lunedì 31 ottobre 2011

Leadership e democrazia

Questa volta vorrei non parlare di Berlusconi: per lui mi limito a segnalare che quel signore, dopo aver incentivato per legge il gioco d’azzardo via internet, è entrato anche in quel giro di affari creando un altro gigantesco conflitto di interessi.
Questa volta vorrei cominciare un ragionamento – anzi, se possibile, un dialogo – sul PD. E vorrei cominciare da quello che è accaduto alla Leopolda di Firenze dove Matteo Renzi ha radunato i “rottamatori” dando una poderosa mano a innalzare il tasso di litigiosità all’interno di un partito che dovrebbe vincere a mani basse le prossime elezioni purtroppo non tanto per la bontà dei programmi propri, quanto per l’impresentabilità di quelli altrui.
Devo confessare che il personaggio non mi è particolarmente simpatico perché mandare a casa delle persone soltanto guardando la carta d’identità, o il numero dei mandati, senza preoccuparsi della qualità di quelle persone, mi sembra una evidente generalizzazione che, come tutte le generalizzazioni e le eccessive semplificazioni, è una pericolosa sciocchezza che, tra l’altro, si dimostra tale già in alcune frasi pronunciate da Renzi stesso. Eccone una: «La storia nuova la scrivono i pionieri e non i reduci», dimenticando evidentemente che la nuova storia dell’Italia democratica è stata scritta nella Costituzione dai reduci della Resistenza e che sono stati i pionieri delle “novità” sociali a tentare di riportarci a quella storia vecchia, evidentemente dimenticata da troppi, ma altrettanto evidentemente mai morta.
Ma su almeno una cosa con Renzi sono d’accordo e confermo quello che ho già scritto qualche commento fa: i politici si occupano di alleanze, ma agli elettori interessano i programmi, o, meglio, gli obbiettivi.
E vedo di andare oltre rilevando che non sono pochi coloro che individuano una delle cause delle difficoltà del centrosinistra nella mancanza di “leadership”. Io, invece, sono convinto che quello che serva – e scusate il neologismo che faccio mio mutuandolo da Claudio Scarpa, pensatore ancor prima che teatrante – sia una “teamship”.
La crisi di leadership, infatti, può anche essere vera, ma vedo questa affermazione come uno dei modi per tentare di lavarsi mani e coscienza. In questo modo, infatti, ognuno può dire: «Quello che succede non è colpa mia, perché io non posso essere un leader in quando non ne ho la statura, la prearazione, la cultura e, se i leader a disposizione sono davvero scarsetti, se non del tutto impresentabili, non posso farci niente». Se invece la crisi è di “teamship”, allora la cosa mi riguarda perché nel team, nel lavoro di gruppo, c’entro anch’io; perché sono chiamato anch’io, comunque e sempre, a dare il mio contributo. E se non lo faccio sono anch’io a danneggiare la comunità.
Questa crisi di “teamship”, non è inevitabile. In Friuli una prova la si è avuta – evidente – 35 anni fa, quando un intero popolo, a prescindere da situazioni e convinzioni diverse – sociali, religiose, linguistiche, politiche – è riuscito a compiere quel miracolo che chiamiamo ricostruzione dal terremoto del 1976. E sono convinto che se in quella circostanza ci fossimo trovati nella situazione politica attuale non ne saremmo venuti fuori. E non soltanto per la caratterizzazione politica della conduzione attuale della Regione, ma perché quella volta importanti non erano i leader, bensì i team. O, meglio, i leader erano importanti perché si sentivano tali soltanto fino a un certo punto, visto che poi sapevano confrontarsi, mediare e decidere con gli amici e con gli avversari. Mentre oggi di questi tre verbi resta vivo – e non sempre – soltanto il terzo.
Credo che siano molte le cose che hanno portato a questa situazione, ma che quella più importante, anche se i più lo vedono come un ininfluente tecnicismo, sia stato il passaggio dal proporzionale al maggioritario, perché con il proporzionale e con quelle coalizioni non corazzate che obbligava a fare, gli amministratori della cosa pubblica erano obbligatoriamente abituati a confrontarsi, a discutere, a mediare – che poi è la vera essenza della democrazia – ed erano anche costretti a capire il vero pensiero dell’altro, a saperne cogliere le cose buone e a buttare quelle cattive. Oggi ogni valutazione finale sulle cose da fare è demandata soltanto al conteggio della quantità di voti che si hanno a disposizione.
Quella volta, insomma – visto che cultura è andare a fondo nelle parole, capire ed elaborare – si è fatta vera cultura facendo vera politica. E questo è importantissimo perché sono convinto che quella che stiamo attraversando non sia soltanto una crisi economica, ma, soprattutto, una crisi culturale. E come si può uscire da una crisi culturale senza cultura? Soprattutto pensando che la caratteristica principale della cultura è la responsabilità e non la voglia di apparire.
Un'ultima cosa: sono perfettamente d'accordo sul fatto che come deve sparire il berlusconismo, così deve sparire l'antiberlusconismo. Ma non prima di un minuto dopo che il berlusconismo sarà scomparso dalla faccia dell'Italia.

