martedì 15 aprile 2014

Ricordando Bertold Brecht

Giornata di grande – e giustissima – indignazione contro Beppe Grillo, che, per fare il suo spettacolino quotidiano e per attaccare un po’ tutti, non trova di meglio che parodiare “Se questo è un uomo”, la poesia con cui Primo Levi apre il suo omonimo libro, e cambia con Photoshop l’immagine dell’ingresso del campo di Auschwitz, inserendo anche l’agghiacciante scritta “Arbeit Macht Frei” nella sua polemica di giornata.

È assolutamente giusto che le organizzazioni ebraiche, quelle degli ex deportati, quelle della Resistenza, i partiti di sinistra e ogni privato cittadino che non abbia voluto dimenticare la storia del secolo scorso si indigni e alzi la voce. E non è per nulla sorprendente che Grillo continui a rovistare nei maleodoranti abissi del cattivo gusto. Quello che sorprende – e forse non dovrebbe più – è che gli italiani continuino a indignarsi a settori. Dov’erano coloro che oggi si sentono offesi quando Grillo offendeva a rotazione moltissime altre categorie? Perché stavano zitti e magari sogghignavano sotto i baffi?

Intendiamoci: le critiche da fare a tutte le categorie di cittadini e lavoratori italiani sono tantissime e fondate, ma nessuna di queste categorie è composta soltanto da reprobi e nessuna è da cancellare tout court. Nelle cose che non vanno le responsabilità sono sempre individuali e non collettive. Nessuno può mettersi la coscienza a posto davanti ai nostri quotidiani misfatti sociali dicendo: «Sono stato zitto, ma nemmeno gli altri parlavano».

Meriterebbe ricordare quello che ha detto Bertold Brecht rimasticando un discorso tenuto dal pastore Martin Niemöller nel 1946: «Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare».

Il silenzio è sempre colpevole.


E, a proposito di silenzio, come si può tacere davanti ai ripetuti vecchi e nuovi incontri di Matteo Renzi con il condannato Silvio Berlusconi? L’ex cavaliere è figura di riferimento per tantissimi italiani e influisce notevolmente nel loro comportamento sociale e politico? È vero, ma queste considerazioni, pur con le debite proporzioni e i distinguo del casoi, erano vere anche per Totò Riina. Però giustamente le trattative Stato-mafia sono oggetto di indagini della magistratura. La giustizia che ammette eccezioni non è giustizia. E un governante che, per qualsiasi motivo, rinuncia al concetto di giustizia porta sicuramente lo Stato che governa sull’orlo di un baratro.

sabato 12 aprile 2014

Se la sinistra perde i suoi connotati

Ma quando la finiremo di sentire Renzi dire cavolate restando zitti e lasciando che finisca di distruggere quel poco che resta della sinistra nel nostro Paese. E quando il PD la finirà di permettere di farsi cambiare i connotati (a meno che la mutazione non sia già avvenuta) da una persona per la quale l’unico apparente valore è quello di una velocità che permetta di dire «Ho fatto in poco tempo quello che altri non sono riusciti a fare in tanti anni?».

Ma quando qualcuno gli risponderà che lui non sta facendo in poco tempo cose che altri non sono riusciti a fare in tanti anni perché, in realtà, sta facendo tutt’altro? Sul superamento del bicameralismo perfetto, per esempio, tutti a sinistra sono d’accordo, ma pur con compiti diversi, due camere sono considerate essenziali per un ruolo di garanzia in tutte le maggiori democrazie del mondo. Cancellarne una soltanto per risparmiare teoricamente un po’ più di trecento stipendi non è soltanto populismo: è pericolosa propaganda.

E Renzi è lo stesso che, aprendo la campagna elettorale per Chiamparino a Torino dice: «Circondatevi di persone che vi sappiano dire di no», evidentemente per la soddisfazione di dire poi: «Non siete d’accordo con noi? Beh, state sereni e fatevene una ragione perché noi andiamo avanti lo stesso, senza cambiare nulla». E, quando dice: «Nei prossimi mesi non perdiamo tempo a litigare tra noi: c’è tanto da fare, dobbiamo andare pancia a terra per cambiare l’Italia», in pratica invita a lasciar perdere ogni ipotesi diversa dalla sua.

Ma la frase che più colpisce è quella pronunciata rispondendo alla considerazione di Gianni Cuperlo che ha affermato che «Le norme della destra non diventano giuste se a proporle siamo noi». Renzi ha risposto: «La sinistra che non cambia diventa destra». Non è sempre vero perché la sinistra potrebbe e può cambiare anche e soprattutto facendo cose di sinistra. È per la delusione di aver visto che la sinistra non faceva più cose di sinistra che milioni di cittadini che la votavano hanno deciso di provare altre deludenti esperienze elettorali, o addirittura di non andare più a votare.