domenica 15 giugno 2014

Taxi, anarchia e proprietà privata

È incontrovertibile il fatto che, come ha detto Renzi all’assemblea nazionale del PD, in commissione, al Senato, uno dovrebbe riportare quello che ha deciso il partito che rappresenta. Il fatto che rende debole, però, questa frase è che la decisione in realtà è stata presa tra Renzi e un pregiudicato di nome Berlusconi e che il partito ha potuto soltanto ratificare questa decisione presa in altre, non canoniche e – per me – vituperabili circostanze.

Dico ratifica e non decisione perché la ratifica – com’è accaduto – si esaurisce con un voto, mentre una decisione presuppone anche una precedente discussione, esauriente, libera e articolata, cosa che nel PD ormai appare utopica, visto che ogni parola contraria al pensiero del capo viene chiamata “palude”, che si stravolge il vocabolario definendo “conservatori” coloro che vogliono cambiare ma conservando quella potestà di ragionamento che ormai molti ritengono un inutile orpello, che si accusa di essere “contrario alle riforme” chi è decisissimo a cambiare l’Italia, ma in maniera non necessariamente identica a quella desiderata da Berlusconi. Perché qualunque cambiamento è, in realtà, una riforma. Anche il passaggio da una democrazia a un dispotismo.

Insomma: il tanto aborrito “centralismo democratico” del vecchio PCI era sicuramente detestabile, ma permetteva almeno un profondo dibattito interno prima di un monolitico comportamento esterno.

Renzi ha perfettamente ragione quando afferma che un partito non è un taxi da usare per farsi eleggere e neppure un circolo anarchico. Dovrebbe tenere ben presente, però, che non è neppure una sua proprietà privata.

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