Emblematica, per capire la sostanza
del Movimento 5 Stelle, è stata l’apparizione a Ballarò di Alfredo
Ronzino, candidato, e non eletto, con lo schieramento di proprietà di
Casaleggio e Grillo, alle Europee.
Con un sorriso congelato sulla
bocca, qualunque cosa accadesse, dopo aver affermato che non è stato
Grillo a rendere minacciosa con le sue parole la campagna elettorale, ma
i giornali che quelle parole si sono limitati a ripeterle in cronache
puntuali dei comizi dell’unico comico che non riesce più a far ridere
neppure per sbaglio, ha sostenuto a più riprese che la stampa italiana è
stata parziale e negativa contro i grillini perché è finanziata dai
contributi governativi.
Quando Calabresi, direttore della
Stampa, e Giannini, vicedirettore di Repubblica, hanno ripetuto a chiare
lettere che i finanziamenti pubblici ai giornali – provvidenze per la
carta comprese – non esistono più da decenni e che lo invitavano ad
andare a spulciare nei bilanci dei giornale per vedere se riusciva a
trovare un solo euro di provenienza pubblica, ha affermato, sempre con
lo stesso sorriso: «Ah, evidentemente mi sono sbagliato. Visto che è
così, ne sono molto contento». Come se una campagna elettorale fatta di
bugie interessate potesse essere neutralizzata e cancellata da un
semplice «Mi spiace»; detto, tra l’altro, a votazioni concluse.
Immediata è stata la protesta dei
grillini in rete. Ma mica perché Ronzino ha detto una serie di
stupidaggini e di falsità. Esclusivamente in quanto ha accettato di
essere ospite della trasmissione di RaiTre senza averne avuto prima il
permesso da Grillo.
Di tutta questa vicenda, però,
l’aspetto più agghiacciante, a mio modo di vedere, è qualcosa che è
accaduto “a latere”; cioè il proponimento di Barbara Spinelli, nume
tutelare della Lista Tsipras, di cercare alleanze europee con i
grillini. Ora, con tutto il rispetto che devo al suo cognome, vorrei
chiedere alla Spinelli: cosa diavolo c’entra Grillo con la sinistra?
Come possono andare d’accordo persone che talvolta vanno in crisi perché
la loro serietà è vista come seriosità, con altre che fanno dell’urlo e
dell’esagerazione, se non della falsità, il loro metodo? E ci sarebbero
ancora tante domande che, per ragioni di spazio, tralascio.
Il successo della Lista Tsipras, con
il superamento del quorum, è stato inequivocabile. Ma davvero Barbara
Spinelli vuole rovinare tutto, continuando nel tradizionale “cupio
dissolvi” delle sinistra? Ma sul serio non si rende conto che sta
operando un’appropriazione indebita dei voti di coloro che hanno scelto
quella lista pensando di scegliere ideali di sinistra e non certo di
avvicinarsi a Grillo? Al confronto, l’appropriazione indebita di Renzi
che sta attribuendo totalmente a se stesso i voti dati a un partito,
anche quelli dati contro Grillo, sembra un peccato veniale.
mercoledì 28 maggio 2014
lunedì 26 maggio 2014
L’assedio non è più un alibi
Che per Renzi io non provi
molta simpatia l’ho già scritto molte volte. Ciò non toglie che oggi mi
senta in dovere di mostrargli gratitudine per i risultati delle elezioni
europee. Una gratitudine che è il frutto diretto di quella decisione
presa da molti italiani di far convergere sul PD un grande numero di
voti soprattutto per rendere inequivocabile il fatto che la stragrande
maggioranza degli elettori non vuole continuare a temere l’ascesa
dell’inquietante Casaleggio e del suo volgare e sbraitante portavoce
Grillo.
Direi, però, che la gratitudine, sia pure notevole, si ferma qui. Infatti non è certamente merito di Renzi se Berlusconi ha portato i suoi a retrocedere al 16 per cento: se il segretario del PD non lo avesse sdoganato istituzionalmente, i voti raccolti da Forza Italia sarebbero stati decisamente ancora di meno.
