sabato 27 dicembre 2014

L’agonia della partecipazione

I decreti attuativi del Job Act – che, voglio ricordarlo, anche letteralmente si occupa del lavoro e non di chi lavora – non soltanto hanno ulteriormente infettato in maniera nefasta per tantissimi italiani e per le loro famiglie l’atmosfera delle festività di Natale e hanno cancellato parte delle speranze che solitamente si legano all’arrivo dell’anno nuovo, ma ha perfettamente illuminato l’agonia della politica in Italia. Un’agonia che porta con sé anche l’agonia della democrazia che, a differenza di quanto dice Renzi, si basa sulla partecipazione di quel popolo che sempre più largamente decide di non andare più nemmeno a votare. Sia perché ritiene la politica legata soltanto alle posizioni di potere, sia in quanto non vede più in nessun partito la volontà di difendere i propri valori costitutivi, cedendo al miraggio di accaparrarsi più voti attraverso il nascondere, o addirittura la cancellazione, di questi valori.
 
Sempre più gente, però – e lo si vede proprio dall’esplodere dell’astensionismo e dall’aumento di chi vota per tradizione e non per convinzione – si sta rendendo conto di vivere un momento di snodo in cui diventa assolutamente vitale smettere di buttar via, o di nascondere i propri valori, e di illudersi che senza valori ben definiti ci si possa avvicinare l’uno all’altro in una sorta di fatale attrazione in un posto indistinto, paludoso, ma ritenuto elettoralmente vincente.

Illudendosi di attrarre simpatie, molti hanno imitato gli altri quando quelli stavano vincendo, truccandosi e travisando, sia pur parzialmente, il proprio volto, pensando che fosse più importante catturare un voto che compiere un’azione degna. Ma, in definitiva, hanno ottenuto soltanto risultati percentuali e non assoluti, perché non sono riusciti ad attrarre nessuno in quanto il vuoto, dopo un primo senso di disorientante vertigine, non attrae mai nessuno, ma, anzi, dà un senso di repulsione. E il risultato è che sempre meno gente si avvicina al voto, alla politica, alla partecipazione, al vivere sociale. Contemporaneamente nessuno si è sentito più vicino agli avversari di una volta che sono rimasti completamente estranei, ma, anzi, si sono perduti molti amici perché senza valori di riferimento non ci si riconosceva più a vicenda. E contemporaneamente si perdeva anche il rispetto per se stessi.

Soltanto quando si è percepito questo vuoto, quando si è sentito il rodere del rimorso provocato dal peccato di omissione legato all’astensione dalla politica, si è cominciato timidamente a riprendere quota, a tornare a pieno titolo umani, a ritenere nuovamente che la vita privata e pubblica non possano esistere senza etica, che la politica non possa esistere senza etica, che il lavoro non possa esistere senza etica, che l’economia non possa esistere senza etica, che la finanza, raffinata e spietata usura moderna, così com’è non possa esistere e basta. Come non dovrebbe più esistere nemmeno quel capitalismo cieco e inutile che è soltanto spinta irrazionale ad accaparrare per sé, in ogni modo, denaro e proprietà. A prescindere da quante persone si fanno soffrire per raggiungere questo squallido scopo.

venerdì 12 dicembre 2014

Le due ipotesi

Il ministro Lupi ha dovuto fare marcia indietro e revocare la precettazione dei lavoratori dei trasporti per lo sciopero generale di oggi. L’importante è che l’ha fatto dopo una dichiarazione di Renzi che ricordava che il diritto di sciopero è costituzionalmente inalienabile e che può aver agito così, o perché ne è convinto, o in quanto sente che la corda si sta tirando davvero troppo e che il rischio scissione all’interno del PD si sta facendo davvero forte. Quale delle due ipotesi sia vera lo potrà dire soltanto il prossimo futuro e il comportamento dello stesso Renzi nei confronti di altri diritti.
 
