martedì 23 aprile 2013

Da oggi ci si può arrabbiare

Riprendo il titolo del mio blog più recente: “Doveroso arrabbiarsi. Ma da martedì”. E lo ribadisco, perché dopo il successo di Debora Serracchiani si potrebbe essere tentati di sciogliere nella gioia della piacevole sorpresa il fiele che ci ha bloccato la gola in questi giorni nel vedere il comportamento di molti degli esponenti del PD a Roma. Ma così non deve essere.
Diamo alla nuova Presidente della Regione il merito di essere stata capace di avere conquistato fiducia mentre il suo partito faceva di tutto per farla perdere, sorridiamo all’idea che ci sono stati risparmiati altri cinque anni di disastro sociale ed economico con Tondo e i suoi sodali, ma ricordiamo anche che senza le malefatte del PD a livello centrale qui non ci sarebbe stata neppure partita e che questi cinque anni devono servire, oltre che primariamente a dare ossigeno una Regione quasi totalmente allo sbando, anche a ricostruire un centrosinistra che sia capace di vivere e di vincere anche senza presenze taumaturgiche come quella della Serracchiani.
Perché, se si vuole avere continuità nell’impostare una società, a vincere devono essere i valori e le idee anche se non si incarnano necessariamente in una persona capace di ispirare una fiducia tale da superare il disamore e la profonda delusione di questi giorni per Bersani e per Renzi. Li metto insieme perché, se Bersani ha sbagliato perdendo lucidità davanti a eccessive pressioni, Renzi ha fatto di tutto per far aumentare le pressioni e questo, al di là delle mie idee ultranegative sulle politiche del lavoro portate avanti da Ichino e abbracciate dal sindaco di Firenze, è di per sé un giudizio negativo sulla sua capacità di essere uomo che pensa al bene collettivo prima di quello personale, o di gruppo.
Ma per intanto godiamoci questo momento in cui l’elettorato della nostra regione ha saputo valutare bene i danni causati dalla gestione Tondo e anche la testarda e inutile immobilità e approssimazione dei grillini che ora dicono che la sconfitta era prevista, ma che fino a ieri parlavano di prima Regione a 5 stelle.
Da oggi, insomma, ci si può arrabbiare davvero con il PD, ma con la coscienza di dover lavorare per rafforzare il centrosinistra, non per distruggerlo.

venerdì 19 aprile 2013

Doveroso arrabbiarsi. Ma da martedì

Alfano non ha capito molto di quello che è successo in Parlamento e nel Paese – e la cosa non dovrebbe stupire più di tanto – e, visto il tonfo della candidatura Marini, ha avuto la bella pensata di rivolgersi di nuovo al PD per invitarlo a cercare insieme un nuovo nome per la quarta votazione quando, per essere eletto presidente basterà raggranellare la maggioranza assoluta dei grandi elettori.
Alfano non ha capito, insomma, che la rivolta di buona parte dei parlamentari e della stragrande maggioranza degli elettori del PD non riguarda il nome di Marini, ma il fatto che sia uscito da un accordo con Berlusconi. La stessa cosa sarebbe successa anche per Rodotà, o per Prodi, o per qualsiasi altro nome. Non è il nome a fare schifo, ma il metodo e soprattutto la controparte che vuole dare o non dare il benestare.
Per la quasi totalità dell’elettorato del PD tutto quello che Berlusconi tocca è irrimediabilmente contaminato. Questo lo si sapeva già prima. Quello che, almeno per me, non era prevedibile, e continua a essere totalmente incomprensibile è stato il comportamento di Bersani che, dopo aver tenuto duro per tanto tempo il progetto di “governo di cambiamento”, ha ceduto di schianto dando spazio alle “larghe convergenze” che i più vedono, invece, come “vergognose complicità”. E incomprensibile è anche quella specie di abbraccio con Alfano nello spazio più basso dell’emiciclo.
Ora si spera che il degnissimo nome di Romano Prodi possa rimettere insieme i cocci di un partito a pezzi al di là dell'unanimità con cui viene accolto, ma resta il rischio che il penoso spettacolo di ieri abbia allontanato molti elettori dal PD. Ebbene, spero che la giusta arrabbiatura, almeno nella nostra regione, prenda corpo da martedì. Per quanto mi riguarda non so ancora se in futuro traccerò la croce sul simbolo del PD, oppure se cercherò un partito di area che meglio rappresenti la mia intransigenza rispetto al berlusconismo, ma so per certo che domenica o lunedì voterò per le regionali il nome della Serracchiani e per le comunali il nome di Honsell, sia perché ho fiducia nella Serracchiani, sia perché tremo al pensiero che Tondo possa combinare disastri per altri cinque anni. E Ioan a Udine sicuramente non sarebbe migliore di Tondo.
Per favore, non lasciate che il disamore per il PD e la voglia di non andare a votare vi sommerga; almeno fino a martedì.
PS. Il commento di Marco Balestra sulla vita del PD postato sul precedente "Eppure..." merita una risposta meditata, ma preferirei rinviarla a quando il polverone sul presidente della Repubblica si sarà almeno in parte depositato facendo vedere - lo spero con tutto il cuore - il sorriso di Prodi dal Quirinale, pur ammettemdo che anche Rodotà è un nome più che degno; ma Prodi - per rispondere ai grillini - mi sembra un po' meglio.

