sabato 30 marzo 2013

La colpa è tutta nostra

Ho appena finito di ascoltare il sermone di Beppe Grillo davanti a un ossequioso (e quindi bravo) giornalista che non fa domande, ma si limita ad assentire a cenni e parole davanti al capo, a differenza degli altri giornalisti che obbiettano (e che quindi bravi non sono) e che si permettono di fare domande.
La lunga orazione del portavoce di Casaleggio è stata di grande interesse e di notevole abilità, con una mirabile miscela di cose non soltanto condivisibili, ma richieste da larga parte della popolazione ben prima che il duo Casaleggio-Grillo decidesse di accostarsi alla politica, unite con una dose straripante di elementi di provata falsità, di mistificazione e di timore.
Il fatto che il Parlamento possa andare avanti senza governo, per esempio, è una plateale bugia dello stesso livello di quella - che finalmente hanno smesso di dire - che il M5S è il primo partito: a prescindere, infatti, dalle impossibilità pratiche di dare vita alle commissioni, di distribuire responsabilità istituzionali e di avere rappresentanze ufficiali a livello internazionale, Grillo si guarda bene dal far capire a chi spetterebbe di tracciare le linee sociali ed economiche per far uscire il Paese dalla crisi.
Mistificante, poi è la ripetuta richiesta a Napolitano di dare vita a un governo grillino. Chi, infatti, gli darebbe la costituzionalmente necessaria fiducia a uno schieramento che non raggiunge il 30% e che ha oltre il 70% di contrari? O forse lui pretende che, essendo egli infallibile e ognisciente, tutti quelli che lui disprezza debbano inchinarsi al suo volere? Mistificante, oltre che offensivo, è anche accomunare l’operato dei governi Prodi con quello dei governi di Berlusconi che il secondo Prodi ha fatto cadere acquistando senza badare spese i senatori necessari.
Non può non destare timore, poi, lo strampalato concetto di democrazia portato avanti da Grillo e dal suo suggeritore: trasparenza obbligatoria per gli altri e assoluta opacità per il proprio movimento; decisioni prese in alto loco, poi confermate a maggioranza e infine sbandierate come unanimi; la pretesa di essere gli unici degni di parlare e proibizione – pena gli insulti – agli altri di pensare e di essere in disaccordo; la gestione di una crisi gravissima con lo scopo, neppure troppo dissimulato, di capitalizzare eventuali inciuci altrui per aumentare ancora i suffragi propri (ma non sono pochi coloro che già si sono dichiarati pentiti di aver scelto il simbolo grillino); incapacità di parlare senza offendere gli altri. Vale per tutti il disprezzo palesato contro Bersani che, invece, secondo me, merita grande rispetto quantomeno perché, rifiutando ostinatamente qualsiasi avvicinamento con Berlusconi, ha messo bene in chiaro la differenza che corre tra alleanza e complicità.
Cresce la voglia di ripagare Grillo con la sua moneta: non ha il monopolio del turpiloquio e sono sicuro che un Vaffa-day indirizzato a lui avrebbe un successo straripante; ma a bloccare questa tentazione c’è il fatto che noi non siamo come Grillo. Da noi nessuno è sicuro di essere infallibile e nessuno ritiene che chi non la pensa come lui non abbia diritto di parola.
Se poi non riusciamo a far capire la pericolosità di Grillo, come già non siamo riusciti a far capire la pericolosità di Berlusconi, allora la colpa è soltanto nostra.

