giovedì 29 agosto 2013

Gutta cavat lapidem

L’Italia non finisce mai di stupire noi italiani; figuriamoci gli stranieri. E l’infinito caso Berlusconi sembra fatto apposta per allontanarci sempre di più dal consesso delle democrazie serie e mature tra le quali noi sediamo molto di più per i principi esposti da una Costituzione tra le più belle al mondo che per l’applicazione concreta di quei concetti.
Dopo la sua condanna definitiva e la sua interdizione dai pubblici uffici, l’uscita dell’ex cavaliere (a proposito, a quando l’ufficializzazione della sua radiazione obbligatoria per legge dall’elenco delle onorificenze?) almeno dal Senato, se non dalla cabina di unica regia del suo partito-azienda, appariva scontata anche agli italiani e non soltanto agli stranieri per i quali del Berlusconi politico non si sarebbe dovuto più parlare già da più di dieci anni.
Ora, invece, nel nome di una fantomatica “agibilità politica”, che in realtà è un’immunità totale soltanto a lui riservata, tutto torna in discussione. E la possibilità di vedere un pregiudicato continuare a ricattare un intero Paese si sta facendo strada non soltanto tra i suoi dipendenti, ma anche tra alcuni di coloro che dovrebbero tenere all’uguaglianza davanti alla legge senza alcuna esitazione e che, invece, hanno uno stomaco talmente forte da non rivoltarglisi nel vedere bizantinismi legali, politici e procedurali che tentano di fare scempio della democrazia e dell’uguaglianza davanti alla legge.
Per capire di quale mostruosità stiamo parlando, basterebbe pensare a cosa succederà se arriverà a sentenza definitiva anche il processo Ruby (sette anni di carcere e interdizione perpetua), oppure al perché ogni cittadino, davanti a un simile stravolgimento etico, non possa sentirsi in diritto di calpestare la legge e di pretendere di non essere punito. Berlusconi vuole rivolgere appello alla Corte Europea dei diritti umani: probabilmente questa strada dovrebbe essere percorsa dal popolo italiano al quale l’uomo di Arcore ha tolto molto più di vent’anni di progresso.
Ma il vero problema per gli italiani, se vogliamo guardare avanti (Berlusconi, come tutte le cose umane, prima o dopo finirà) l è che, mentre il centro continua a esistere soltanto per barcamenarsi tra gli opposti schieramenti, dopo aver perso la destra, annegata nel populismo di un capitalista bulimico, l’Italia sta sempre più perdendo anche la sinistra che non riesce a trovarsi unita su nulla.
Epifani dice – e la stragrande maggioranza degli italiani si augura che sia così – che in commissione il PD sarà compatto nel votare per l’espulsione di Berlusconi, ma, nell’eco di alcuni distinguo, resta la sgradevole impressione che ogni qualvolta Berlusconi vuole qualcosa, il martellare dei suoi luogotenenti , ufficiali, e soldati semplici riesca a fare breccia in una parte della sinistra. Si potrebbe dire «gutta cavat lapidem», la goccia scava la pietra, ma l’idea più aderente alla realtà ci sembra quella di un torrente che precipita su un mucchio di terra non cementato.
L’improvvisa interruzione delle minacce di crisi da parte di Berlusconi, infatti, non è dipesa dall’evolversi di situazioni politiche governate dal PD, ma dal mercato, con il crollo delle azioni Mediaset considerate meno sicure in caso di caduta del governo.
Non sarebbe forse ora, per i rappresentanti del centrosinistra, di affrettarsi a chiudere la pratica Berlusconi e di cominciare al futuro dell’Italia e dei suoi abitanti? Alcuni lo stanno già facendo senza compromessi e i risultati, a livello di governo locale, si vedono distintamente.