giovedì 18 aprile 2013

Degna persona, pessimo simbolo

La notizia della candidatura cosiddetta "condivisa" di Franco Marini al Quirinale è orrenda. Ma non per la persona in sé, che reputo degna dopo averlo conosciuto direttamente circa vent'anni fa, quando facevo parte della commissione ristretta della giunta della FNSI che discuteva il contratto nazionale di lavoro dei giornalisti. In quell'occasione abbiamo lavorato a stretto contatto con lui in diverse occasioni, quando era ministro del lavoro, al termine di una trattativa difficile, mentre lui tentava di mediare tra le posizioni nostre e quelle degli editori riuscendo a prendere le parti dei lavoratori in varie cose molto importanti.
La notizia è orrenda perché la sua candidatura diventa il pessimo simbolo di un accordo con Berlusconi che non può non riguardare le sue vicende giudiziarie e che finisce per contaminare sia la figura Marini, sia quella di Bersani.
Per la prima volta spero proprio nei franchi tiratori con la coscienza, però, che, se questa speranza diventerà realtà, Bersani avrà concluso nella maniera peggiore la sua carriera politica e che questo significherà, con ogni probabilità, o la spaccatura del partito, oppure una segreteria Renzi con una conseguente forte sterzata a destra nel campo delle politiche del lavoro e, quindi, comunque, una quasi inevitabilespaccatura del partito.
Non sono un iscritto al PD, ma la frantumazione del più forte partito del centrosinistra, con un presidente della Repubblica frutto di un preaccordo con Berlusconi e con un governo da fare, porterebbe al disastro finale non soltanto il PD, ma l'intera Italia.
È mai possibile che nessuno alzi la voce per ricordare che la maggior parte dei disastri nei quali ci stiamo dibattendo è stata causata proprio da Berlusconi e dai suoi governi? Proprio come è successo con Tondo nella nostra regione.