sabato 23 marzo 2013

Benedetta irragionevolezza

In questa fase di una legislatura che ancora non sa se riuscirà a venire al mondo le strategie sono chiarissime.
Berlusconi, come sempre, ha in testa soltanto i suoi affari personali e i suoi problemi giudiziari e per questo spera a tutti i costi di arrivare a un “governissimo” che, nelle trattative, gli possa assicurare affari e impunità. Sa benissimo che con il PD il rapporto si romperebbe in un paio di settimane, ma intanto punta a portare al Quirinale un suo uomo di fiducia che possa difenderlo anche dopo.
La Lega è ingolosita dalla “Camera delle autonomie”, ma Berlusconi continua a ripetere che le cose devono farle assieme a lui, altrimenti fa saltare le giunte di Piemonte, Lombardia e Veneto.
Monti è ancora frastornato dall’insuccesso elettorale e tenta confusamente di trovare una strada che possa ridare a sé e ai suoi un ruolo di qualche importanza, pur sapendo che in nessuna maniera potrebbe essere determinante.
Gianroberto Casaleggio, il suo portavoce Beppe Grillo e i portavoce del portavoce Vito Crimi e Roberta Lombardi vogliono soltanto dire di no, a continuare a dire falsità («Siamo il primo partito in Italia», mentre i dati ufficiali danno 8.932.523 voti al PD e 8.784.499 al M5S alla Camera, mentre al Senato il divario è di quasi un milione e mezzo in favore del PD), a pretendere cose che nessun artificio politico potrebbe far realizzare («Napolitano dia l’incarico a noi», pur sapendo che resterebbero esigua minoranza visto che, come loro non appoggiano nessuno, nessuno appoggerebbe loro soprattutto su bestialità come l’uscita dall’euro), e a puntare tutto sul costringere il PD ad andare al governo con il PDL sapendo benissimo che alle prossime e in tal caso vicinissime elezioni, molti elettori del PD smetterebbero di andare a votare.
Il PD non si smentisce continuando a sostenere ufficialmente il tentativo di Bersani, ma lavorando indefessamente sotto sotto (ma Veltroni non doveva andare in Africa? Magari portandosi dietro un bel po’ di suoi amici) per far fallire il tentativo con una gamma incredibile di motivazioni e obbiettivi diversissimi.
In questa ridda di ragionamenti e piani strategici mi piace sempre di più la follia di Bersani che, pur conscio di tutte queste realtà (e anche di una sinistra estrema che si ricandiderebbe contro – come in Friuli Venezia Giulia – in caso di nuove elezioni, continua a lavorare per trovare una strada che consenta all’Italia non soltanto di sopravvivere a questo drammatico momento economico, ma anche di cambiare davvero per diventare finalmente un po’ più civile. E lo fa pur sapendo che probabilmente non ce la farà e che l’insuccesso porrà fine alla sua leadership nel PD.
George Bernhard Shaw scrisse: «L’uomo ragionevole si adatta al mondo; l’irragionevole insiste nel tentare di adattare il mondo a sé. Quindi, ogni progresso dipende dall’uomo irragionevole». Spero davvero che la benedetta irragionevolezza di Bersani abbia successo e che ce la faccia a superare l’ostacolo della fiducia: poi alcuni cambiamenti necessari potranno essere fatti e, finiti questi, si potrà tornare alle urne con bilanci più chiari per tutti.

lunedì 18 marzo 2013

Le minacce e il perdono

Non ricordo un periodo più pericoloso di questo per la democrazia italiana. È vero: per anni siamo stati infestati dal terrorismo e straziati dai lutti che la cosiddetta lotta armata causava quasi quotidianamente. Ma quella volta a combattere il terrorismo era la stragrande maggioranza del Paese e le istituzioni erano concordi nel tenere come punto fondamentale della bussola la democrazia e la Costituzione.
Ora non sembra essere più così perché i pericoli sono due ed entrambi possono affermare di essere sostenuti più o meno da un quarto di coloro che sono andati a votare.
Il primo, ma già ben conosciuto, si chiama Berlusconi che, ormai sempre più disperato, getta completamente la maschera e, visto che non riesce più a confezionarsi leggi ad personam, si dedica a predicare l’eversione organizzando, o almeno benedicendo, manifestazioni di piazza contro la magistratura e minacciando «battaglia nelle piazze e nel Parlamento» se il prossimo Presidente della Repubblica non dovesse essere un personaggio a lui gradito.
Il secondo – abbastanza nuovo, ma non meno pericoloso – è Beppe Grillo che si sente una specie di Padreterno in terra, depositario di ogni verità e, quindi pronto a punire che non si comporta come lui vuole, ma anche disposto – una volta assodato dal suo ventriloquo Casaleggio che c’è una marea montante contraria ai suoi diktat – a fare marcia indietro e a “perdonare” i disobbedienti.
Vi invito a soffermare la vostra attenzione sul “perdonare” chi ha “sbagliato in buona fede”. Chi è che può perdonare? Chi ha subito un torto personale, o colui che è tanto superiore agli altri da potersi permettere condanne e perdoni. Oppure chi ha perduto ogni contatto con la realtà e che è pericolosissimo fino a quando chi lo segue non se ne rende conto.

