lunedì 30 settembre 2013

Un comico per niente ex

Quando si sbaglia è doveroso ammetterlo e sarebbe il caso che facessero ammenda tutti coloro per ben più di un anno hanno definito Beppe Grillo un “ex comico”. Non è per niente vero: Grillo è ancora un comico a tutto tondo e lo ha dimostrato in maniera spettacolare quando ha avvertito, con un cipiglio che ai più creduloni poteva sembrare vero: « Avverto i dieci milioni di italiani che votano PD e i dieci milioni di italiani che votano PDL: se continuate a votare così, il movimento se ne va. Dico che se non ci votate mi tiro fuori». E poi ha coronato il suo pindarico pensiero con un «Votiamo subito e ricostruiamo il Paese con un esecutivo a cinque stelle».
Alla seconda parte del cosiddetto ragionamento nessuno ha fatto troppo caso. È stato il primo concetto a far sobbalzare ben più dei 20 milioni di italiani che votano PD o PDL e a far chiedere loro: «Ma è davvero così facile far sparire Grillo dal panorama politico italiano?». Un panorama politico abbondantemente squallido, d’accordo, ma nel quale ancora occorre saper disporre di un vocabolario che si estenda al di là del ”no”, degli improperi, delle offese e delle parolacce. «Ma è davvero così che si può farlo tornare ai palcoscenici davanti ai quali il pubblico, per essere soddisfatto, sa accontentarsi anche di molto poco?».
Ma lasciamo perdere le facezie perché la situazione è drammatica, anche se non seria, e chiediamoci se Grillo si rende conto di vivere in un mondo che si estende un po’ oltre le stanze in cui si incontra con Casaleggio. Se sa che a problemi complessi occorre sforzarsi di rispondere con pensieri complessi e non con slogan e battute che ormai fanno ridere soltanto raramente.
La risposte mi sembrano evidentemente negative come è dimostrato abbondantemente dal concetto «Se non votate per me, non gioco più e me ne vado a casa».

venerdì 27 settembre 2013

Il compromesso antistorico

E poi dicono che il rispetto del significato delle parole non è importante. Si afferma – ed è vero – che la politica è l’arte della mediazione, parola che spesso viene assimilata come sinonimo di compromesso il cui significato etimologico, ormai praticamente dimenticato, è "promessa comune", un’azione che vede un punto di accordo e di equilibrio tra due arretramenti che possono comportare reciproci vantaggi più forti delle rispettive perdite. Quindi il sostantivo “compromesso” indica un arretramento, non una rinuncia totale ai propri principi, ai propri punti di vista, ai propri progetti e obbiettivi. Anzi.
Vista la soluzione eversiva che Berlusconi impone ai suoi obbedienti servitori per cercar di realizzare la sua convinzione di essere al di sopra della legge, viene da ripetere la domanda già fatta alcuni mesi fa: a un partito di centrosinistra conveniva davvero continuare ad arretrare davanti alle pretese sempre maggiori e ingiustificabili, in una visione di equità sociale, da parte di un evasore fiscale (la sentenza definitiva è arrivata da poco, ma tutti – tranne Bondi – ne erano già convinti da tempo) per assicurare la cosiddetta governabilità? Non era meglio rifiutare fin dall’inizio qualsiasi compromesso antistorico per non compromettersi (nel significato del verbo riflessivo: rovinare la propria reputazione) con chi è su posizioni diametralmente opposte alle proprie.
In questo momento rinnovo il mio rimpianto per Bersani: è stato perdente, ma coerente e cosciente di cosa significa mediazione, e probabilmente la sua sconfitta è dipesa anche e soprattutto da chi il compromesso lo voleva a tutti i costi.
Il risultato è stato che la governabilità è rimasta un sogno e che nel suo nome è stato dato un nuovo colpo, forse mortale, alla nostra democrazia.

domenica 1 settembre 2013

O la pernacchia o il silenzio

Una volta una delle figure tipiche delle barzellette era quella del pazzo che si credeva Napoleone e che pontificava dicendo scemenze alle quali nessuna persona sana di mente pensava di dare la minima importanza. Oggi è la realtà a fornirci questa immagine e, visto che troppo spesso rispondiamo ai “Napoleone” della politica, allora probabilmente vuol dire che troppo sani di mente non siamo neppure noi.
Pensateci: ha senso rispondere a un Berlusconi che un giorno dice che il governo non sopravvivrà alla votazione della Commissione del Senato che, alla luce della sua infamante condanna definitiva, dovrebbe espellerlo da Palazzo Madama, e che meno di ventiquattr’ore dopo afferma che questo governo è ottimo e sicuramente continuerà a operare qualsiasi cosa accada? Quel Berlusconi che, con tutta probabilità da qui al 9 settembre dirà ancora molte volte tutto e il contrario di tutto.
Oppure, ha senso prendere in considerazione le proteste dei grillini che, davanti alla nomina di quattro nuovi senatori a vita di livello altissimo, riescono soltanto a vedere che ci saranno quattro stipendi in più che usciranno dalle casse del Senato, ma non percepiscono neppure lontanamente che dentro quell’aula entreranno intelligenze di cui si avverte la mancanza?
O, ancora: ha senso ribattere in qualche modo alla Lega che, travolta dagli scandali a livello nazionale e in tantissime sue emanazioni locali, continua a pretendere di ergersi a paladina della trasparenza e dell’onestà amministrativa?
O, andando veloci, come si fa a pensare di prendere seriamente gli ondeggiamenti di comodo di Casini, o di Pannella, l’astioso cipiglio di Monti, il continuo tutti contro tutti del PD nel quale ancora qualcuno pensa di essere furbo a far scoppiare delle vere e proprie mine affrettandosi poi a dire che si tratta soltanto di opinioni personali, mentre altri esaltano il confronto soltanto quando da questo confronto non escono sconfitti dai voti?
Una volta avevo suggerito di rispolverare la potentissima arma della pernacchia genialmente suggerita a suo tempo da Totò. Oggi credo che ancora più efficace sarebbe se si cominciasse a dare a queste cose lo spazio che meritano. Cioè, nessuno.