giovedì 22 agosto 2013

Da paradosso a paradosso

È da sempre che la nostra politica si nutre di paradossi e di falsificazioni della realtà con un uso criminale, ancor prima che spregiudicato, delle parole; travisandole, applicandole a realtà che loro, poverine, non si sognerebbero mai di descrivere, creando con loro frasi che sono fatte solo ed esclusivamente per imbrogliare la gente che un po’ non ha memoria e un po’ non mette mai sotto la lente della critica le parole di coloro che sono - o appaiono - vicini alla propria posizione politica.
Già tre anni fa Gianrico Carofiglio aveva dato alle stampe un libro dal titolo “La manomissione delle parole”. Oggi Francesco Merlo riprende l’argomento illustrando alcuni casi plateali come “pacificazione” al posto di condono totale della pena, “agibilità politica” invece di immunità assoluta, “omicidio politico” in luogo di espulsione dal Parlamento di un indegno, e così via in un crescendo di fantasia perversa fino a giungere a “offesa della democrazia” al posto di rispetto della giustizia.
Ma in questa vertiginosa discesa dal mondo della logica a quello della truffa sembra che non ci sia mai fine. Il nuovo record lo ha stabilito il ministro Maurizio Lupi, berlusconiano di ferro, dicendo: «Per noi resta inaccettabile che il PD, nostro alleato di governo, voti in maniera pregiudiziale contro il nostro leader». Pregiudiziale? Ma il ministro conosce il significato delle parole che pronuncia? E allora le sentenze di primo e secondo grado e quella della Cassazione, se non giudizi, cosa sono?
Vien da pensare che se davanti a frasi come queste ci fosse sempre qualcuno che si alzasse per dire «Stai cercando di imbrogliare la gente che ti ascolta», forse questa Italia cambierebbe. Magari le prime volte gli artisti della contraffazione urlerebbero accusando gli altri di persecuzione. Magari, come spesso accade, direbbero di essere stati travisati. Ma se l’accusa di falsificazione scattasse ogni volta che qualcuno tenta di imbrogliare, alla lunga molti la finirebbero di credere di poter dire sempre tutto e il contrario di tutto. Di poter vivere e far vivere tutti nel paradosso.
E, a proposito di paradossi, sarebbe il caso di dire a Letta che è sì, come lui ha detto, «Paradossale aprire adesso la crisi». Ma ancora più paradossale è stato accettare di dare vita a questo governo che alcuni definiscono “governo di servizio” pensando invece a un governo di complicità.

giovedì 15 agosto 2013

La legge è uguale per tutti. E la grazia?

Checché ne dicano Berlusconi e i suoi dipendenti, la sentenza della Corte di Cassazione sui fondi neri Mediaset ha ribadito il fatto che la legge è uguale per tutti e che anche un ricco e potente imprenditore e politico può essere ritenuto colpevole e condannato esattamente come qualsiasi altro povero Cristo.
Adesso, però, le parole di Napolitano sembrano aprire un nuovo interrogativo: anche la grazia è uguale per tutti? È vero che il Presidente della Repubblica si limita a dire che la grazia per il momento non gli è stata chiesta e che, nel caso, deciderà cosa fare, ma è altrettanto vero che su questa dichiarazione, non del tutto netta, i berlusconiani hanno cominciato a fantasticare su inaccettabili ritorni in sella del cavaliere (anzi, per legge, dovrebbe essere ex anche in questo senso).
Eppure di dubbi non dovrebbero essercene: anzitutto, una grazia che intervenisse subito dopo una condanna definitiva si configurerebbe di fatto come un quarto grado di giudizio, tale da smentire e delegittimare la stessa Corte di Cassazione e non è ipotizzabile che Napolitano possa soltanto pensare a un simile vulnus alla Giustizia. Poi, per un provvedimento di clemenza, servono alcuni requisiti minimi tra cui un'istruttoria del ministro della Giustizia, un inizio di espiazione della pena, un parere favorevole degli organi penitenziari e dei servizi sociali e così via, che attualmente non possono neppure ancora esserci.
Ma soprattutto non dovrebbero esserci altri processi in corso, mentre su Berlusconi ne gravano ancora alcuni che dovrebbero arrivare a sentenza definitiva entro due o tre anni e dei quali uno, quello legato a Ruby, in primo grado ha già condannato Berlusconi a sette anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Quindi credo che Napolitano – sempre preoccupatissimo per la tenuta di un governo che considera insostituibile – si sia espresso in maniera non troppo netta soltanto per non esacerbare ulteriormente gli animi. Ai berlusconiani, invece, sarebbe il caso di ricordare che una volta il Ministero della Giustizia si chiamava Ministero di Grazia e Giustizia con le due “G”maiuscole. In segno di rispetto per entrambi i sostantivi.

