sabato 12 novembre 2011

Stato di necessità, stato di costrizione

Ancora una volta il nostro impoverimento culturale – e segnatamente quello del vocabolario – ci condanna a non capire bene quello che ci sta accadendo e, quindi, a non avere in mano tutte le carte necessarie per prendere le giuste decisioni. In questo caso mi riferisco al fatto che ogni giorno continuiamo a sentire che la politica italiana sta agendo in stato di necessità, mentre dovremmo dire che sta agendo in stato di costrizione. Per capirci: salvarsi da una situazione pericolosa in stato di necessità è, per esempio, fuggire verso zone più elevate quando – giusto per attenersi alle cronache italiane – sta arrivando un’alluvione; salvarsi da una situazione pericolosa in stato di costrizione è accettare di agire seguendo gli ordini di chi ci punta una pistola alla tempia.
E in questo momento l’Italia vive e agisce innegabilmente in stato di costrizione, sia perché chi ha avuto grande parte nel farla precipitare dov’è ora sta ricattando chi dovrà ereditarne le macerie per tentare di ricostruire, sia in quanto ormai appare commissariata da burocrati europei che non sanno andare al di là delle colonne di numeri che illustrano un deficit e, quindi, non riescono a vedere – o forse non gliene interessa proprio – le distruzioni che la salvezza dell’economia ingenererà nel tessuto sociale di varie nazioni, tra cui, appunto, anche l’Italia.
Come giustamente ha detto Andrea Baranes a Zugliano, nel corso di un dibattito su Banca Etica, probabilmente stiamo assistendo allo scontro finale tra finanza e democrazia, uno scontro di cui non si riesce a prevedere l’esito finale perché in questa incompatibilità di tempi tra una realtà in cui assoluta rapidità significa guadagno e una in cui relativa lentezza vuol dire ragionamento e quindi capacità di scelta oculata, si inseriscono diverse variabili tra le quali mi limito a segnalarne due: il fatto che la finanza, continuando a distruggere economia e lavoro alla fine non avrà più niente con cui abbuffarsi e la constatazione storica che la fame e la disperazione portano inevitabilmente a sommovimenti che una volta vedevano il popolo scendere nelle strade con falci e forconi e che oggi speriamo continuino a essere sempre pacifici.
Ma non diamo soltanto la colpa alla finanza, perché anche la politica ha le sue belle colpe. Come si può giustificare, infatti che uno Stato possa preferire tagliare scuole e ospedali piuttosto che tagliare la spesa militare di 150 milioni di euro per l’acquisto di 130 cacciabombardieri il cui solo nome è in netto contrasto con l’articolo 11 della Costituzione? E come si può accettare che il governo italiano si lasci chiedere, senza reagire con sdegno, dai burocrati europei cosa si abbia intenzione di fare sulla gestione dell’acqua “malgrado” ( proprio “malgrado”!) il risultato del referendum di pochi mesi fa? E, ancora, è possibile pensare che uno Stato vada in fallimento se non paga puntualmente gli interessi sui debiti e che non sia già in fallimento se affama i suoi cittadini tagliando istruzione, sanità, stipendi, pensioni e così via? Ed è possibile che, se davvero la politica pensa che siamo sull’orlo del baratro, non intervenga per tassare i patrimoni magari perché pensa di riuscire a mantenere integre le proprie ricchezze.
Tutto questo è in gran parte frutto della troppo lunga permanenza di Berlusconi e dei suoi al governo e ora guardo con grande timore a cosa Monti vorrà e a cosa potrà fare perché una maggioranza politica, comunque la si guardi, non c’è.
In questo quadro dovrebbe essere già implicita una risposta ai signori Silvan e Bruno Rossi che dicono che tutta la politica è sporca e che l’uno vale l’altro. Ma vorrei anche ricordare loro che il centrosinistra ha prodotto Prodi che ci ha portato in Europa, mentre il centrodestra ha partorito Berlusconi che dall’Europa è quasi riuscito a portarci fuori, e che il centrosinistra si basa su concetti di socialità e solidarietà, mentre il berlusconismo si fonda sull’individualismo e la supremazia. Ovviamente ognuno è libero di scegliere tra queste opzioni, ma non bisogna far finta che non siano tali. Io ho scelto la solidarietà e continuerò a rifiutarmi di accettare i camuffamenti delle parole e della realtà.

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