giovedì 19 giugno 2014

Governabilità e democrazia

Molti mi considerano prevenuto e ovviamente non è l’accusato a poter onestamente escludere di essere proprio così. Ma mi sento obbligato a ripetere non soltanto che non riesco a vedere Matteo Renzi come un demiurgo taumaturgico, ma che lo considero un vero pericolo per la nostra democrazia.

È indubbio che lui si consideri capace di ottenere grandi risultati e forse sarà anche così in campo economico. Ma quello di cui non si discute mai – anche perché altrimenti si viene accusati di essere “palude”, conservatori”, “menagrami” o “disfattisti” – è quanto Renzi sia disposto a cedere pur di raggiungere i risultati ai quali mira. A cedere, va rilevato con attenzione, qualcosa di nostro; non soltanto di suo. Perché l’assetto democratico è di tutti, non soltanto – come pretendeva già Berlusconi – di chi sta governando in quel momento.

A proposito di Berlusconi, continuo a ritenere offensivo il fatto che Renzi dia dignità a un pregiudicato che è stato determinante, se non fondamentale, nel ridurre l’Italia nello stato di degrado etico sociale ed economico in cui versa; e che ascolti di più il capo di Forza Italia che molti di coloro che sono iscritti al PD, o che comunque scelgono quel simbolo sulle schede elettorali.

Ma il problema fondamentale è un altro e si rifà proprio alle teorie di Berlusconi che, a suo tempo, fortunatamente non era riuscito a metterle in pratica. Mi riferisco al fatto che anche Renzi, come l’uomo di Arcore, privilegia dichiaratamente il concetto di governabilità rispetto a quello di democrazia. E, come ho già scritto ai tempi di Berlusconi, che proponeva di far votare ponderalmente i capogruppi e non il Parlamento, vorrei ricordare a tutti che il massimo di governabilità è sempre stato assicurato da una dittatura monocratica.

È davvero difficile considerare l’attuale politica di Renzi qualcosa che si avvicini a quella sinistra che, al netto di tutte le possibili altre considerazioni politiche, sociali ed economiche, ha sempre privilegiato l’anelito alla democrazia rifiutando, invece, i sogni della destra che si avvicinano di più all’aristocrazia e all’oligarchia. Le dittature, poi, sono state, per entrambi i credi politici, orrende mutazioni. In questa politica, insomma, vedo sempre meno tracce di quella democrazia sempre sbandierata, ma sempre più ridotta – proprio come ai tempi di Berlusconi – al momento in cui si va alle urne per ratificare le decisioni dei capi. Per evitare, se va bene, le cadute più pericolose; non per partecipare al miglioramento.

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