mercoledì 17 aprile 2013

Né condivisione, né intese

«Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale». È questo che dice la Costituzione. Quindi è necessario sottolineare almeno due cose. La prima è che non dice che deve rappresentare l’unità dei partiti. La seconda è che il verbo “rappresenta” non significa né “incarna l'unità nazionale”, né “è la dimostrazione dell'unità nazionale”.
Quindi, per favore, finiamola di prenderci in giro con “candidature condivise” che sono la base necessaria per un futuro governo “di larghe intese”. Per quanto mi riguarda (e credo davvero di non essere l’unico), non vedo cosa io possa condividere con Berlusconi e con i suoi dipendenti, né quali intese (larghe o strette che siano) possa avere con loro su argomenti davvero seri come quella che ritengo essere la giustizia sociale.
Ed è sulle indecisioni del PD, rese più forti ed evidenti dai violenti attacchi di Renzi a Bersani che, al di là delle considerazioni di merito, sono del tutto fuori tempo (a meno che non si pensi ai progetti personali del sindaco di Firenze), che Berlusconi e Grillo vivono e prosperano.
Vuole, per favore, essere il PD a imporre un proprio nome di grandissimo livello senza preoccuparsi se dà fastidio a Berlusconi perché non gli assicura l’impunità, o a Grillo perché profuma di politica (come se Rodotà non avesse avuto cariche politiche e istituzionali)!
Vuole, per favore, il Pd ricordare che non esiste soltanto la questione del presidente della Repubblica e che in Friuli Venezia Giulia, per esempio, le indecisioni e le polemiche di di Roma rischiano di incidere negativamente sulla corsa di Debora Serracchiani alle elezioni regionali, facendoci correre il terribile rischio di riavere per altri cinque anni il disastroso immobilismo, l’assoluta incompetenza e la debacle sociale portati nella nostra regione da Tondo e dalla sua giunta!

lunedì 8 aprile 2013

Una condanna, non un suicidio

L’analisi politica di Curzio Maltese su “la Repubblica” di ieri merita di essere ripresa per meditare non tanto su quello che dice, ma su quello che non dice. La tesi che esprime è che tre sono le ipotesi possibili: un ritorno immediato alle urne; un tentativo di accordo con i grillini offrendo un nome che sia loro gradito e che non sia, quindi, Bersani; un abbraccio mortale con Berlusconi che porterebbe in breve «all’estinzione del partito».
Su questo non c’è discussione. Quello che non apprezzo (a parte la sua disistima nei confronti di Bersani che considero, invece, una delle poche persone davvero serie apparse nel panorama politico italiano degli ultimi decenni) è l’indifferenza con cui accompagna la terza ipotesi: quella dell'inciucio tra PD e PDL che porterebbe all'inevitabile dissoluzione il PD che già avevo messo in luce un paio di giorni fa, annunciando – anche se ovviamente la cosa può interessare quasi soltanto a me – che, se la cosa dovesse succedere, il PD non avrà mai più il mio voto perché mai potrei votare chi nega l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge accettando che Berlusconi possa uscire indenne da tutti i disastri che ha fatto e dai reati dai quali si è tolto con leggi fatte su misura e con una possibile immunità messa sul piatto di una bilancia che sull’altro piatto porta la governabilità. Un accordo con Berlusconi – lo ripeto – non si chiamerebbe alleanza, ma complicità.
Vendola dice che un accordo simile non sarebbe capito dagli italiani. Io credo, invece, che gli italiani capiscano benissimo e che, proprio perché sono in tantissimi ancora a credere nell’uguaglianza, nella legalità e nella solidarietà, molti fuggirebbero dai sottoscrittori di un accordo che farebbe diventare l'Italia uno Stato ufficialmente ingiusto e non democratico.
Il problema che Curzio Maltese non mette in luce - anche se lo sa benissimo - è che la dissoluzione del PD per far nascere una nuova formazione di sinistra e una di centrosinistra condannerebbe la parte riformista dell’Italia a essere perdente nei confronti della destra e dei vari populismi assortiti per altri decenni. La fine del PD, anche se il PD è criticabile per mille aspetti, sarebbe una sciagura terribile.
Forse dovrò morire sotto un governo di Berlusconi, o dei suoi successori, ma sicuramente non starò zitto e ancora più sicuramente non sarò rassegnato. Quindi grido a tutta voce che la terza ipotesi non esiste perché non è neanche un suicidio del PD: è la condanna di un’intera nazione.

