lunedì 28 marzo 2011

Fino a quando?

In realtà la domanda è: fino a quando?
Fino a quando questo Paese continuerà a sopportare che il vicepresidente del Consiglio nazionale delle ricerche, Roberto de Mattei, nominato dalla Moratti e confermato dalla Gelmini, resti al suo posto dopo aver detto ai microfoni di Radio Maria che il terremoto lo tsunami che hanno colpito il Giappone l’11 marzo «sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio» e «sono talora esigenza della giustizia di Dio, della quale sono giusti castighi»? E ha follemente proseguito specificando che «per molte di quelle vittime del Giappone il terremoto è stato un battesimo di sofferenza che ha purificato la loro anima, perché Dio ha voluto risparmiare un triste avvenire». E non può bastare che il presidente del Cnr Luciano Maiani abbia poi pubblicato una precisazione ufficiale sul sito dell’ente, affermando che «i contenuti dell’intervento del prof. de Mattei non coinvolgono in alcun modo il Cnr».
Fino a quando questo Paese continuerà a sopportare che in una delle trasmissioni di una delle televisioni del presidente del Consiglio (“Forum”, su Canale 5) una figurante pagata 300 euro abbia fatto finta di essere una terremotata dell’Aquila e abbia decantato una splendida – ma del tutto immaginaria – opera di ricostruzione del governo accusando anche coloro che sono ancora costretti in albergo di farlo solo per i loro comodi? E anche che la conduttrice Rita Dalla Chiesa che ne ha sostenuto le battute esaltando l’opera del governo Berlusconi e di Bertolaso possa dire di non averne saputo niente?
Fino a quando questo Paese continuerà a pensare che sia del tutto lecito permettere che l’Italia sia uno dei massimi esportatori di armi, mentre la nostra Costituzione sottolinea che l’Italia ripudia la guerra”? E anche che continui a chiamare con altri nomi le guerre alle quali partecipa?
Fino a quando questo Paese non deciderà di riprendere nelle sue mani il proprio destino? Potrebbe cominciare a farlo in giugno, andando a votare per i referendum che un governo che preferisce non aver a che fare con i cittadini, se non quando vi è obbligato ogni 5 anni, ha collocato in una data lontana dalle altre elezioni (e molto più costosa) sperando che ancora una volta il quorum non venga raggiunto.

domenica 20 marzo 2011

Dubbi iniziali e scelte finali

Quando si tratta di decidere tra il non uccidere e il non lasciar uccidere le difficoltà etiche che ci si trova di fronte sono enormi, laceranti, quasi insuperabili e i dubbi di coscienza di ognuno sono degni di rispetto. Ma anche in questo, davanti alla situazione della Libia, l’Italia riesce a fare una miserevole eccezione.
Anche gli Stati Uniti, questa volta, si pongono il problema e con Obama rispondono: «Gheddafi uccide gli innocenti, la guerra non è una nostra scelta». Da noi in questo senso si alza la voce di Napolitano che approva la guerra e cerca di giustificare l’aggiramento della prima parte dell’articolo 11 della nostra Carta costituzionale (“L’Italia ripudia la guerra...”) portando in primo piano le stragi che Gheddafi sta commettendo contro la propria gente. E su questa traccia si inserisce anche la gran parte del centro-sinistra.
Nel centro-destra, invece, i ragionamenti sono diversi. Berlusconi, con la partecipazione italiana tenta disperatamente di far dimenticare i baciamano al tiranno libico e le sue indecisioni davanti alle prime mosse della rivolta quando ricordata il “trattato di amicizia” che assicurava all’Italia tanti idrocarburi e tanti lucrosi contratti di armi e di costruzioni, ma resta fuori dal summit vero tra Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, e non nasconde la sua irritazione. Bossi, invece, si schiera apertamente contro la guerra, ma certamente non per motivi etici, bensì perché teme che arrivino troppo pochi barili di petrolio e troppi immigrati.
Nei loro ragionamenti – e la cosa non può stupire minimamente perché è perfettamente coerente con la loro politica – manca del tutto qualsiasi angoscia etica.
È evidente che si può sbagliare nella scelta tra i due corni del dilemma etico che ho citato all'inizio, ma per comprendere con chi si ha a che fare in certi casi il dubbio da cui si parte è più importante della scelta che si finisce per prendere.

