso onesto del vocabolario, la trasparenza nelle proprie intenzioni davanti all’elettorato e la necessità di cancellare quei modelli pessimi di comportano che sono diventati ormai frequenti nelle consultazioni elettorali e sui quali, in alto loco, si preferisce fare silenzio.

Tutti dovrebbero ricordare che è importante far vincere un partito che porti i propri ideali, e non far vincere un partito che continui a usare il medesimo nome, ma che porti ideali opposti.

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