Una condanna, non un suicidio

L’analisi politica di Curzio Maltese su “la Repubblica” di ieri merita di essere ripresa per meditare non tanto su quello che dice, ma su quello che non dice. La tesi che esprime è che tre sono le ipotesi possibili: un ritorno immediato alle urne; un tentativo di accordo con i grillini offrendo un nome che sia loro gradito e che non sia, quindi, Bersani; un abbraccio mortale con Berlusconi che porterebbe in breve «all’estinzione del partito».
Su questo non c’è discussione. Quello che non apprezzo (a parte la sua disistima nei confronti di Bersani che considero, invece, una delle poche persone davvero serie apparse nel panorama politico italiano degli ultimi decenni) è l’indifferenza con cui accompagna la terza ipotesi: quella dell'inciucio tra PD e PDL che porterebbe all'inevitabile dissoluzione il PD che già avevo messo in luce un paio di giorni fa, annunciando – anche se ovviamente la cosa può interessare quasi soltanto a me – che, se la cosa dovesse succedere, il PD non avrà mai più il mio voto perché mai potrei votare chi nega l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge accettando che Berlusconi possa uscire indenne da tutti i disastri che ha fatto e dai reati dai quali si è tolto con leggi fatte su misura e con una possibile immunità messa sul piatto di una bilancia che sull’altro piatto porta la governabilità. Un accordo con Berlusconi – lo ripeto – non si chiamerebbe alleanza, ma complicità.
Vendola dice che un accordo simile non sarebbe capito dagli italiani. Io credo, invece, che gli italiani capiscano benissimo e che, proprio perché sono in tantissimi ancora a credere nell’uguaglianza, nella legalità e nella solidarietà, molti fuggirebbero dai sottoscrittori di un accordo che farebbe diventare l'Italia uno Stato ufficialmente ingiusto e non democratico.
Il problema che Curzio Maltese non mette in luce - anche se lo sa benissimo - è che la dissoluzione del PD per far nascere una nuova formazione di sinistra e una di centrosinistra condannerebbe la parte riformista dell’Italia a essere perdente nei confronti della destra e dei vari populismi assortiti per altri decenni. La fine del PD, anche se il PD è criticabile per mille aspetti, sarebbe una sciagura terribile.
Forse dovrò morire sotto un governo di Berlusconi, o dei suoi successori, ma sicuramente non starò zitto e ancora più sicuramente non sarò rassegnato. Quindi grido a tutta voce che la terza ipotesi non esiste perché non è neanche un suicidio del PD: è la condanna di un’intera nazione.

venerdì 5 aprile 2013

La politica e la propaganda

Un paio di cose veloci su quello che sta accadendo nel PD, proprio mentre all’interno dei grillini stanno aprendosi quelle crepe che potrebbero premiare la strategia di Bersani per dare un governo capace di mettere a posto almeno alcune e cose (molto temute da Berlusconi) per l’Italia.
Se il PD, con qualsiasi segretario, dovesse allearsi con il PDL si tratterebbe di complicità e non di alleanza e molti – tra cui sicuramente io, che del PD non sono, ma che da tempo lo voto – starebbero ben attenti prima di mettere ancora una volta la croce sul simbolo del PD sulla scheda elettorale.
Renzi ha ragione a dire che Bersani non ha vinto le elezioni, ma lui – e tutti quelli che gli danno ragione e lo seguono – dovrebbe ricordare chelui alle primarie ha perso. E allora Renzi spieghi perché le sconfitte altrui debbano essere definitive e le sue no. Oppure, a scelta, perché le sue sconfitte siano soltanto un episodio superabile in brevissimo tempo e quelle altrui no.
Chiunque rischi scientemente di mandare in frantumi il maggiore partito che si colloca dal centro verso la sinistra, si assume la terribile responsabilità di ridare ancora una volta fiato a Berlusconi e ai suoi dipendenti e di allontanare qualsiasi sogno di giustizia sociale da questo disgraziato Paese.
Renzi dice con grande prosopopea che lui dice quello che dice perché ascolta «quello che dice la gente della strada, le persone semplici». Ecco: questo è il vero problema perché se si cercano soltanto consensi andando incontro ai rumors della folla, non si fa politica, ma propaganda e, almeno in questo, non si è molto lontani né da Berlusconi, né da Grillo. Fare politica vuol dire avere idee e tentare di metterle in pratica. Poi alcune possono anche fare orrore (a me, per esempio, quelle sul lavoro portate avanti da Ichino) ma, se sono idee ragionate, meritano almeno rispetto e future discussioni. La propaganda merita soltanto il disprezzo di chi la sta subendo da troppi anni.