venerdì 28 ottobre 2011

Per quanto voi vi crediate assolti …

Oggi il Times di Londra, che una volta il centrodestra definiva “autorevole”, scrive in prima pagina che «Berlusconi si deve dimettere immediatamente». E continua con parole inequivocabili sottolineando che è stata «la codardia politica del Presidente del c
consiglio che ha messo in pericolo l’intera Eurozona» e rincarando, per chi avesse ancora un dubbio, con un’altra frase inequivocabile: «Questo clownesco primo ministro la cui noncuranza, irresponsabilità e codardia politica ha tanto esacerbato la crisi attuale».
E davanti a quello che sta accadendo in Italia e che sembra sia lucidamente visibile più dall'estero che da noi, mi torna ripetutamente in testa il verso «Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti», della “Canzone di maggio” di Fabrizio de Andrè, uno dei pochi poeti che non soltanto hanno saputo coniugare poesia e società, ma ci hanno permesso di intravvedere il futuro attraverso le sue parole.
Mi torna in mente perché In Italia a essere convinti che Berlusconi sia finito sono ormai quasi tutti ed è una corsa disperata a rifarsi una verginità mettendo in rilievo tutte le proprie cose buone e nascondendo quelle cattive, sperando nella scarsa memoria della gente.
Mi riferisco a Fini, senza il cui ennesimo appoggio, Berlusconi non sarebbe mai riuscito a combinare tanti disastri; a Casini che lancia anatemi sul Pdl ma ancor’oggi si allea con lui dove, come in Molise, annusa possibilità di vittoria; a Bonanni e Angeletti che adesso (adesso!?) si accorgono che questo governo se ne frega del lavoro e dei lavoratori pur di difendere i ricchi tra i quali Berlusconi è il più ricco di tutti; a Bertinotti che per le 35 ore ha fatto crollare il miglior governo del dopoguerra; a parte del Pd (non soltanto a D’Alema e a Veltroni) che continua a privilegiare le alleanze rispetto ai programmi mentre gli elettori vogliono programmi e non alleanze a prescindere; a quelli come me che limitandosi al voto e al disprezzo («La politica? Una cosa con cui non voglio sporcarmi») ha reso possibile la nascita e lo sviluppo del berlusconismo con la sua distruzione di uomini, valori e istituzioni.
In questo quadro fanno quasi tenerezza quelli che ancora credono che Berlusconi sia un politico e non uno sgangherato approfittatore. Uno dei lettori di questo blog, che in pubblico preferisce celarsi sotto l’anonimato di uno pseudonimo (ognuno si dia una sua risposta sul perché), scrive: «Tutti pronti ad insultare, tutti pronti ad insegnare, tutti pronti a dire quello che bisogna fare, tutti pronti a criticare, nessuno invece è pronto a mettersi in prima fila a dare l’esempio; bravi, complimenti, se questa è l’alternativa siamo messi veramente bene!».
Può anche essere che lei abbia ragione, ma bisognerebbe avere una controprova: tenti lei di convincere Berlusconi a ritirarsi dalla prima fila per far vedere se gli altri sono capaci non solo di dare il buon esempio, ma anche di lavorare non esclusivamente pro domo sua.

