giovedì 27 dicembre 2012

Riformatori e conservatori? No, progressisti e restauratori

Quando questo Paese comincerà a ridare il giusto peso al significato delle parole allora molti dei suoi problemi potranno cominciare a essere risolti. In realtà dovremmo essere già abbondantemente vaccinati contro la manomissione e l’usurpazione delle parole e, invece, nella maggior parte dei casi stiamo lì come allocchi a lasciare che con le parole il potente di turno – o aspirante tale – ci prenda in giro, ci avviluppi fino a strangolare la nostra coscienza rendendola non insensibile, ma incapace di intendere.
Eppure basterebbe ricordare come tutte le dittature – e molti partiti politici – si siano fregiati impunemente dell’aggettivo “democratico” senza mai dare la parola al demos, al popolo, oppure limitandone la scelta a un’unica opzione; come si sia stati ad ascoltare senza reagire a stupidaggini come “guerra umanitaria”. E, per venire a questioni che ci riguardano molto da vicino e che si rifanno alla recente politica italiana, come con leggerezza abbiano tentato di parificare la parola “prescrizione” con “assoluzione”, e di camuffare il concetto di “arbitrio” con quello di “libertà”, di “schiavitù” con “liberismo”, di “socialità” con “comunismo”. Fino ad arrivare alle vere e proprie truffe palesi come l’utilizzo della parola “lodo” che indica una transazione, o un compromesso, per definire, invece, una furbata, un’imposizione della maggioranza alla minoranza che poi fortunatamente è stata cassata dalla Corte Costituzionale e non per motivi linguistici. E si potrebbe continuare a lungo.
Adesso ci riprovano tentando non soltanto di rendere indifferenziati i significati dei termini “riformatore” e “conservatore”, ma addirittura di invertirne il significato asserendo che riformatore è colui che cambia l’esistente, mentre conservatore è quello che si oppone al suo cambiamento. È vero, ma soltanto in minima parte.
Per fare un esempio semplice e chiaro, secondo questi imbroglioni linguistici si potrebbe dire che chi si oppone a una nuova legalizzazione della schiavitù è un conservatore, mentre chi ne chiede la reintroduzione è un riformista. Esempio assurdo? Sì, ma mica tanto, visto che sono i supposti conservatori quelli che oggi si impegnano a difendere i diritti dei lavoratori, delle donne, dei deboli, degli immigrati, dei poveri, degli ultimi. Mentre sono i cosiddetti riformatori a pensare a come tagliare questi diritti per dare maggiori poteri e maggiore ricchezza a chi già ne ha. Per capirci, pur con grande rispetto per la libertà delle sue idee, Ichino a me sembra un conservatore della più bell’acqua.
Il fatto è che invece di parlare di riformatori e conservatori, in questo momento storico dovremmo parlare di progressisti e di restauratori, laddove per progresso si intende davvero il progredire verso condizioni migliori per tutti con una prospettiva che non si fermi soltanto alle necessità contingenti, ma sconfini almeno un po’ nell’utopia.

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