domenica 17 marzo 2013

Le vittorie dei poteri deboli

Magari tra alcuni giorni saremo lì a guardarci smarriti mentre non si riesce a trovare una via d’uscita per far avere la fiducia a un decente governo della Repubblica e mentre altri tentano disperatamente di farne nascere uno indecente con dentro Berlusconi e servitori assortiti. Ma per il momento lasciateci godere in pace una piccola serie di cose che ci fanno sorridere.
Laura Boldrini presidente della Camera e Pietro Grasso presidente del Senato: due figure di grandissimo prestigio sociale e dirittura morale che sorridono mentre il volto di Berlusconi è livido per la rabbia perché sono il suo opposto e perché si sente sempre più isolato e sempre più in pericolo; mentre Monti fa vedere di che pasta è veramente fatto sostenendo la necessità di un accordo tra PD e PDL in cui lui vorrebbe essere ancora una volta il dominus; mentre i renziani devono fare tanto di cappello al rottamabile Bersani che riesce a superare i primi scogli senza buttare a mare i suoi ideali; mentre Grillo fa vedere la sua vera (e brutta) faccia perché si rende conto che a furia di predicare l’obbligo di seguire la coscienza, più d’uno dei suoi comincia a seguire la propria coscienza e non lui.
Qui merita fare un breve approfondimento perché il Cinque Stelle sarà determinante nel futuro di un possibile governo e non si può non mettere in luce che Grillo invita alle dimissioni chi non ha votato come voleva la maggioranza del Movimento, cioè lui e il suo ventriloquo Casaleggio. E, infatti, tace colpevolmente il fatto che il capogruppo Crimi, dopo una lunga telefonata, aveva già annunciato il voto a scheda bianca, ben prima che l’assemblea lo decidesse. Se volete continuare a chiamarla democrazia interna, fatelo pure, ma soltanto tra di voi, se siete ancora disposti davvero a crederlo. E, per favore, finitela anche di dire che sinistra e destra sono uguali, a meno che non riusciate a tirare fuori una Boldrini e un Grasso dai meandri del PDL, della Lega e della Destra di Storace.
Poi, con il Parlamento non c’entra, ma su tutti questi simboli continua ad aleggiare un’altra scelta fortemente simbolica: quella di Papa Bergoglio di assumere il nome di Francesco, un nome che lega indissolubilmente alla pace, al rifiuto della caccia disperata alla ricchezza, al lavoro incessante per aiutare gli ultimi.
Magari tra alcuni giorni saremo lì a guardarci smarriti, ma adesso lasciateci sorridere per un po’: per la prima volta abbiamo assistito a una serie di vittorie dei cosiddetti poteri deboli sui cosiddetti poteri forti.

giovedì 14 marzo 2013

Il novello Barabba

Da eccessiva diplomazia e, conseguentemente, da eccessiva fumosità verbale, si può anche essere travolti. Spiace che questa volta a incappare in questo inconveniente sia stato il Presidente della Repubblica che poi si è sentito in dovere di confutare gli articoli che lo accusavano di “cerchiobottismo”. Giorgio Napolitano afferma che mai ha offerto alcuno scudo a Berlusconi e non credo che nessuno possa seriamente dubitarne.
Sta di fatto, però, che a sentire le dichiarazioni di Berlusconi e dei suoi, il comunicato del Quirinale è stato inteso proprio come una specie di sconfessione della magistratura. E quindi giunge assolutamente a proposito la precisazione che nessuno, davanti a procedimenti penali che lo riguardano, può sentirsi «esonerato in virtù dell’investitura popolare ricevuta».
Il più famoso precedente di volere popolare che stravolge la giustizia è accaduto quasi 2000 anni fa a Gesusalemme, quando Ponzio Pilato chiese al popolo: «Chi volete salvare: Gesù o Barabba?».
Fortunatamente il mondo ha fatto molti passi in avanti e oggi salvare Barabba appare davvero molto più difficile.