Ora, dopo essersi goduto lo straordinario risultato del superamento della soglia del 40 per cento, sarebbe il caso che Renzi consideri con attenzione almeno due altri aspetti che escono da queste elezioni.
Il primo riguarda il fatto che la lista Tsipras, pur con la scelta fatta da molti di sinistra per il “voto utile” in favore del PD e in funzione antigrillina, ha superato lo sbarramento del 4 per cento, cosa che, pur in elezioni diverse, non era riuscita un anno fa a SEL. E con questo ha spostato un po’ a sinistra il baricentro della politica italiana.
Il secondo consiste nell’evidenza che non è più giustificabile l’alibi dell’assedio per giustificare qualunque scelta renziana dal punto di vista istituzionale e nelle politiche sul lavoro, bloccando sul nascere ogni dibattito interno al PD con la vecchia frase: «Se mi votate contro mi indebolite e il governo va a casa».
Ora, con il 40 per cento abbondante dei voti, la situazione cambia perché gli assedianti sono troppo impegnati a leccarsi le ferite per poter essere pericolosi, o anche per sperare in nuove elezioni ravvicinate nel tempo. Ma anche in quanto la scusa non regge più: se dovesse continuare a tacitare e a non ascoltare l’opposizione interna, non avrebbe più scuse che possano nascondere una sua forte allergia alla discussione sulle sue convinzioni.
Direi, però, che la gratitudine, sia pure notevole, si ferma qui. Infatti non è certamente merito di Renzi se Berlusconi ha portato i suoi a retrocedere al 16 per cento: se il segretario del PD non lo avesse sdoganato istituzionalmente, i voti raccolti da Forza Italia sarebbero stati decisamente ancora di meno.
Ora, dopo essersi goduto lo straordinario risultato del superamento della soglia del 40 per cento, sarebbe il caso che Renzi consideri con attenzione almeno due altri aspetti che escono da queste elezioni.
Il primo riguarda il fatto che la lista Tsipras, pur con la scelta fatta da molti di sinistra per il “voto utile” in favore del PD e in funzione antigrillina, ha superato lo sbarramento del 4 per cento, cosa che, pur in elezioni diverse, non era riuscita un anno fa a SEL. E con questo ha spostato un po’ a sinistra il baricentro della politica italiana.
Il secondo consiste nell’evidenza che non è più giustificabile l’alibi dell’assedio per giustificare qualunque scelta renziana dal punto di vista istituzionale e nelle politiche sul lavoro, bloccando sul nascere ogni dibattito interno al PD con la vecchia frase: «Se mi votate contro mi indebolite e il governo va a casa».
Ora, con il 40 per cento abbondante dei voti, la situazione cambia perché gli assedianti sono troppo impegnati a leccarsi le ferite per poter essere pericolosi, o anche per sperare in nuove elezioni ravvicinate nel tempo. Ma anche in quanto la scusa non regge più: se dovesse continuare a tacitare e a non ascoltare l’opposizione interna, non avrebbe più scuse che possano nascondere una sua forte allergia alla discussione sulle sue convinzioni.
giovedì 1 maggio 2014
Monumenti per difetto
È da poco uscito, per i tipi
della Donzelli, un ottimo libro scritto da Adachiara Zevi – “Monumenti
per difetto – Dalle Fosse Ardeatine alle pietre d’inciampo – in cui
l’autrice si sofferma sul concetto che vede, soprattutto in quelli
dedicati allo sterminio perpetrato dai nazisti, il passaggio dai
monumenti visti come oggetti da contemplare a percorsi da “agire”, per
far rivivere il tragitto – fisico, psicologico e morale – seguito dalle
vittime. E si sofferma soprattutto sulle “pietre d’inciampo”, ideate da
Gunter Demnig, che formano una specie di “memoriale diffuso”, dedicato a
tutti i deportati: discreto e sempre in divenire, è un enorme mosaico
della memoria europea in cui le tessere sono le decine di migliaia di
sampietrini decorato con una terghatta con un nome e collocati davanti a
quelle che furono le abitazioni dei deportati, che restituiscono loro
la dignità di persone “vive” e un luogo dove ricordarli.
