domenica 26 ottobre 2014

Le parole e i silenzi

Come sempre in politica le differenze sostanziali tra due posizioni sono segnate dalle parole, ma anche dai silenzi; e tra piazza San Giovanni e la Leopolda queste differenze sono state tantissime, anche se i silenzi hanno trovato posto più a Firenze che a Roma.


Confesso subito, per chi già non lo avesse intuito, che le mie maggiori simpatie vanno decisamente verso la piazza della Cgil, ma non credo che alcune mie considerazioni siano influenzate e falsate da queste mie simpatie.


Più che arrabbiarmi, infatti, resto male se sento che Matteo Renzi, segretario del maggior partito di centrosinistra, afferma che «Qui parla la gente che ha creato posti di lavoro», come se il benessere delle aziende, e quindi l’esistenza dei posti di lavoro,non dipendesse anche, e forse soprattutto, da chi vi lavora.

Resto male e comincio ad arrabbiarmi, invece, quando lo sento dire che «Ci confronteremo, ma poi andremo avanti, non è pensabile che una piazza blocchi paese», perché la sua frase, tradotta dal politichese, significa: «Va bene: perderemo un po’ di tempo ad ascoltare questi rompiscatole, ma, qualunque cosa dicano i rappresentanti dei lavoratori, andremo avanti lo stesso perché siamo noi ad avere in mano la verità».

Sono decisamente arrabbiato, poi, quando sento Davide Serra – il finanziere proprietario del Fondo Algebris creato nel paradiso fiscale delle Cayman e grande fiancheggiatore anche economico di Matteo Renzi – che sostiene a piena voce che apprezza il cosiddetto “Job Act” ma lo avrebbe voluto più deciso e sbilanciato perché, secondo lui, il diritto di sciopero va limitato in quanto «Dico che è un diritto; cerchiamo di capire che è un costo».

Intanto sembrano parole pronunciate intorno alla metà dell’800 da un illuminato latifondista della Confederazione quando in America si discuteva se dare la libertà agli schiavi: un loro diritto, ma sicuramente anche un costo “insostenibile” per i produttori di cotone e affini. Però sono anche parole di una persona che sicuramente si è laureata con il massimo dei voti alla Bocconi, che ha avuto enorme successo nel suo lavoro, ma che evidentemente non ha mai trovato il tempo per sfogliare con attenzione la nostra Costituzione che nell’articolo 1 afferma bizzarramente che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, che nel 39 statuisce che «L’organizzazione sindacale è libera» e «Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge» e nel 40 sottolinea che «Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano». E le leggi lo regolamentano soltanto per motivazioni di pubblico interesse e limitatamente ai soli servizi pubblici essenziali. Cioè quando i diritti collettivi di alcuni possono andare a ledere i diritti collettivi di tanti. E tra i diritti collettivi – credo che in questi tristissimi tempi vada sottolineato – non è mai annoverato quello di tagliare i diritti altrui per poter spendere di meno.


Resto nuovamente malissimo quando sento che alle parole di Serra a Firenze risponde un generale silenzio interrotto soltanto dalle parole di Graziano Del Rio («Io non la penso come lui») e di Debora Serracchiani («Non è uno dei problemi del Paese»). Credo davvero che nel PD le parole di Serra meriterebbero un «Non può dire cose del genere e restare tra di noi» e che sono proprio queste parole uno dei problemi del Paese.

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