martedì 25 ottobre 2011

Il quarantesimo trucco

L’inadeguatezza politica ed etica di Silvio Berlusconi è già abbondantemente evidente per chi non fa finta di non vedere, ma per apprezzare appieno la bassezza non soltanto fisica del personaggio, occorre ancora una volta scrutare le sue vicende private.
Questa volta, per la sua quarantesima legge ad personam approfitta delle pieghe del Decreto sviluppo imposto all’Italia dall’Europa, e ci piazza una norma (tre righe mimetizzate a pagina 203 della bozza) che dai commentatori, e anche da alcuni dei suoi, viene graziosamente definita "taglia-legittima" o "anti-Veronica".
La questione è semplice: se Berlusconi morisse con le leggi attuali, il controllo di Fininvest passerebbe di diritto alla seconda moglie Veronica Lario e ai figli di seconde nozze Barbara, Eleonora e Luigi con una quota del 56,1%, mentre a Marina e a Piersilvio resterebbe il 43,9%. Nel Decreto sviluppo Berlusconi, tentando di cambiare le carte in tavola sulle regole della “legittima”, vuole consentirsi di lasciare fino al 53,38% dell'impero di famiglia ai due primogeniti e di ridimensionare Veronica e i suoi figli con il 46,62%.
Non intendo minimamente entrare nelle beghe familiari berlusconiane, ma mi sembra inevitabile sottolineare che questo signore continua a restare a palazzo Chigi non per fare il bene dell’Italia che è stata lasciata andare scientemente allo sbando sperando di non perdere consensi elettorali con provvedimenti legislativi non troppo simpatici, ma per curare gli interessi propri; giudiziari o economici che siano.
E particolarmente repellente mi pare il trucco di piazzare la norma nel Decreto sviluppo che con le eredità non c’entra proprio nulla. Repellente, ma furbesco perché Berlusconi punta a non discuterne neanche chiedendo la fiducia per un provvedimento che – dirà sicuramente - «ce lo chiede l’Europa» in tutta fretta. Perché è noto che la democrazia altro non è che un fastidioso rallentatore.
E, a proposito di Europa, è ridicolo e intollerabile che Berlusconi, dopo i risolini di scherno di Sarkozy e Merkel, affermi in un comunicato che «nessuno ci può dare lezioni». Ridicolo perché in realtà moltissimi europei potrebberodare lezioni a lui e al suo governo.
Intollerabile in quanto è offensivo che la particella pronominale “ci”: con quel signore la maggior parte degli italiani ha in comune soltanto il colore della copertina del passaporto.

lunedì 24 ottobre 2011

Le reazioni illuminanti

L’improvvida uscita di Fontanini sul suo sogno di classi separate per i disabili ha sortito due benefici effetti.
Il primo riguarda il fatto che finalmente la gente si è stufata di assorbire qualunque schifezza senza reagire: gli ululati di protesta e gli inviti urlati a finirla da parte del pubblico è una cosa che fa davvero ben sperare per il futuro.
La seconda è la considerazione che le reazioni del giorno dopo siano state anche più indicative degli avvenimenti che le hanno originate per capire meglio chi stia governando questa regione e questa nazione. Perché Lega e Pdl ragionano nello stesso modo sia in Friuli Venezia Giulia, sia in Italia.
Il giorno dopo Fontanini, come ampiamente previsto, ha detto di essere stato frainteso e poi, visto il putiferio, ha chiesto scusa di «aver sbagliato i termini» pensando, così, di poter cancellare tutto. Ma a far capire esattamente come stanno le cose sono stati il senatore leghista Mario Pittoni, che ovviamente ha difeso lui e le sue idee, e soprattutto il presidente regionale Renzo Tondo che, dimostrando piena vicinanza a Fontanini, ha affermato che «gli è scappato il piede sull’acceleratore». Cioè, traducendo: non è che abbia sbagliato strada, ma soltanto che, sulla strada giusta, sia andato un po’ più veloce di quanto ci si aspettava e di quanto volevano le convenzioni.
Se poi di tutto questo l’elettorato si renderà conto e se chi dovrebbe farlo riuscirà a metterlo in rilievo davanti agli occhi di coloro che nelle urne dovranno scegliere il prossimo Parlamento e il prossimo Consiglio regionale, non è dato di sapere e, anzi, le ultime esperienze inducono al pessimismo.
È molto difficile, infatti, essere ottimisti davanti a un Paese che non scende immediatamente in strada per esprimere a viva voce il desiderio di mandare a casa un governo che nel 2004 ha deciso di cancellare quasi completamente il debito soltanto a un Paese al mondo: ad Antigua e Barbuda, trascurando nazioni decisamente più disgraziate come il Burundi e Haiti, soltanto per fare due esempi. Il fatto che poi Berlusconi proprio lì abbia comperato le ville di cui tanto si parla in questi giorni è ovviamente soltanto casuale.
Ma, sempre continuando a parlare della maggioranza e dei suoi misfatti, e con il fondato sospetto che ogni altra cosa che verremo a sapere ci piacerà molto poco, dobbiamo parlare di più, invece, dell’attuale opposizione e della necessità di fare fronte comune per riportare l’Italia a livelli decenti, o almeno senza più razzismi, classismi e conflitti di interesse.