E da anni che il Primo maggio, sembra avere perduto il suo significato perché quel lavoro che, secondo la premessa dell’articolo 1 della nostra Costituzione, è la base su cui si fonda l’Italia come Repubblica democratica, sembra essere diventato un di più, un qualcosa che coloro che hanno retto le sorti politiche ed economiche del Paese hanno largamente sottovalutato perché hanno ragionato – quando lo hanno fatto – esclusivamente in termini di denaro e, quindi, di stipendio, mentre dovevano pensare anche alla dignità, all’indipendenza, alla creatività, alla socialità e a mille altre cose che sono state sottratte agli italiani con la sottrazione del lavoro. Perché sono proprio la mancanza di lavoro e le sue conseguenze non soltanto economiche il tarlo più distruttivo che sta corrodendo il nostro Paese anche e soprattutto dal punto di vista etico.
Quindi, se è vero che non possiamo più festeggiare il lavoro che non c’è più, forse sarebbe il caso di ricordarne l’assenza non soltanto una volta l’anno, ma di sbattere in faccia a tutti questa drammatica realtà ogni giorno che rischiara questa terra. Magari proprio prendendo spunto dai monumenti dell’assenza, dalle pietre d’inciampo. Forse non sarebbe male mettere sui muri delle tante fabbriche sbarrate, dei tanti uffici chiusi, delle semplici scritte sul tipo «Qui operava la ditta XY e vi lavoravano tot donne e tot uomini». Forse questa drammatica realtà diventerebbe continuamente presente e non evitabile non soltanto a chi il lavoro non lo ha più, ma anche a coloro che, avendolo, preferiscono far finta di non vedere ciò che sta appassendo loro attorno.
Buon Primo Maggio tutti. Ma soprattutto a coloro che non hanno motivi per festeggiarlo.
E da anni che il Primo maggio, sembra avere perduto il suo significato perché quel lavoro che, secondo la premessa dell’articolo 1 della nostra Costituzione, è la base su cui si fonda l’Italia come Repubblica democratica, sembra essere diventato un di più, un qualcosa che coloro che hanno retto le sorti politiche ed economiche del Paese hanno largamente sottovalutato perché hanno ragionato – quando lo hanno fatto – esclusivamente in termini di denaro e, quindi, di stipendio, mentre dovevano pensare anche alla dignità, all’indipendenza, alla creatività, alla socialità e a mille altre cose che sono state sottratte agli italiani con la sottrazione del lavoro. Perché sono proprio la mancanza di lavoro e le sue conseguenze non soltanto economiche il tarlo più distruttivo che sta corrodendo il nostro Paese anche e soprattutto dal punto di vista etico.
Quindi, se è vero che non possiamo più festeggiare il lavoro che non c’è più, forse sarebbe il caso di ricordarne l’assenza non soltanto una volta l’anno, ma di sbattere in faccia a tutti questa drammatica realtà ogni giorno che rischiara questa terra. Magari proprio prendendo spunto dai monumenti dell’assenza, dalle pietre d’inciampo. Forse non sarebbe male mettere sui muri delle tante fabbriche sbarrate, dei tanti uffici chiusi, delle semplici scritte sul tipo «Qui operava la ditta XY e vi lavoravano tot donne e tot uomini». Forse questa drammatica realtà diventerebbe continuamente presente e non evitabile non soltanto a chi il lavoro non lo ha più, ma anche a coloro che, avendolo, preferiscono far finta di non vedere ciò che sta appassendo loro attorno.
Buon Primo Maggio tutti. Ma soprattutto a coloro che non hanno motivi per festeggiarlo.
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