giovedì 4 dicembre 2014

L’inglese per non far capire

Il Jobs Act è legge. E chi l’ha voluto continua a ripetere questa frase come un mantra in tutte le interviste, in tutte le trasmissioni, come se questa frase potesse diventare garanzia che una legge, pur approvata a colpi di fiducia, è anche una buona legge. Come se la gente potesse dimenticarsi che tra le “buone leggi” ci sono stati anche, soltanto per fare due esempi, la Cirielli e il Porcellum, che si sono confermate due veri e propri cancri per il nostro Paese e che ancora adesso non è possibile consegnare completamente alla storia degli errori, o, meglio, delle mascalzonate deliberatamente volute.
Anche il Jobs Act è un abominio e i suoi frutti avvelenati si assaggeranno, purtroppo, in breve tempo perché l’unico effetto certo della sua pur ancora approssimativa formulazione sarà quello di dilatare ulteriormente l’abisso che sempre più divide i ricchi dai poveri e di cancellare ancora gran parte del residuo di quella che le memorie storiche ricordano come “classe media”.

Né può far sperare in qualcosa di buono il fatto che il ddl contiene cinque deleghe su ammortizzatori sociali, politiche attive, semplificazioni, riordino dei contratti e agevolazioni per la conciliazione vita-lavoro, i cui decreti delegati dovranno essere emanati entro sei mesi. La disponibilità economica è così esigua e l’impianto è tale che si possono prevedere soltanto peggioramenti . Almeno dal punto di vista dei lavoratori che, infatti, protestano, mentre gli imprenditori sono visibilmente soddisfatti.

Eppure è da tempo che si dice che già il nome di questa legge, volutamente espresso in inglese per dissimularne lo spirito, faceva capire la china sulla quale ci si stava dirigendo. Jobs Act, infatti, in italiano va tradotto come “Legge del lavoro”, e va a cancellare parti importanti dello “Statuto dei lavoratori”. Dall’attenzione ai diritti dei lavoratori, si torna, insomma a collocare al primo posto dell’attenzione il lavoro e i cosiddetti investitori. E tutto questo continuano a spacciarlo come intervento di sinistra.

L’unica continuità di questi ultimi decenni è la presa in giro degli elettori che, però, in numero sempre maggiore se ne sta rendendo conto e, sbagliando, non torna più alle urne. L’unica cosa davvero di sinistra sarebbe far riavvicinare la gente alla politica e ascoltare i suoi bisogni. Prima o poi qualcuno lo farà, la gente tornerà a votare, con convinzione, per qualcuno e questi ultimi decenni finiranno finalmente nell’armadio dei brutti ricordi assieme all’accettazione – come ha scritto Eyal Weizmann – che «il male minore costituisca il nuovo nome della nostra barbarie».

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