martedì 18 ottobre 2011

Libertà e servitù

Normalmente alle accuse personali rispondo personalmente e privatamente all’indirizzo di posta elettronica di chi mi attacca, ma questa volta faccio un’eccezione – e me ne scuso comunque con gli altri lettori – perché ritengo che le parole che Alfonso Sele ha scritto come commento a “L’acquirente” possano essere utili per capire ancora meglio il berlusconismo che sa benissimo di non poter dire «noi siamo senza macchia» e, quindi, si concentra esclusivamente sulle macchie altrui.
E, allora, punto primo: è vero, non ho mai parlato di Penati. Ma non ho mai parlato neanche di Papa, Milanese, Tarantini e di molti altri condannati, arrestati, incriminati, indagati del cosiddetto Popolo della libertà. E mi sono comportato così perché preferivo soffermarmi non sui singoli, ma sul modo di fare politica complessivo dei due schieramenti e dei loro leader. E forse ho sbagliato, perché avrei potuto meglio sottolineare come il Pd abbia sospeso Penati da tutte le cariche da cui poteva toglierlo e come lo abbia costretto a non invocare l’immunità e, quindi, ad accettare, come ogni normale cittadino, il giudizio della magistratura. Il Pdl, invece, difende i suoi che, evidentemente, il capo ritiene fatti tutti a sua immagine e somiglianza, li protegge con l’immunità e attacca in massa la magistratura che diventa “rossa” o giusta a prescindere dalle idee politiche, ma a seconda di chi iscrive nel registro degli indagati. Potrei anche parlare di abissali differenze nel numero dei sospetti di ladrocinio e nella quantità di denaro pubblico sottratto per interessi partitici o privati, ma non intendo farlo perché in politica non è importante la quantità del furto, ma il furto stesso, proprio come concetto di disonestà e di non servizio agli elettori, per essere inesorabilmente fuori. Per capirci meglio: mi fa orrore sentir parlare di salvacondotto per Berlusconi: se è colpevole deve essere rinchiuso in galera, o, vista l’età, almeno condannato in via definitiva.
Lei amabilmente dice che io ho un padrone. Non mi dispiace per niente deluderla: intanto sono in pensione e nella sua gretta visione il mio padrone dovrebbe essere l’istituto di previdenza che mi stacca l’assegno mensile. Poi vorrei segnalarle che queste cose non le dico soltanto su un sito internet del gruppo Repubblica-l’Espresso, ma le sostengo esplicitamente anche in incontri, conferenze e dibattiti organizzati da soggetti completamente diversi. Infine, se fosse un lettore del Messaggero Veneto da molti anni (e i suoi capelli bianchi potrebbero farlo pensare), dovrebbe ricordarsi che le stesse cose le scrivevo su quel giornale quando direttore era Sergio Gervasutti, uomo sicuramente di destra, e la proprietà era diversa.
Il fatto è che il Popolo della libertà e i suoi sostenitori in realtà non sanno cosa la libertà sia. Secondo loro chi la pensa in qualche modo, la pensa così perché qualcuno lo ha pagato. Non gli passa neppure lontanamente per il cervello che le idee siano il più prezioso patrimonio che abbiamo. D’altro canto è comprensibile: quando tutti i parlamentari di Berlusconi – tanto per fare un solo esempio – votano affermando di dare credito alla storiella di Ruby nipote di Mubarak, tutto il mondo non può credere alla loro buona fede, ma soltanto a un’altrui buona mancia. Inoltre la destra dovrebbe ringraziare la libertà di pensiero della sinistra che da sempre proprio sulle idee, anche leggermente diverse, con grande masochismo e grande colpa nei confronti del bene comune, si frantuma e fa vincere gli altri.
Ma credo che anche nella destra ci sia chi la pensa autonomamente e lei mi sembra uno di questi soprattutto quando dice che «Troppa democrazia porta all’anarchia». Lei avrà anche i capelli bianchi, ma il suo sentire politico è sicuramente nero. A prescindere da Berlusconi. O forse rafforzato proprio da lui.

