Ogni tanto si diventa preda di momenti di scoramento assoluto, momenti in cui si perde quasi ogni speranza che questo mondo possa cambiare in meglio. Ma poi, fortunatamente l’indignazione è tale che si emerge dalla palude di rassegnazione in cui si rischia di sprofondare. È quello che mi è successo anche ascoltando la notizia arrivata da Trento dove il tribunale dei minori ha tolto a una giovane madre il suo bambino nato da circa due mesi, le ha tolto la patria potestà e ha dichiarato il piccolo adottabile da un’altra famiglia.
Il motivo? La madre non è in galera, non è drogata, non è un’ubriacona, non è mentalmente handicappata, non è una delinquente, non è neppure socialmente pericolosa. Il suo grave difetto è quello di non essere sposata e di non essere ricca. E, pur non essendo ricca, di aver voluto portare comunque a termine una gravidanza che desiderava con tutto il cuore. La motivazione con cui il bambino le è stato tolto è che con il suo stipendio di 500 euro al mese non può assicurare al bambino una vita decorosa.
Non si parla di affetto, di amore, di rapporto tra genitore e figlio. Si parla soltanto di soldi e del teorico benessere che da questi soldi deriva.
I nostri nonni erano poverissimi, eppure avevano figli che spesso non riuscivano a contare sulle dita di due mani. E nessuno si sognava di toglierglieli e loro stessi li consideravano una benedizione.
Un Paese nel quale una legge preveda che un povero non possa più avere figli, o che, quantomeno abbia una legge che consenta a un giudice di interpretarla così, è un Paese che non ha futuro, a meno che non cambi in maniera davvero totale. In un Paese così non basta voler mandare a casa definitivamente Berlusconi: bisogna pensare davvero a una, se pur graduale, completa rifondazione su basi di moralità e socialità profondamente diverse.
E in tutto questo assordanti sono i silenzi della Chiesa e della politica. Io sono convinto che un partito veramente democratico dovrebbe lottare perché lo Stato non punisca chi è povero, ma lo aiuti a mantenere i propri figli, dovrebbe fare di questa lotta una propria bandiera, la propria bandiera principale perché non torni a essere il censo a concedere i diritti soltanto ad alcune persone.
Per un partito così sarei anche disposto, per la prima volta in vita mia, a sottoscrivere una tessera. Mi sentirei onorato a lottare per i suoi ideali e non soltanto per quelli miei e di alcuni - fortunatamente non pochi - amici. Attendo con ansia di vederlo salire su queste barricate di uguaglianza e di umanità.
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