domenica 27 febbraio 2011

Ma dove diavolo siete?

“Se non ora quando”: piazze piene in tutt’Italia. Largamente più di un milione di donne e di uomini a protestare per la dignità femminile calpestata, violata, insozzata da un presidente del consiglio e dal suo entourage e per quella maschile ridotta, nelle raffigurazioni ormai diffuse, a un machismo idiota.
“Che tempo che fa”: il giudice Nicola Gratteri finisce di parlare con Fazio dicendo che bisogna investire sulla cultura se si vuole cambiare una mentalità generale e sperare di vincere la guerra contro le mafie. Il pubblico non si limita ad applaudire a lungo, ma grida anche «Bravo, bravo».
“Beati gli affamati e gli assetati della giustizia...” al Centro Balducci davanti al suo responsabile don Pierluigi Di Piazza: sala piena e talvolta stracolma negli incontri fin qui fatti (dalle 300 alle 600 persone) e applausi lunghissimi a Mauro Milani, Alessandro Santoro, Paolo Grigolli, Ugo Morelli e Antonio Ingroia, tanto lunghi da quasi imbarazzare gli splendidi protagonisti degli incontri.
A prima vista si potrebbe dire che sono tutte cose delle quali si può essere felici. Ed è vero. Ma soltanto a prima vista, perché subito dopo ti appaiono evidenti alcuni particolari che ti fanno abbattere e contemporaneamente arrabbiare.
Le donne stanno continuando a lavorare per il prossimo appuntamento, ma nelle stanze dei palazzi quasi nessuno ne parla più. Gratteri delle sue proposte ha parlato in commissione giustizia, ma le sue parole sono state amplificate da Fabio Fazio, non certo da parlamentari del centrosinistra. Al centro Balducci, tra le centinaia di persone, in tre appuntamenti di “politici” se ne sono visti meno delle dita di una mano; di rappresentanti della Chiesa, neppure quelli.
Il problema non è rappresentato tanto dal fatto che i politici dovrebbero essere presenti un po’ dappertutto dove si parla di come cercar di migliorare la società che loro stessi dovrebbero condurre verso il miglioramento, ma dalla constatazione che evidentemente credono in maniera drammatica di non aver bisogno di ascoltare idee masticate e affinate da veri esperti dei vari settori. E ancora di più che, sempre più intenti a discutere tra di loro di posti e di pseudostrategie, sembrano aver perduto ogni capacità di contatto con le persone che dovrebbero rappresentare.
Non è un’idea soltanto mia: è una protesta che cresce ogni volta di più da parte della gente comune che queste cose segue con interesse, se non con passione, e che domanda e si domanda con sempre più insistenza perché non ci sono proprio coloro che dovrebbero esserci praticamente sempre, che dovrebbero far sentire comunanza di sogni e di intenti.
Noi non vogliamo nuovi partiti: vogliamo che funzionino quelli che ci sono già. Noi non vogliamo rottamare nessuno: vogliamo che quelli che non funzionino più decidano di ripararsi da soli o di farsi riparare, oppure che si mettano da parte.
A Berlusconi e ai suoi non lo domanderemo mai perché proprio non ci interessa; ma a voi, donne e uomini dell’opposizione sì, perché ci siete necessari per uscire da questo liquame: ma dove diavolo siete? Ma perché non vi viene mai in testa che per salvare l’Italia non basta vincere per qualche voto le prossime elezioni e poi riperdere le successive, e che invece è necessario lavorare per ridare spazio alla cultura che è l’unica chiave per ridonare valori a una società affranta? Ma perché non vi viene in testa che fin quando qualcuno continuerà ad arrabbiarsi si potrà sperare ancora, ma quando prevarrà l’abbattimento non ci sarà più nulla da fare, se non aspettare che accada anche da noi quello che sta accadendo sull’altra sponda del Mediterraneo?

giovedì 10 febbraio 2011

Se non ora, quando?

Domenica 13 febbraio le donne di tutt’Italia scenderanno in piazza a dire basta a una cultura che insegna alle giovani che basta essere graziose con i potenti per avere fama e denaro, che azzera il concetto di decenza e inquina la convivenza sociale, che legittima comportamenti lesivi della dignità delle donne e delle istituzioni.
Mi rivolgo agli uomini: se lasceremo da sole le donne in piazza, non saremmo molti diversi da Berlusconi perché questo è il momento in cui parlare tra amici non basta più: occorre testimoniare davanti a tutti, anche davanti a coloro che la pensano in maniera diversa da noi e che potrebbero farci pagare un prezzo per le nostre idee.
E dobbiamo farlo con discrezione per non togliere alle donne la visibilità che è loro dovuta in questa protesta, ma contemporaneamente dobbiamo ribadire che la dignità deve essere uguale per tutti, che se viene sottratta alle donne, automaticamente viene tolta anche a noi maschi, che questa violenza riguarda l’intero genere umano. E dobbiamo anche gridare che non accettiamo il concetto detto e ridetto che a casa propria ognuno può fare quello che vuole, anche praticare la schiavitù, perché né l’etica, né la legge si può fermare davanti a una porta chiusa.
Ci sono tanti altri motivi per scendere in piazza – la difesa della magistratura in primis – ma avremo tante altre occasioni per farlo; domenica dobbiamo far capire tutti insieme che questo Paese conosce ancora il significato della parola “etica”.
E non dobbiamo farlo capire soltanto a Berlusconi – tra l’altro, finiamola di chiamarlo premier, carica che in Italia non esiste, e definiamolo correttamente presidente del Consiglio – ma a tutti i suoi dipendenti, a coloro che danno interessata forza al berlusconismo che purtroppo sopravviverà sicuramente al suo fondatore.
E, pensando a un segnale forte da dare al centro destra, ma anche al centrosinistra, perché non lanciare una proposta concreta che forse potrebbe ricompattare questa opposizione ancora frammentata, ma che comunque è infinitamente meglio di quella maggioranza compattata dal denaro? La proposta potrebbe essere quella di proporre Rosy Bindi come prossimo presidente del Consiglio: è una donna, è capace, è appassionata, è cattolica e contemporaneamente orientata a sinistra, è sicura nella sua solidarietà senza confini, ha esperienza e intelligenza, potrebbe mettere d’accordo tutto il centrosinistra e, con la sua onestà, potrebbe addirittura far tornare a votare molti degli schifati da questa politica.
Un sogno? Forse. Ma talvolta i sogni sono la solida base di realtà prima non immaginabili.