giovedì 13 ottobre 2011

L’acquirente

Per comprendere bene gli abissi di abiezione democratica di cui è capace il berlusconismo nulla è più utile di una sua sconfitta. Basterebbe pensare a quando Berlusconi ha perso per la seconda volta contro Prodi e, imitato da tutti i suoi servitori, ha sollevato il sospetto di brogli elettorali che ha continuato a sventolare anche quando era stato appurato che non c’erano stati né errori sostanziali, né tantomeno dolo.
L’attuale fallimento della maggioranza sulla Legge di bilancio, però, offre nuovi suggestivi scorci sull’inquietante pensiero di Berlusconi che, davanti a un crollo che ha sempre determinato le dimissioni di chi vi è incorso (Goria docet, ma non soltanto lui), ha parlato di un semplice incidente di percorso e di puro inciampo tecnico, in questo sbugiardato dalla stessa Giunta del Regolamento della Camera che ha considerato l’iter della legge ormai definitivamente concluso, lasciando aperte strade tortuose e non facili per recuperare una legge di cui nessuno – tranne Berlusconi, evidentemente – può fare a meno.
A prima vista può anche stupire il fatto che il satrapo di Arcore pensi di risolvere tutto andando alla Camera e chiedendo per l’ennesima volta la fiducia su quello che dice.
Giustamente Napolitano ha inviato una nota ufficiale che, pur un po’ velata dai tradizionali toni quirinaleschi, sottolinea che non bastano tante fiducie per dare forza a un governo se – soprattutto in un momento drammatico come questo – poi affoga nelle polemiche interne tra i suoi esponenti e in molte delle votazioni in cui non siano direttamente chiamati in causa gli interessi personali di Berlusconi.
Può stupire a prima vista, dicevo, perché a pensarci un po’ si vede distintamente che Berlusconi si comporta sempre – e anche in questo caso – come un acquirente; uno che può acquistare aerei, elicotteri, ville, prostitute, onorevoli, senatori, giudici, testimoni, alti funzionari e tutto quanto gli passa per la mente. E poi, come tutti gli acquirenti, se le cose non funzionano tornano in negozio e se le fanno cambiare. Questa volta si tratta di far cambiare voto a un po’ di gente che lui aveva già pagato. Ora non può non pensare che gli basterà ripresentare lo scontrino, oppure mettere nuovamente mano al portafogli – suo o di qualche ente pubblico – per far ridiventare fedele qualcuno che vede l’occasione per aumentare soldi o potere.
Tanto, poi si sa che questo governo cadrà soltanto tra marzo e aprile quando senatori e deputati avranno maturato il periodo di tempo necessario per avere il loro bravo vitalizio. L’acquirente quello non è disposto a pagarlo personalmente. E non gli conviene neppure anticipare il confronto con la giustizia.

venerdì 7 ottobre 2011

Il grande distrattore

Il grande distrattore colpisce ancora. Mentre tutto gli si sta sgretolando intorno e anche nella sua satrapia i topi si stanno rendendo conto che la barca sta affondando, Berlusconi continua a tentare di indirizzare l’attenzione generale su altri argomenti.
Ha detto che la crisi dipende anche dal fatto che «il nome del Pdl non è nel cuore della gente». E ha aggiunto, con il suo consueto spirito greve: «Mi dicono che il nome che avrebbe maggiore successo è Forza Gnocca».
E pare che riesca a distrarre ancora visto che è su quest’ultima frase che molti hanno titolato scegliendo ancora una volta la forma invece che la sostanza. Perché la cosa più fastidiosa (e dovrebbe essere fastidiosa soprattutto per i suoi) e che Berlusconi continua a ritenere talmente scemi coloro che lo votano da andare alle urne influenzati dal nome di un partito e non dal suo programma, né dai risultati che è riuscito a ottenere.
Ma questa volta il gioco gli si ritorce contro sia perché la distrazione è un lusso che non ci si può permettere, sia in quanto è stato lui con le sue televisioni a cancellare la memoria per far concentrare l’attenzione generale soltanto sul presente immediato. E così anche i suoi espedienti che una volta funzionavano, ora trascolorano e svaniscono presto davanti agli spettri di una crisi trascurata e che è sì presente, ma che ormai tutti sanno essere anche destinata a mangiarci una parte del futuro.

