Colpisce molto,
perché ottimamente descrittiva di una situazione, la dichiarazione di
Maurizio Lupi che, per giustificare l’assenza di altri esponenti del
governo al meeting di Comunione e liberazione, platea tradizionalmente
di centrodestra, ha detto: «Con la crisi le barriere ideologiche si
superano: non si tratta di destra o sinistra, ma delle risposte da
dare».
Appunto: ci sono risposte da dare.
Ma o sono di destra, o sono di sinistra. Possono anche essere
mediazioni, ma deve essere chiaro che di accomodamenti temporanei si
tratta. Tra l’altro, la convinzione, non soltanto mia, è che, proprio
perché finora sono state date risposte che puzzano di destra lontano un
miglio, la crisi non soltanto non si sta allentando, ma, anzi, si sta
acuendo sempre di più, approfondendo le differenze tra ceti sociali e
categorie economiche, rendendo sempre più ricchi i ricchi e sempre più
poveri i poveri, inneggiando alla ricerca del bene proprio e non
interessandosi del bene altrui fino a quando non appare evidente che
senza la collaborazione degli altri il bene proprio va a farsi benedire.
E se queste non sono idee di destra…
Si può capire che Lupi cerchi di
difendere la propria posizione di ministro di destra in un esecutivo di
teorica centrosinistra, ma non può essergli consentito di sparare
gratuitamente stupidaggini, come quella di tentare di far coincidere la
fine delle ideologie con la fine delle idee che, fortunatamente,
continuano a esistere.
Le ideologie, infatti, sono assolute
e, come tutte le cose umane, non perfette. Alla fine, quindi, mostrano
la corda inciampando sui tanti inevitabili difetti di una pratica
scritta a tavolino su un canovaccio ideato su un concetto di base che,
invece, può essere condiviso, oppure avversata, ma che ha in sé un
nucleo di partenza che può apparire soltanto totalmente giusto, o
totalmente sbagliato. Un po’ come le religioni.
Le idee, invece, continuano a
nutrirsi delle forza di quei concetti di base, ma evitando gli errori di
applicazione che si sono già palesati nel corso delle storia.
E le idee che escono dal concetto di
sinistra, sono di uguaglianza, di solidarietà, di giustizia uguale per
tutti, di democrazia reale, di lavoro come fondamento della dignità. Chi
dice che queste sono le stesse basi del concetto di destra, o non sa
cosa dice, o lo sa benissimo e cerca soltanto di imbrogliare l’uditorio.
giovedì 21 agosto 2014
domenica 17 agosto 2014
Il senso della storia
Forse non è un caso che nello stesso
giorno si siano concretizzati due atteggiamenti così divergenti su un
punto fondamentale per la vita sulla Terra: quello della pacifica
convivenza tra diversi, senza che l’uno debba necessariamente pensare di
soverchiare l’altro.
Da una parte il deputato grillino Alessandro Di Battista, 36 anni, scrive (e quindi non ci sono possibilità di interpretazioni maliziose): «Nell’era dei droni e del totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella». Dall’altra, in Olanda, l’avvocato Henk Zanoli, 91 anni, proclamato Giusto tra le nazioni per aver salvato, a rischio della sua, la vita di un bambino ebreo tra il 1943 e il 1945, sceglie, dopo aver visto morire a Gaza sotto le bombe israeliane sei parenti del marito palestinese della nipote, di restituire la medaglia perché «conservare l’onorificenza concessami dallo Stato di Israele, in queste circostanze– scrive in una lettera – sarebbe un insulto alla memoria della mia coraggiosa madre così come un insulto alle ultime quattro generazioni della mia famiglia».
A parte ogni considerazione sarcastica sul metodo delle rottamazioni decise in base all’età avanzata, questi due atteggiamenti mettono in luce la più netta frattura possibile tra le mentalità di due secoli diversi e tra capacità di analisi evidentemente non uguali, perché differenti sono stati i tempi di elaborazione di un pensiero e i presupposti etici e culturali sui quali queste elaborazioni sono state compiute.
Da una parte un giovane che, evidentemente per il solo fatto di essere stato eletto alla Camera, si sente in grado di pontificare su tutto senza dover pagarne un prezzo e che limita la sua analisi a un semplice rapporto di azione e reazione, senza neppure considerare il fatto che quella che lui ritiene essere un’azione in realtà può essere una reazione a un’azione precedente. E che questo procedimento può retrocedere nel tempo in maniera quasi infinita mettendo in luce quella solita complessità nei rapporti umani che egli non sembra nemmeno subodorare.
Dall’altra, un vecchio che ha pagato anche quel prezzo di rischio che nessuno gli avrebbe mai richiesto perché sapeva che era il giusto costo da onorare per sentirsi davvero umano e che ora non può accettare che altri, le vittime di una volta, tradiscano quell’umanità usando con altri quella stessa disumanità di base che era stata usata contro di loro e che impedisce di vedere che dietro ogni nazione, religione, categoria di persone, c’è sempre una sommatoria di singole persone con le loro storie individuali, i loro affetti, le loro convinzioni che non possono mai essere affastellate in un unico mucchio indifferenziato, creando quei presupposti che da sempre sono i punti di partenza di ogni guerra.
