giovedì 1 maggio 2014

Monumenti per difetto

È da poco uscito, per i tipi della Donzelli, un ottimo libro scritto da Adachiara Zevi – “Monumenti per difetto – Dalle Fosse Ardeatine alle pietre d’inciampo – in cui l’autrice si sofferma sul concetto che vede, soprattutto in quelli dedicati allo sterminio perpetrato dai nazisti, il passaggio dai monumenti visti come oggetti da contemplare a percorsi da “agire”, per far rivivere il tragitto – fisico, psicologico e morale – seguito dalle vittime. E si sofferma soprattutto sulle “pietre d’inciampo”, ideate da Gunter Demnig, che formano una specie di “memoriale diffuso”, dedicato a tutti i deportati: discreto e sempre in divenire, è un enorme mosaico della memoria europea in cui le tessere sono le decine di migliaia di sampietrini decorato con una terghatta con un nome e collocati davanti a quelle che furono le abitazioni dei deportati, che restituiscono loro la dignità di persone “vive” e un luogo dove ricordarli.

E da anni che il Primo maggio, sembra avere perduto il suo significato perché quel lavoro che, secondo la premessa dell’articolo 1 della nostra Costituzione, è la base su cui si fonda l’Italia come Repubblica democratica, sembra essere diventato un di più, un qualcosa che coloro che hanno retto le sorti politiche ed economiche del Paese hanno largamente sottovalutato perché hanno ragionato – quando lo hanno fatto – esclusivamente in termini di denaro e, quindi, di stipendio, mentre dovevano pensare anche alla dignità, all’indipendenza, alla creatività, alla socialità e a mille altre cose che sono state sottratte agli italiani con la sottrazione del lavoro. Perché sono proprio la mancanza di lavoro e le sue conseguenze non soltanto economiche il tarlo più distruttivo che sta corrodendo il nostro Paese anche e soprattutto dal punto di vista etico.

Quindi, se è vero che non possiamo più festeggiare il lavoro che non c’è più, forse sarebbe il caso di ricordarne l’assenza non soltanto una volta l’anno, ma di sbattere in faccia a tutti questa drammatica realtà ogni giorno che rischiara questa terra. Magari proprio prendendo spunto dai monumenti dell’assenza, dalle pietre d’inciampo. Forse non sarebbe male mettere sui muri delle tante fabbriche sbarrate, dei tanti uffici chiusi, delle semplici scritte sul tipo «Qui operava la ditta XY e vi lavoravano tot donne e tot uomini». Forse questa drammatica realtà diventerebbe continuamente presente e non evitabile non soltanto a chi il lavoro non lo ha più, ma anche a coloro che, avendolo, preferiscono far finta di non vedere ciò che sta appassendo loro attorno.

Buon Primo Maggio tutti. Ma soprattutto a coloro che non hanno motivi per festeggiarlo.

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