venerdì 18 gennaio 2013

Maran e i radicali, paradigmi di una deriva

Sono perfettamente d’accordo con Pierluigi Bersani quando dice: «Qui c’è la regressione del sistema, un tumore, un cancro: un sistema organizzato su persone che spesso si scelgono da sole». E ha ragione anche quando continua affermando che il berlusconismo, «quello che sembrava una farsa, si è trasformato in un dramma… la deformazione della democrazia ci ha rovinato».
Il riferimento ai simboli dei partiti che vivono sui nomi dei loro leader è scontato, ma sarebbe sbagliato fermarsi soltanto a quella che è l’apparenza più evidente di questo fenomeno. La corruzione del sistema in senso individualista affonda ben più profondamente le sue radici che avviluppano non soltanto i leader, ma anche i quadri, gli aspiranti tali e giù giù fino a quelli che una volta erano chiamati i “peones”.
Il problema è proprio quello di un individualismo spinto che, nell’esaltare a livello di verità assoluta le proprie idee, porta a una progressiva separazione da tutti gli altri esseri umani che ci vivono intorno e che magari la pensano in maniera diversa dalla nostra soltanto per pochi aspetti secondari che, però, finiscono per assumere un’importanza assoluta.
E così, nell’impossibile ricerca di qualcuno che abbia un’uniformità totale di idee con noi, finiamo per separarci sempre più dagli altri, per restare sempre più soli, per rinunciare a quel senso di solidarietà e di protezione che ci dà il vivere all’interno di un qualunque tipo di società e ad alimentare quel serpeggiante senso di paura che è l’inevitabile sbocco della solitudine.
Il caso di Maran sembra paradigmatico, anche e soprattutto dopo le sue spiegazioni: Maran si allontana dal partito che ha contribuito a fondare perché si trova in minoranza su un solo, se pur importantissimo particolare: quello della politica del lavoro. E finisce per andare a collocarsi in un gruppo di persone con le quali certamente ha ben poco d’altro in comune e dalle quali – c’è da scommetterci – in breve entrerà in violento contrasto etico (e non mi riferisco soltanto all’integralismo di Gigli). E, sempre all'interno del PD, si continua a parlare di altre simili decisioni.
Altro caso clamoroso è rappresentato dai radicali nel Lazio dove Pannella vuole andare con Storace solo perché si sente trascurato dal PD nel discorso delle alleanze a livello nazionale. E il partito su questo si spacca perché la Bonino non può dimenticare che proprio contro la Destra lei era scesa in campo la volta scorsa, né che dal punto di vista libertario e della laicità poche situazioni politiche potrebbero essere più distanti da lei e dai pur dimenticati ideali radicali delle idee rappresentate da Storace e Berlusconi.
Il problema è che l’individualismo, alla lunga, porta all’integralismo. E l’integralismo, se anche potrebbe attagliarsi all’ambito della religione, è proprio l’esatto contrario della politica in cui lo sforzo di perseguire il meglio per tutti può passare soltanto attraverso il dialogo, il confronto, la mediazione e l’accettazione che è più giusto finire talvolta in minoranza in un gruppo in attesa di riuscire a convincere gli altri delle proprie idee, che essere sempre in maggioranza soltanto con se stessi.

Nessun commento:

Posta un commento