Lascia tristi e un po’ più disperati pensare che un rappresentante del popolo italiano non sia neppure sfiorato da quel dilemma di coscienza che ha sconvolto e sconvolge tantissime persone la cui mente pensante rischia di essere vittima di un corto circuito ogniqualvolta si trova di fronte all’orrore della guerra e a quello delle stragi etniche, oscillando in quel baratro di dubbi che si spalanca tra il dovere di non uccidere e quello di non lasciar uccidere.
Ed è un dilemma che può essere risolto soltanto evitando che possa nascere, e che l’opera dell’uomo debba limitarsi alle pur magnifiche, ma alla lunga frustranti, attività di soccorrere direttamente, o con l’accoglienza, coloro che di queste calamità sono vittime.
Henk Zanoli lo ha capito benissimo. Alessandro Di Battista assolutamente no. E del resto – bisogna ammetterlo – perché, in un Paese che da decenni nega il valore della storia, avrebbe dovuto percepire l’importanza dell’opposizione alla guerra se da decenni, appunto, in questa nostra Italia si sente parlare quasi soltanto di economia, di finanza e di risultati elettorali?
Da una parte il deputato grillino Alessandro Di Battista, 36 anni, scrive (e quindi non ci sono possibilità di interpretazioni maliziose): «Nell’era dei droni e del totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella». Dall’altra, in Olanda, l’avvocato Henk Zanoli, 91 anni, proclamato Giusto tra le nazioni per aver salvato, a rischio della sua, la vita di un bambino ebreo tra il 1943 e il 1945, sceglie, dopo aver visto morire a Gaza sotto le bombe israeliane sei parenti del marito palestinese della nipote, di restituire la medaglia perché «conservare l’onorificenza concessami dallo Stato di Israele, in queste circostanze– scrive in una lettera – sarebbe un insulto alla memoria della mia coraggiosa madre così come un insulto alle ultime quattro generazioni della mia famiglia».
A parte ogni considerazione sarcastica sul metodo delle rottamazioni decise in base all’età avanzata, questi due atteggiamenti mettono in luce la più netta frattura possibile tra le mentalità di due secoli diversi e tra capacità di analisi evidentemente non uguali, perché differenti sono stati i tempi di elaborazione di un pensiero e i presupposti etici e culturali sui quali queste elaborazioni sono state compiute.
Da una parte un giovane che, evidentemente per il solo fatto di essere stato eletto alla Camera, si sente in grado di pontificare su tutto senza dover pagarne un prezzo e che limita la sua analisi a un semplice rapporto di azione e reazione, senza neppure considerare il fatto che quella che lui ritiene essere un’azione in realtà può essere una reazione a un’azione precedente. E che questo procedimento può retrocedere nel tempo in maniera quasi infinita mettendo in luce quella solita complessità nei rapporti umani che egli non sembra nemmeno subodorare.
Dall’altra, un vecchio che ha pagato anche quel prezzo di rischio che nessuno gli avrebbe mai richiesto perché sapeva che era il giusto costo da onorare per sentirsi davvero umano e che ora non può accettare che altri, le vittime di una volta, tradiscano quell’umanità usando con altri quella stessa disumanità di base che era stata usata contro di loro e che impedisce di vedere che dietro ogni nazione, religione, categoria di persone, c’è sempre una sommatoria di singole persone con le loro storie individuali, i loro affetti, le loro convinzioni che non possono mai essere affastellate in un unico mucchio indifferenziato, creando quei presupposti che da sempre sono i punti di partenza di ogni guerra.
Lascia tristi e un po’ più disperati pensare che un rappresentante del popolo italiano non sia neppure sfiorato da quel dilemma di coscienza che ha sconvolto e sconvolge tantissime persone la cui mente pensante rischia di essere vittima di un corto circuito ogniqualvolta si trova di fronte all’orrore della guerra e a quello delle stragi etniche, oscillando in quel baratro di dubbi che si spalanca tra il dovere di non uccidere e quello di non lasciar uccidere.
Ed è un dilemma che può essere risolto soltanto evitando che possa nascere, e che l’opera dell’uomo debba limitarsi alle pur magnifiche, ma alla lunga frustranti, attività di soccorrere direttamente, o con l’accoglienza, coloro che di queste calamità sono vittime.
Henk Zanoli lo ha capito benissimo. Alessandro Di Battista assolutamente no. E del resto – bisogna ammetterlo – perché, in un Paese che da decenni nega il valore della storia, avrebbe dovuto percepire l’importanza dell’opposizione alla guerra se da decenni, appunto, in questa nostra Italia si sente parlare quasi soltanto di economia, di finanza e di risultati elettorali?
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