giovedì 6 ottobre 2011

L'unica strada

Sul fatto che l’attuale maggioranza in Parlamento sia diventata un'evidente minoranza nel Paese ormai nessuno si sogna più di discutere. E, visto che a al Senato e alla Camera non si parla altro che di cose che interessano a Berlusconi e ai suoi dipendenti, sono sempre di più quelli che manifestano l’intenzione di non votare più per il Pdl o per la Lega, anche se la maggior parte di loro afferma di voler rifugiarsi nel non voto e non di dirigersi verso il centro, o verso il centrosinistra (ma questo è un altro discorso su cui bisognerà tornare al più presto).
Il problema è che, pur nella loro lungimiranza, i padri costituzionali non avevano previsto almeno due cose: che il sistema elettorale sarebbe diventato un maggioritario in cui gli elettori non possono più scegliere i loro rappresentanti e che potesse salire al potere una persona con tanti soldi da essere in grado di comperare un bel po’ di parlamentari; né, del resto, che fosse ipotizzabile l’esistenza di tanti parlamentari comprati prima o dopo il loro ingresso a Palazzo Madama o a Montecitorio.
Quindi adesso non si sa come uscire da questo impasse se non attendendo la data di scadenza naturale: quel 2013 prima del quale, però, sicuramente l’omino di Arcore firmerebbe altri disastri, anche sul piano democratico.
A leggere la Costituzione si potrebbe pensare che il Presidente della Repubblica possa sciogliere le Camere anche in presenza di una maggioranza che si autosostiene a prescindere dalla sua reale rappresentatività. Ma non mi sembra una strada percorribile, sia perché non si può caricare sulle spalle di Napolitano una simile responsabilità, sia perché sicuramente Berlusconi e i suoi definirebbero “golpe” questo e non quello fatto dall’attuale presidente del Consiglio con la compera della maggioranza e si rischierebbe seriamente uno scontro violento nelle piazze.
La strada, dunque, sembra soltanto una; una strada che non è percorribile per i pigri perché chiede un impegno comune, solidale, continuo e probabilmente anche non a brevissimo termine. Visto che la democrazia è etimologicamente il “potere del popolo”, che l’articolo 1 della Carta sottolinea che «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», a noi non resta che ribadire platealmente e senza soluzioni di continuità che la democrazia rappresentativa si basa su una delega e che questa delega non c’è più.
Insomma al popolo spetta di tornare nelle strade e nelle piazze a manifestare con sempre maggiore frequenza e decisione per far giugere la voce del dissenso anche a coloro che quardano soltanto la televisione. A ogni categoria corre l’obbligo di alzare la voce per rendere chiari a tutti i disastri combinati nei rispettivi campi di competenza. I giornalisti non devono esitare nella scelta tra il rispetto dell’articolo 21 della Costituzione e l’eventuale galera - una galera che non sarebbe certamente infamante - perché ci si oppone alla nuova probabile legge sulle intercettazioni e sulla loro pubblicazione.
E ai politici dell’opposizione incombe l’imperativo morale di comportarsi come questo drammatico frangente richiede: finirla di massacrarsi a vicenda per piccole posizioni di supremazia e di eventuale potere interno; scrivere e diffondere un programma che sia serio, breve, chiaro e comprensibile per tutti; assicurare che subito saranno abrogate le leggi "ad personam", "ad aziendam", "ad castam" approvate dai dipendenti di Berlusconi e che stanno rendendo irrespirabile l’aria italiana; dare certezza che contemporaneamente, cioè subito, si provvederà a mettere in approvazione una legge che ridia fiato al lavoro, una sul conflitto di interessi e una nuovamente democratica sul sistema elettorale.
E, se questo avverrà davvero, allora quasi sicuramente le fortissime contraddizioni interne tra base e vertice della Lega e, in parte, anche del cosiddetto Popolo delle libertà scoppierebbero e farebbero diventare superfluo qualunque intervento del Presidente della Repubblica.
Se, invece, non ci renderemo conto che la responsabilità di questa situazione ricade in parti diverse su di noi, su ciascuno di noi, allora temp proprio che l’unica via d’uscita sia attendere la fine naturale dell’uomo che compra. E vergognarsi profondamente di noi stessi.