lunedì 21 luglio 2014

L’ indifferenza e l’impotenza

Scrive giustamente Vittorio Zucconi che «c’è un fatto nuovo nel conflitto antico fra Israele e Hamas: l’indifferenza del resto del mondo e l’ammissione esplicita di impotenza». E poi prosegue in una lucida analisi della disperata situazione internazionale.


Questo accostamento tra indifferenza e impotenza merita, però, un approfondimento perché, in realtà, dovrebbero essere termini contrapposti e non conseguenti. L’impotenza, infatti, è un sentimento di rabbia e di frustrazione per qualcosa che si vorrebbe, per la quale ci si impegna, ma che non si riesce a fare. L’indifferenza, al contrario, è la beatificazione dell’accidia, della volontà di non muoversi al di là del necessario, della totale insensibilità – e, quindi, inumanità – nei confronti degli altri. Moravia, del resto, non a caso ha intitolato il suo probabilmente miglior romanzo “Gli indifferenti” e non “Gli impotenti”, perché fosse evidente il disprezzo e la condanna per quella borghesia italiana che negli anni Venti ha permesso, con la sua ignavia, che i fascisti – allora scalmanata, ma esigua minoranza – potessero prendere il potere e poi dominare e guastare l’Italia per un ventennio.

È importantissimo, quindi, capire se noi stessi siamo impotenti, oppure indifferenti. Nel primo caso potremmo fare moltissimo visto che la storia è zeppa di esempi di teorici “impotenti” che sono stati capaci – individualmente, o in gruppo – di rovesciare situazioni apparentemente senza via d’uscita e di imporre nuove strade a vite individuali, a collettività, o, addirittura, in rari casi, al mondo. Nel secondo caso possiamo smetterla di sperare, ma anche di lamentarci perché i primi colpevoli sono proprio quelli che pensano di potersene fregare degli altri e che la fatica di rimettere le cose a posto debba toccare sempre agli altri.

E questo riguarda sia i cosiddetti potenti, sia qualsiasi essere umano perché la differenza vale sia per il mondo, sia per le piccine cose di casa nostra.

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