martedì 15 marzo 2011

Bene proprio e rischi altrui

Il disastro giapponese ha indotto quasi tutto il mondo a mettersi a pensare. In Germania hanno deciso immediatamente di bloccare il prolungamento di vita di alcune delle loro centrali nucleari, mentre in Svizzera e Polonia hanno sospeso tutte le procedure per nuove autorizzazioni. Quasi dappertutto, poi, Stati Uniti compresi, ci si sta interrogando sui rischi inevitabilmente connessi all’uso dell’atomo.
Dico “quasi” perché mentre dappertutto si raccolgono dati, si ragiona, ci si pone problemi e si valuta, in Italia, fin da dieci minuti dopo il primo scoppio nella centrale nucleare di Fukushima, il governo ha fatto dire ai suoi rappresentanti che il nostro Paese avrebbe continuato ad avanzare sulla strada tracciata del nucleare perché «qui da noi è diverso». A dire il vero, prima avevano mandato avanti il professor Zicchicchi a dire che «in Giappone non è successo niente», ma poi, sepolto l’illustre fisico dal ridicolo, hanno scelto di sostenere, anche con lo scienziato Gasparri, che in Italia non ci sarebbero rischi.
A fiancheggiare Berlusconi sul piano internazionale soltanto l’amico Putin che non intende ascoltare il parere della sua gente e il francese Sarkozy, preoccupatissimo che il Italia non venga cambiata idea in quanto «il settore nucleare francese subirebbe pesanti contraccolpi economici».
E così, a far finta che qui da noi nulla possa accadere, si alleano coloro che vogliono energia a buon mercato e quelli che temono che una sconfitta in un referendum potrebbe avere contraccolpi anche politici. Insomma, i rischi altrui sono sempre sopportabili per il bene proprio.
Aggiungo questo a un mare di altre cose che hanno lo stesso significato, tra cui – ricordando soltanto alcune tra le più recenti – il fatto che Berlusconi abbia detto trionfante che con la sua riforma delle giustizia gli scandali di “Mani pulite” non sarebbero mai venuti a galla, le proposte ricorrenti e fantasiose per bloccare la libertà di stampa e di opinione, le offese portate sempre da presidente del Consiglio alla scuola pubblica. E allora mi rendo conto che a separare me da alcuni esponenti della maggioranza di governo non è soltanto la lontananza politica, ma soprattutto quella umana.

domenica 13 marzo 2011

Patente e libretto

Noi siamo abituati a guardare il mondo politico italiano dividendone i personaggi tra quelli di destra e quelli di sinistra, tra razzisti e solidali, tra onesti e delinquenti, tra intrepidi e servi. Quello che non facciamo quasi mai - e che invece sarebbe stato il caso di fare già da molti anni - è di dividere i nostri cosiddetti politici tra ignoranti e preparati.
Pensate che mi stia riferendo alla alla proposta berlusconiana di riforma della Giustizia che fa a pugni con la Costituzione e che, anche con le mutazioni costituzionali proposte continuerebbe a farlo con molte parti di quella parte che Berlusconi non prevede di toccare? Sicuramente sì, ma voglio richiamare la vostra attenzione anche, se non soprattutto, su quanto accade nella nostra regione dove, o la maggioranza è composta da ignoranti di primissima qualità, oppure da rassegnati servitori del partito da cui dipende la sopravvivenza dell'attuale maggioranza, la Lega, che si nutre di egoismo, xenofobia e razzismo e che la Costituzione non soltanto non conosce, ma esplicitamente non vuole conoscere perché la considera soltanto un'ostacolo sulla strada di secessioni (ancora nel programma statutario di quel partito) e delle soperchierie xenofobe che vuole realizzare.
Ma sapete quante leggi sono state approvate da Tondo e dalla sua maggioranza e poi sono state bocciate e cancellate da Corte Costituzionale, Corte dei conti e tribunali vari che hanno emesso sentenze tenendo conto della Carta fondamentale della nostra Repubblica? Ma sapete quante leggi sono state rimandate al mittente addirittura dagli uffici legali del governo attuale, colpite da un "fuoco amico" inevitabile? E adesso Tondo ammette che ci sono dei problemi e che bhisognerà pensare a qualche accomodamento.
Per guidare occorre la patente; per intraprendere una professione devi superare un esame di stato; per molti mestieri è necessario ottenere deagli attestati di competenza e di idoneità. È mai possibile che soltanto per lavorare nella politica e nell'amministrazione delle cose pubbliche non occorra dimostrare nulla? Che non serva conoscere neppure le Costituzione?
Se a molti politici di oggi un ipotetico poliziotto costituzionale chiedesse "Patente e libretto!", la maggior parte ammetterebbe, ma senza alcuna vergogna, di non avere alcuna patente, mentre probabilmente andrebbe a rovistare nel cassetto del cruscotto convinto di trovare il libretto di proprietà. E, non trovandolo, tenterebbe, sempre senza provare la minima vergogna, di convincere il poliziotto che il libretto al momento non lo trova, ma che la sua proprietà delle cose pubbliche non può essere messa neppure in discussione perché «il popolo mi ha scelto».