Il ministro Lupi
ha dovuto fare marcia indietro e revocare la precettazione dei
lavoratori dei trasporti per lo sciopero generale di oggi. L’importante è
che l’ha fatto dopo una dichiarazione di Renzi che ricordava che il
diritto di sciopero è costituzionalmente inalienabile e che può aver
agito così, o perché ne è convinto, o in quanto sente che la corda si
sta tirando davvero troppo e che il rischio scissione all’interno del PD
si sta facendo davvero forte. Quale delle due ipotesi sia vera lo potrà
dire soltanto il prossimo futuro e il comportamento dello stesso Renzi
nei confronti di altri diritti.
Perché è proprio l’atteggiamento nei
confronti dei diritti a essere fondamentale per distinguere la sinistra
dalla destra. La sinistra punta, con la politica, ad allargare la sfera
dei diritti. La destra, invece, sente i diritti come dei paletti, degli
ostacoli che finiscono per limitare la libertà di manovra della
politica. E, infatti, è la centralità dei diritti fondamentali nel
sistema costituzionale che ha fatto parlare alcuni esponenti di destra
di “diritti insaziabili”, che si impadroniscono di spazi della politica.
Ed è anche in base a questo che, nel tempo che stiamo vivendo, i
diritti sono indicati da sempre più persone come un lusso incompatibile
con la crisi economica. Si nega, insomma, il diritto di avere diritti.
Ma è proprio nel momento in cui la
promessa dei diritti è tradita, o quando si restringono o si cancellano i
diritti già acquisiti, che si ferisce mortalmente una democrazia che
non può essere soltanto un insieme di procedure. Perché non sono i
diritti ad essere insaziabili, lo è la pretesa dell’economia di
stabilire quali siano i diritti compatibili con se stessa. Dunque,
quando si ritiene che i diritti siano un lusso, in realtà si dice che
sono lussi la politica e la democrazia. Quando si dice che i mercati
“chiedono”, si conferiscono alla sfera economica le prerogative della
politica e dell’organizzazione democratica della società.
I diritti non invadono mai la democrazia, ma impongono di riflettere su
come debba essere esercitata la discrezionalità politica. Ed è proprio
in tempi di risorse scarse che è giusto rimettere al centro di tutto i
diritti individuali per reagire alla spersonalizzazione di una società
che non ha più visioni future, tenendo ben presente che questi diritti
possono sostanziarsi soltanto in un contesto socialmente propizio e
politicamente costruito. Contrapponendo i diritti alla politica si corre
il rischio di perdere i primi e di vivere con una politica svuotata di
diritti, principi etici e valori. E allora il concetto di diritto perde
sostanza e diventa soltanto un vuoto simbolo da sbandierare quando si
vuole imporre altrove, in maniera imperialistica, la cultura occidentale
– oggi il neoliberismo – mentre intorno crescono le diseguaglianze, la
povertà, le discriminazioni, il rifiuto dell’altro, perché viene negata
la dignità stessa della persona. Altri tempi rispetto a quando le più
forti innovazioni furono decise dai vinti, l’Italia nel 1948 e la
Germania nel ’49, che non si aprono con riferimenti a libertà e
uguaglianza, ma al lavoro nella prima, e alla dignità nella seconda, per
sottrarre l’uomo a qualsiasi potere esterno.
In crisi oggi sono i diritti al
lavoro, all’istruzione, alla salute, alla sanità, alla parità di genere,
all'identità, alla casa e così via. Desidero soffermarmi, invece, sul
diritto alla democrazia che, come tutti i diritti, non è naturale, ma è
stato conquistato con sofferenze e sacrifici dei disobbedienti, degli
oppositori e dei resistenti e che deve essere sempre attentamente
salvaguardato perché non è detto che la perdita della democrazia debba
necessariamente essere un evento clamoroso e traumatico; anzi, per
evitare reazioni, spesso assomiglia a un lento trascolorare verso una
qualche forma di oligarchia. È quello che sta succedendo da un bel po’
di tempo, anche nel nome di quella cosa apparentemente magica e in
realtà terrorizzante, che si chiama “governabilità”.
Per arrivare a questo scopo la
nostra bella Costituzione viene ignorata, oppure si tenta di cambiarla.
Per dare un solo esempio, non è forse un evidente colpo alla democrazia
la cancellazione della rappresentatività diretta di quel Senato che
serviva proprio a moderare quel potere che si sarebbe stabilizzato
un’unica Camera?
E vediamo che anche le leggi
elettorali possono servire ad allontanare sempre di più il démos, il
popolo, dal kràtos, dal potere, come quell’Italicum, nato dall’unione
delle menti di Renzi e del pregiudicato Berlusconi, che riesce a
peggiorare anche il Porcellum, irridendo la sentenza della Corte
Costituzionale. Lo smodato premio di maggioranza alla lista o alla
coalizione ricorda molto da vicino la famosa “legge truffa” del 1953. Ma
quella fu avversata dalla sinistra, mentre questa è sostenuta, oltre
che dalla destra, anche da chi vorrebbe farsi passare per la sinistra.
Poi, mentre il concetto di
rappresentanza assume contorni sempre più sfumati, fino quasi a
scomparire, continua a essere proibita ai cittadini la possibilità di
scegliersi i propri rappresentanti con le preferenze, lasciando la
scelta tutta in mano ai capi di partiti sempre più personali. Dicono che
le preferenze si prestano a maneggi illegittimi e illegali. Possibile,
ma non è che le scelte dei capi abbiano brillato per trasparenza,
saggezza e lungimiranza. Anche i videopoker si prestano a truffe e
raggiri, e fanno ingrassare la malavita, ma in quel caso ci si limita ad
arrestare quei pochi che si riescono a cogliere con le mani nel sacco.
Di eliminare i videopoker nessuno parla. Come, in realtà, nessuno parla di combattere
davvero l'evasione fiscale che è, assieme alla corruzione, la vera palla
al piede del nostro Paese.
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