Perché è proprio l’atteggiamento nei confronti dei diritti a essere fondamentale per distinguere la sinistra dalla destra. La sinistra punta, con la politica, ad allargare la sfera dei diritti. La destra, invece, sente i diritti come dei paletti, degli ostacoli che finiscono per limitare la libertà di manovra della politica. E, infatti, è la centralità dei diritti fondamentali nel sistema costituzionale che ha fatto parlare alcuni esponenti di destra di “diritti insaziabili”, che si impadroniscono di spazi della politica. Ed è anche in base a questo che, nel tempo che stiamo vivendo, i diritti sono indicati da sempre più persone come un lusso incompatibile con la crisi economica. Si nega, insomma, il diritto di avere diritti.

Ma è proprio nel momento in cui la promessa dei diritti è tradita, o quando si restringono o si cancellano i diritti già acquisiti, che si ferisce mortalmente una democrazia che non può essere soltanto un insieme di procedure. Perché non sono i diritti ad essere insaziabili, lo è la pretesa dell’economia di stabilire quali siano i diritti compatibili con se stessa. Dunque, quando si ritiene che i diritti siano un lusso, in realtà si dice che sono lussi la politica e la democrazia. Quando si dice che i mercati “chiedono”, si conferiscono alla sfera economica le prerogative della politica e dell’organizzazione democratica della società.
 

I diritti non invadono mai la democrazia, ma impongono di riflettere su come debba essere esercitata la discrezionalità politica. Ed è proprio in tempi di risorse scarse che è giusto rimettere al centro di tutto i diritti individuali per reagire alla spersonalizzazione di una società che non ha più visioni future, tenendo ben presente che questi diritti possono sostanziarsi soltanto in un contesto socialmente propizio e politicamente costruito. Contrapponendo i diritti alla politica si corre il rischio di perdere i primi e di vivere con una politica svuotata di diritti, principi etici e valori. E allora il concetto di diritto perde sostanza e diventa soltanto un vuoto simbolo da sbandierare quando si vuole imporre altrove, in maniera imperialistica, la cultura occidentale – oggi il neoliberismo – mentre intorno crescono le diseguaglianze, la povertà, le discriminazioni, il rifiuto dell’altro, perché viene negata la dignità stessa della persona. Altri tempi rispetto a quando le più forti innovazioni furono decise dai vinti, l’Italia nel 1948 e la Germania nel ’49, che non si aprono con riferimenti a libertà e uguaglianza, ma al lavoro nella prima, e alla dignità nella seconda, per sottrarre l’uomo a qualsiasi potere esterno.

In crisi oggi sono i diritti al lavoro, all’istruzione, alla salute, alla sanità, alla parità di genere, all'identità, alla casa e così via. Desidero soffermarmi, invece, sul diritto alla democrazia che, come tutti i diritti, non è naturale, ma è stato conquistato con sofferenze e sacrifici dei disobbedienti, degli oppositori e dei resistenti e che deve essere sempre attentamente salvaguardato perché non è detto che la perdita della democrazia debba necessariamente essere un evento clamoroso e traumatico; anzi, per evitare reazioni, spesso assomiglia a un lento trascolorare verso una qualche forma di oligarchia. È quello che sta succedendo da un bel po’ di tempo, anche nel nome di quella cosa apparentemente magica e in realtà terrorizzante, che si chiama “governabilità”.

Per arrivare a questo scopo la nostra bella Costituzione viene ignorata, oppure si tenta di cambiarla. Per dare un solo esempio, non è forse un evidente colpo alla democrazia la cancellazione della rappresentatività diretta di quel Senato che serviva proprio a moderare quel potere che si sarebbe stabilizzato un’unica Camera?