mercoledì 14 agosto 2013

Leggi, religioni ed esclusione

Anche questo commento si riferisce a un articolo di Ferdinando Camon, "Chi può dirsi davvero cittadino", apparso sul Messaggero Veneto, in cui lo scrittore continua la sua campagna contro lo jus soli
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Ferdinando Camon abilmente vuole sostenere le sue tesi di esclusione andando a toccare la sensibilità dei lettori là dov’è più acuta e cioè guardando alle categorie più deboli, quelle dei bambini e delle donne. Però, volendo mettere in crisi gli eccessi sociali altrui, finisce per mettere in crisi anche le regole nostre.
Giustamente condanna le parole di un imam milanese (riportate tra l’altro da un solo giornale, quello con la “G” maiuscola perché riferite a cose dette qualche anno fa, anche se la gravità non cambia) che elogiava i bambini-kamikaze; ma dalle sue parole si potrebbe pensare che un terrorismo senza bambini possa essere accettabile. La nostra storia ha avuto un orrendo contatto con il terrorismo e sappiamo bene che è stato sconfitto non andando soltanto a colpire gli esecutori più o meno giovani, ma anche i cattivi maestri che riuscivano a convincere menti che, a prescindere dall’età, erano facilmente orientabili.
Giustamente condanna i matrimoni imposti a bambine e ragazzine perché sono considerate oggetti di cui disporre a piacimento. Ma, al di là dell’età delle vittime, è forse meno grave quello che succede da noi dove quasi ogni giorno una donna viene uccisa da un uomo che continua a considerarla un suo possesso e che si rifiuta di lasciarle una libera scelta? Per non parlare, poi, dei matrimoni combinati, con spose spesso giovanissime, che sono diffusissimi in molte parti del Paese e che sono anzi la norma tra le famiglie delle varie mafie che operano, per crescere in ricchezza e potere, proprio come operavano i regnanti nei secoli scorsi.
Il problema è che Camon continua a cercar di dimostrare che gli altri sono peggio di noi. Invece, a parte il fatto che “altri” e “noi” sono categorie troppo vaste e variegate per avere riscontro nella realtà, farebbe meglio a puntare la sua attenzione su come si reagisce ai delitti e alle ingiustizie, se con uguaglianza di trattamento, o meno. Nell’America che lui cita, sia il nativo americano, sia il nuovo cittadino, sia l’immigrato in attesa di regolarizzazione, davanti allo stesso reato sono condannati nello stesso modo. E se questo non avviene, per esempio per il colore della pelle, sono centinaia di migliaia i cittadini che scendono in strada per protestare. In difesa di un povero Cristo, non di un ricco politico.
E Camon, a meno di non essere convinti che noi – occidentali e cattolici – siamo i migliori di tutti, mette in crisi anche lo stesso concetto di religione che si rivela relativo perché le leggi non si muovono dal luogo in cui sono scritte, mentre le regole religiose ognuno le porta sempre con sé. E non sempre sono giuste per il luogo dove si va: provate a bere una birra in Arabia Saudita.