domenica 10 marzo 2013

La marcia da Roma su Roma

E così il ventriloquo minaccia di andarsene. Roberto Cotti, eletto senatore in Sardegna nella file dei grillini, scrive in un post: «Casaleggio ha detto che se decidessimo di dare l’appoggio a qualche partito lui lascerebbe il Movimento». Ma, ovviamente, è una minaccia teorica perché Casaleggio sa benissimo che in questa fase di un movimento - di qualsiasi movimento - il “messia” è irrinunciabile. Anzi, questa sua piccola e soltanto teorica minaccia serve egregiamente allo scopo di far sentire preventivamente in colpa gli eletti e i zelatori che temono di veder rompere il giocattolo che gli hanno appena costruito e regalato.
Nel M5S si parla bene del primo fascismo? È soltanto una provocazione. Si vuole cambiare al Costituzione? Anche questa è solo una provocazione come provocazione diventa esattamente qualsiasi baggianata dal sen fuggita. Di parlare di come far uscire dalla crisi un intero Paese e di ridare dignità a milioni di persone e di famiglie non si parla neppure, se non per gli obbligatori, ma proporzionalmente minuscoli tagli dei costi della politica che servono a poco per far ripartire un’economia, ma vanno egregiamente bene per far incazzare ulteriormente chiunque.
Per intanto, Grillo, il suo ventriloquo e i suoi, si esercitano nella ricostituzione di simboli antichi: marciare su Roma oggi, sarebbe un po’ ridicolo, ma secondo loro lo è di meno marciare dal Colosseo a Montecitorio. Comunque con la stessa convinzione: quella di essere gli unici depositari della verità.
Adoro l’anarchia della sinistra in cui ognuno pensa e dice quel che pensa. In questo caso uno vale poco, ma è l’unico caso in cui uno vale davvero uno.

sabato 9 marzo 2013

La deplorazione del fair play

Il fatto che non si vedano possibili vie d’uscita razionali dalla situazione creata dai risultati del voto sta assorbendo la quasi totalità delle energie di chi (il centrosinistra) da una scomoda situazione di quasi maggioranza cerca di trovare strade ragionevoli per approfittare temporaneamente del risultato del voto per mettere a posto alcune cose che devono comunque essere messe a posto prima di tornare alla urne; di chi (il centrodestra) cerca di approfittare della situazione per dare ulteriori vantaggi al suo leader sempre meno legalmente difendibile; di chi (il M5S) vuole lucrare sull’insoddisfazione generale per farla aumentare ancora in parallelo con la sua già cospicua percentuale.
Invece, per capire questa Italia, al di là delle strategie di Bersani e del Pd, di Berlusconi, di Grillo e del suo ventriloquo Casaleggio, credo sia ancora da dare un’occhiata al voto di due settimane fa. E credo sia il caso di farlo partendo dai grandi concetti che una volta sembravano essere alla base del giudizio degli elettori. Perché è il caso di chiederci, innanzitutto, che fine abbia fatto la parola “onestà” e la sua cugina “legalità”?
Me lo chiedo perché, fino a quando non riuscirò a capirlo, non sarò in grado di darmi una ragione del risultato elettorale per la Regione Lombardia: il fatto che, dopo la quantità di scandali che ha sommerso PDL e Lega a Milano e dintorni, Maroni, PDL e Lega abbiano sconfitto Umberto Ambrosoli, vero e proprio simbolo di onestà e legalità (scelto proprio per ammettere e cancellare la vergogna Penati) significa che di queste qualità a buona parte dell’elettorato non gliene può importare di meno. Anzi, le vede come un vero e proprio pericolo.
Che poi l’elettorato sia sovrano è indiscutibile, ma altrettanto indiscutibile è il fatto che restare zitti davanti a un elettorato pronto a farsi imbrogliare per l’ennesima volta con false promesse, o pronto ad accettare la falsità che “tanto sono tutti uguali”, è un peccato gravissimo. Il fair play sarà probabilmente un pregio nello sport: nel vivere democratico è soltanto un’idiozia autolesionistica.