E vediamo che anche le leggi elettorali possono servire ad allontanare sempre di più il démos, il popolo, dal kràtos, dal potere, come quell’Italicum, nato dall’unione delle menti di Renzi e del pregiudicato Berlusconi, che riesce a peggiorare anche il Porcellum, irridendo la sentenza della Corte Costituzionale. Lo smodato premio di maggioranza alla lista o alla coalizione ricorda molto da vicino la famosa “legge truffa” del 1953. Ma quella fu avversata dalla sinistra, mentre questa è sostenuta, oltre che dalla destra, anche da chi vorrebbe farsi passare per la sinistra.
 
Poi, mentre il concetto di rappresentanza assume contorni sempre più sfumati, fino quasi a scomparire, continua a essere proibita ai cittadini la possibilità di scegliersi i propri rappresentanti con le preferenze, lasciando la scelta tutta in mano ai capi di partiti sempre più personali. Dicono che le preferenze si prestano a maneggi illegittimi e illegali. Possibile, ma non è che le scelte dei capi abbiano brillato per trasparenza, saggezza e lungimiranza. Anche i videopoker si prestano a truffe e raggiri, e fanno ingrassare la malavita, ma in quel caso ci si limita ad arrestare quei pochi che si riescono a cogliere con le mani nel sacco. Di eliminare i videopoker nessuno parla. Come, in realtà, nessuno parla di combattere davvero l'evasione fiscale che è, assieme alla corruzione, la vera palla al piede del nostro Paese.

giovedì 4 dicembre 2014

L’inglese per non far capire

Il Jobs Act è legge. E chi l’ha voluto continua a ripetere questa frase come un mantra in tutte le interviste, in tutte le trasmissioni, come se questa frase potesse diventare garanzia che una legge, pur approvata a colpi di fiducia, è anche una buona legge. Come se la gente potesse dimenticarsi che tra le “buone leggi” ci sono stati anche, soltanto per fare due esempi, la Cirielli e il Porcellum, che si sono confermate due veri e propri cancri per il nostro Paese e che ancora adesso non è possibile consegnare completamente alla storia degli errori, o, meglio, delle mascalzonate deliberatamente volute.
Anche il Jobs Act è un abominio e i suoi frutti avvelenati si assaggeranno, purtroppo, in breve tempo perché l’unico effetto certo della sua pur ancora approssimativa formulazione sarà quello di dilatare ulteriormente l’abisso che sempre più divide i ricchi dai poveri e di cancellare ancora gran parte del residuo di quella che le memorie storiche ricordano come “classe media”.

Né può far sperare in qualcosa di buono il fatto che il ddl contiene cinque deleghe su ammortizzatori sociali, politiche attive, semplificazioni, riordino dei contratti e agevolazioni per la conciliazione vita-lavoro, i cui decreti delegati dovranno essere emanati entro sei mesi. La disponibilità economica è così esigua e l’impianto è tale che si possono prevedere soltanto peggioramenti . Almeno dal punto di vista dei lavoratori che, infatti, protestano, mentre gli imprenditori sono visibilmente soddisfatti.

Eppure è da tempo che si dice che già il nome di questa legge, volutamente espresso in inglese per dissimularne lo spirito, faceva capire la china sulla quale ci si stava dirigendo. Jobs Act, infatti, in italiano va tradotto come “Legge del lavoro”, e va a cancellare parti importanti dello “Statuto dei lavoratori”. Dall’attenzione ai diritti dei lavoratori, si torna, insomma a collocare al primo posto dell’attenzione il lavoro e i cosiddetti investitori. E tutto questo continuano a spacciarlo come intervento di sinistra.

L’unica continuità di questi ultimi decenni è la presa in giro degli elettori che, però, in numero sempre maggiore se ne sta rendendo conto e, sbagliando, non torna più alle urne. L’unica cosa davvero di sinistra sarebbe far riavvicinare la gente alla politica e ascoltare i suoi bisogni. Prima o poi qualcuno lo farà, la gente tornerà a votare, con convinzione, per qualcuno e questi ultimi decenni finiranno finalmente nell’armadio dei brutti ricordi assieme all’accettazione – come ha scritto Eyal Weizmann – che «il male minore costituisca il nuovo nome della nostra barbarie».