domenica 6 febbraio 2011

Vicini a noi stessi

Le prime parole che potrebbero venire in mente sono scoramento e rassegnazione. Ma fortunatamente non è così, anche se il quadro è sempre più fosco.
L’immoralità – non soltanto e non primariamente sessuale – del presidente del Consiglio non influenza se non marginalmente un elettorato che per anni ci hanno detto che si considera cattolico e che, invece, se davvero sa quello che sta accadendo, non ha punti di riferimento né nel Vangelo, né nella Costituzione.
I deputati in vendita sono tantissimi, anche se l’ultimo arrivo, la pattuglia dei radicali, non dovrebbe stupire visto che i loro steccati etici e politici sono da sempre vaganti più che vaghi. Ma su questo merita fare due considerazioni: ma come diavolo, voi strateghi del centro-sinistra, vi scegliete gli alleati? E poi sarebbe ora di sentir finire quella favoletta berlusconiana che l’attuale maggioranza non può essere toccata perché gli italiani l’hanno voluta: i rimpasti fatti dai soldi di Arcore fanno impalidire quelli democristiani degli anni d’oro. La maggioranza di oggi e del tutto diversa da quella eletta.
Il Parlamento è sbertucciato da Berlusconi e dai suoi dipendenti. E per fortuna che Napolitano sembra in grado di reggere pesi enormi quasi da solo.
Adesso il malato di Arcore tornerà ad attaccare le istituzioni per allontanare da sé anche le accuse, oltre che le condanne fidando anche sul fatto che la Lega, per avere un federalismo che di quello voluto inizialmente da Bossi ha soltanto il nome o poco più, sembra disposta a vendere anche l’anima, oltre che il proprio elettorato.
E potrei andare avanti a lungo nell’elencare le porcate che riempiono quotidianamente le nostre giornate.
Ma scoramento e rassegnazione non devono trovare spazio nel nostro animo. Stiamo vicini alle donne, ai deboli, ai poveri, ai cassintegrati, ai disoccupati, ai giovani, ai vecchi, agli immigrati, alle minoranze in genere. Stiamo vicini alla magistratura. Soltanto così riusciremo a stare vicini a noi stessi, a riconoscerci davvero, a trovare non soltanto la voglia, ma la necessità e l'obbligo di parlare, di intervenire, di manifestare. E non soltanto per mettere in pace la nostra coscienza, ma anche e soprattutto per far sentire ad altri come la pensiamo.

martedì 1 febbraio 2011

La parola chiave è "loro"

La parola chiave della crisi sociale che stiamo attraversando è “loro”. Quando stiamo decentemente a essere in difficoltà sono sempre “loro”: le donne, gli omosessuali, i giovani, i vecchi, i pensionati, i disoccupati, i cassintegrati, i precari, gli operai, gli agricoltori, gli immigrati, gli extracomunitari e così via. Salvo poi accorgerci che in determinate circostanze questi “loro” siamo “noi” che diventiamo “loro” per altri temporaneamente più fortunati di noi.
Prendiamo quanto sta accadendo alle donne che protestano più che giustamente contro la violazione della dignità che Berlusconi non soltanto opera nei confronti di alcune giovani, ma che tenta di far passare come normale, o addirittura desiderabile per tutte. Purché siano giovani, belle e sensibili ai soldi, ovviamente. Come si fa a lasciarle manifestare praticamente da sole contro un sistema che sta distruggendo un’intera società in cui sempre più sono quelli che ritengono che con il denaro tutto sia comprabile, anche il corpo di un’altra persona? Non è forse sbagliato parlare di dignità femminile, mentre dovremmmmo riferirci sempre alla dignità umana? Questa violenza, infatti, non riguarda l’intero genere umano?
E così vale per tutte le categorie prima menzionate perché il “loro” viene usato sempre in maniera disgiuntiva da chi sta meglio nei confronti di chi è in sofferenza.
Adesso Berlusconi dice che vuole portare avanti una proposta di riforma costituzionale in senso liberalizzatore dell’articolo 41 della nostra Carta per stabilire che è lecito fare tutto quello che non è espressamente vietato dalla legge.
Leggiamolo, questo articolo 41. Dice: «L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».
E adesso proviamo a chiederci quanti di “noi” diventeranno “loro” se il disegno di Berlusconi dovesse realizzarsi.