giovedì 8 agosto 2013

Il razzismo in doppiopetto

Pubblico anche sul blog questo mio commento già apparso oggi sul Messaggero Veneto in carta e che si riferisce a un articolo scrittovi da Ferdinando Camon nel quale, dopo aver criticato l'atteggiamento della Lega nei confronti del ministro Kyenge, afferma che comunque la scelta di nominare Cécile Kyenge, è sbagliata.
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L’unica cosa che riesco ad apprezzare nel pezzo di Ferdinando Camon “Un ministro italiano sbagliato” è il passaggio in cui scrive «Attenzione a quello che ora dirò, me ne assumo la responsabilità» che, in un periodo di mezze frasi e di impossibili smentite non è davvero poco.
Ma, per il resto, devo ammettere che pochi articoli come questo sono riusciti a indignarmi perché, in definitiva, Camon condanna il razzismo becero e maleducato, ma approva quello – per usare un modo di dire probabilmente dimenticato e applicato a un altro “ismo” – “in doppiopetto”. Le parole, infatti, non si riferiscono a nulla di politico, anche se alla fine lo scrittore tira in campo l’egiziano Magdi Allam che è esponente della destra più conservatrice e del cattolicesimo più integralista (ha rinnegato la conversione con l’elezione di Papa Francesco) che, però, curiosamente considera un atto di razzismo contro gli italiani la designazione della Kyenge, ma non la propria elezione al Parlamento europeo.
Il ragionamento di Camon si sviluppa intorno allo jus soli di cui dice che «per cui uno viene qui e in un attimo è nostro concittadino», mentre invece, uno dovrebbe nascere qui e anche viverci. Ma gli equivoci non finiscono visto che attribuisce l’uso dello jus soli in America al fatto che i «colonizzatori si sono eretti a cittadini aventi ogni diritto, compreso quello di stabilire chi è e chi non è americano». Ma la stessa cosa avviene anche in Italia dove viene invece applicato lo jus sanguinis.
E allora, probabilmente, come dice inizialmente anche Camon, bisognerebbe affrontare il concetto di cittadinanza su livelli diversi che riguardano più l’aderenza alle regole, che al sangue, o al suolo. Lo dice inizialmente, ma poi lo dimentica completamente visto che afferma che la Kyenge è «un’ottima persona, ma che ragiona da extra-italiano».
A parte il fatto che, visti certi esempi italiani, probabilmente il ragionare da extra-italiano potrebbe essere considerato un pregio, vorrei sapere da cosa Camon trae questa convinzione: la Kyenge arriva in Italia a 19 anni; si laurea in medicina alla Cattolica di Roma; a trent’anni si sposa con un italiano e diventa italiana; conosce perfettamente la Costituzione e osserva le leggi di questa nazione; opera attivamente in associazioni interculturali che si occupano non soltanto da migranti; è stata insignita della cittadinanza onoraria da due comuni; da nove anni opera attivamente in politica.
Da Camon vorrei sapere cosa c’è di “extra-italiano” in questa biografia. Oltre, beninteso, il luogo di nascita e il colore della pelle.

sabato 3 agosto 2013

Il governo e la democrazia

Quello che ha di buono Berlusconi è che non è capace di fingere a lungo: meno di ventiquattr’ore dopo aver ribadito con grande seriosità ed enorme faccia tosta che le sue vicende non devono interferire con quelle del governo Letta, ha già affermato che, o si riforma la giustizia a suo uso e consumo, oppure questo governo cade immediatamente. E tutto questo mentre l’inqualificabile Santanché sostiene petulantemente e senza mai ascoltare gli altri, che la condanna del principe degli evasori è una “mutilazione” della democrazia perché in tanti sono stati così improvvidi da credergli e da votarlo, e mentre Simone Furlan, generale in capo del sedicente “Esercito di Silvio”, minaccia che se Napolitano non concederà subito la grazia al pregiudicato di Arcore, si rischierà una rivoluzione popolare.
Sarebbe ora che l’attenzione si allontanasse da Berlusconi e si dirigesse verso altre due persone: il presidente del Consiglio, Letta, e il presidente della Repubblica, Napolitano.
Il primo ha detto: «Sarebbe un delitto far cadere il governo» e gli si può rispondere tranquillamente che un delitto ancora maggiore sarebbe quello di mandare davvero in frantumi una democrazia infrangendo le regole della sua Costituzione per la paura – nella migliore delle ipotesi – dei cosiddetti “mercati”. Una nazione senza soldi può rinascere, una nazione senz’anima non può che morire e la storia è stata prodiga di esempi in questi sensi. Una piccola domanda di contorno: si può proclamare una guerra all’evasione alleandosi con il principe degli evasori che non solo pratica, ma anche teorizza che sia giusto non dare soldi al fisco?
Napolitano, invece, non ha detto che il governo deve restare assolutamente in piedi: non l’ha detto perché l’ha già ripetuto fino alla nausea. Lui in questo momento ha ancora maggiori responsabilità di Letta e, oltre a quello che ho appena scritto, sarebbe il caso di ricordargli anche che la concessione della grazia è subordinata all'intervenuto perdono delle persone danneggiate dal reato. Questo non vuol dire soltanto il fisco, ma, visto che i fondi neri costituiti frodando il fisco sono serviti per inquinare con la corruzione la vita politica italiana, a concedere il perdono non dovrebbe essere soltanto in fisco, ma Prodi, il suo governo e tutti noi cittadini che in quel governo speravamo e che da De Gregorio e da chi lo ha corrotto siamo stati truffati.
A chi ha rubato vent’anni di vita al nostro Paese e lo ha ridotto, non soltanto economicamente, in questo stato, personalmente non darei mai il mio perdono e sono certo che la maggior parte degli italiani la pensa esattamente come me.

venerdì 2 agosto 2013

Lo show non è finito

Se qualcuno pensa che lo show sia finito, o che almeno sia vicino alla fine, si sbaglia di grosso. Una condanna definitiva è definitiva per chiunque, ma Berlusconi e i suoi sono convinti che per Berlusconi questo non valga.
I segnali sono molteplici e chiari. Il guitto mummificato appare in televisione recitando non molto efficacemente la parte dell’emozionato e attacca ancora a testa bassa la magistratura annunciano sia la rinascita di Forza Italia, sia la continuazione della lotta alla democrazia. La sua devota servitrice Biancofiore consegna nelle sue mani – e non in quelle del presidente del Consiglio – la delega al sottosegretariato, a dimostrare che tutto l’entourage berlusconiani è al servizio del capo e non della Repubblica. Riprendono forza le voci che vogliono la figlia Marina alla testa del partito, ovviamente non per capacità politiche, ma in quanto, come parente stretta può essere una delle poche persone che potranno avere contatti con Berlusconi agli arresti domiciliari. Fin da subito si è cominciato a mettere in campo ipotesi di cavilli interpretativi delle leggi apparentemente chiare per evitare che venga espulso dal Senato e che diventi ineleggibile. Il PD continua a baloccarsi con la finzione dell’unico governo possibile e con la realtà dell’unico governo al mondo nelle mani di un pregiudicato.
E si potrebbe andare avanti a lungo su questa strada indicando ipocrisie come quella di Grillo senza la cui immobilità Berlusconi sarebbe già stato messo ai margini del Parlamento da molti mesi e pure falsità dei berlusconiani come quella che indica improvvisamente come comunista una sezione di Corte di Cassazione che fino a ieri mattina era indicata come un punto di riferimento per la giustizia.
Lo show, quindi proseguirà. Ma, come per le malefatte di Berlusconi era costituzionalmente giusto fare riferimento alla magistratura (che ha ancora un bel po’ da fare con il medesimo imputato) e non alla politica, così ora, per il lavorio di intorbidamento della politica, l’unica via possibile è, appunto, quella politica. Un’azione seria in questo senso è l’ultima occasione per il PD non soltanto per riconquistare almeno parte del proprio elettorato possibile, ma anche per sopravvivere.