giovedì 29 dicembre 2011

Democrazia sospesa

Con l’avvento del governo Monti si è sentito molto parlare di “democrazia sospesa”. Tanto che lo stesso presidente Giorgio Napolitano si è sentito in dovere di intervenire per affermare che la democrazia in Italia non è sospesa per nulla, ma che, anzi, continua nella sua pienezza.
Ho grande stima e ammirazione per il Presidente, ma secondo me questa volta si è sbagliato perché in questo momento la democrazia è davvero sospesa. Il fatto è, però, che si tratta sia di un passaggio inevitabile, sia di un momento di miglioramento e non di peggioramento.
Inevitabile perché la maggioranza non aveva la capacità, né la voglia di fare qualcosa e che la minoranza non riusciva ad avere anche in Parlamento quella maggioranza che possedeva nel Paese.
Di miglioramento e non di peggioramento perché almeno con Monti non si assisterà più all’acquisto di voti parlamentari, né alla realizzazione di leggi ad personam, né allo smantellamento della giustizia, né alla distribuzione di cariche politiche per meriti che certamente politici e tecnici non sono, né alla realizzazione di trucchi per arricchire se stesso o qualche amico sul tipo di quello praticato con la Protezione civile per evitare qualsiasi asta onesta e qualsiasi controllo nell’attribuzione e nella realizzazione delle cosiddette “grandi opere”.
Potremmo addirittura sperare di riavvicinarci davvero a una vera democrazia rappresentativa con l’abolizione dell’attuale legge elettorale che impedisce ai cittadini di scegliersi davvero i propri rappresentanti.
Ma, secondo me, l’errore del Presidente è grave non tanto perché dice una cosa irreale per difendere un governo che in questo momento non può assolutamente cadere, ma perché se si vuole che una democrazia non sia davvero sospesa, bisogna nutrirla accuratamente. E l’alimento più importante per la democrazia resta il dire la verità e i motivi delle scelte. Anche e soprattutto se tutto ciò può apparire – ed è – sgradevole.

martedì 6 dicembre 2011

La cura, i sintomi, la malattia

Mario Monti ha detto che la manovra del suo governo non è la malattia, ma è la cura della malattia. Si potrebbe anche essere d'accordo, pur se lascia molto perplessi una medicina che, con le sue tossine, va a minacciare ancora una volta i fisici più deboli senza andare a toccare quelli forti con ritrovati come la patrimoniale, o una tassa meno scherzosa sul denaro scudato, o la tassa sulle transazioni finanziarie, o altre cose già sentite mille volte in questi giorni.
Quello che lascia perplessi è che in realtà neanche la crisi che stiamo attraversando è la vera malattia: è soltanto il sintomo del vero morbo mortifero che, invece, si annida nella finanza e nella sua totale mancanza di regole oltre che di etica.
Mentre, infatti, la morsa degli speculatori si sta allentando un po' sull'Italia, i delinquenti della finanza internazionale cominciano ad accanirsi su altri Paesi, neppure la Germania esclusa, indifferenti al fatto che mandano alla fame, alla disperazione e, in certi casi, alla morte un bel po' di persone fatte di carne, sangue, sentimenti e dignità.
È lì che la cura dovrebbe essere applicata con durezza e determinazione, con solidarietà tra i vari Stati che, invece, si lasciano inspiegabilmente - a meno di non essere maliziosi - strangolare. È possibile che non possano essere messe in campo quelle regole certe che devono valere per tutti, ma non per chi ha in mano i cordoni della borsa? È possibile che lasciamo che la democrazia svapori per lasciare il posto a una plutocrazia che sembrava soltanto una frase a effetto e che, invede, è terribilmente reale? È possibile che lasciamo invadere e calpestare i nostri diritti senza neppure tentare uno straccio di vera resistenza?
La situazione potrebbe essere descritta come quella di un delinquente che tiene appesa la vittima su un precipizio. La vittima ha in mano una pistola (le regole, intendiamoci!), ma non può sparare al suo carnefice perché precipiterebbe e morirebbe con lui. Eppure la tentazione di sparare finisce per diventare ogni giorno inevitabilmente più forte.

giovedì 17 novembre 2011

Il vero interrogativo

A vedere come lo spread tra titoli italiani e Bund tedeschi continui ad andare più su che giù anche se l’Italia sembra essersi indirizzata con decisione su una nuova strada di serietà, ci si potrebbe domandare come mai i cosiddetti “mercati” non si fidino della svolta promessa da Giorgio Napolitano e Mario Monti. E una risposta potrebbe essere che Berlusconi, pur essendo fuori da palazzo Chigi, ha ancora la possibilità di controllare quelli che gli credono e quelli che ha comprato e quindi – come ha esplicitamente detto – minaccia di «togliere la spina» appena ne ha voglia.
Ma il vero interrogativo che dovremmo porci, visto quello che la finanza sta combinando in Europa e in America, consiste nel chiederci perché i governi si lascino sottrarre quasi tutto il loro potere dagli squali di quella finanza che non ha mai sfamato alcun popolo, ma soltanto riempito i forzieri di una percentuale infinitesimale di quegli stessi popoli disoccupati e affamati. Perché nessuno si sogni di imporre delle regole a un settore che proprio sulla mancanza di regole costruisce il suo potere che strangola il mondo: incapacità, insensibilità o cointeressenza?
Perché “i mercati” è una locuzione di comodo: dietro quel paravento ci sono uomini che decidono le sorti di interi Paesi. E sono loro che andrebbero fermati con leggi e strumenti appositi; proprio come vengono fermati i ladri e gli assassini.

Il vero interrogativo

A vedere come lo spread tra titoli italiani e Bund tedeschi continui ad andare più su che giù anche se l’Italia sembra essersi indirizzata con decisione su una nuova strada di serietà, ci si potrebbe domandare come mai i cosiddetti “mercati” non si fidino della svolta promessa da Giorgio Napolitano e Mario Monti. E una risposta potrebbe essere che Berlusconi, pur essendo fuori da palazzo Chigi, ha ancora la possibilità di controllare quelli che gli credono e quelli che ha comprato e quindi – come ha esplicitamente detto – minaccia di «togliere la spina» appena ne ha voglia.
Ma il vero interrogativo che dovremmo porci, visto quello che la finanza sta combinando in Europa e in America, consiste nel chiederci perché i governi si lascino sottrarre quasi tutto il loro potere dagli squali di quella finanza che non ha mai sfamato alcun popolo, ma soltanto riempito i forzieri di una percentuale infinitesimale di quegli stessi popoli disoccupati e affamati. Perché nessuno si sogni di imporre delle regole a un settore che proprio sulla mancanza di regole costruisce il suo potere che strangola il mondo: incapacità, insensibilità o cointeressenza?
Perché “i mercati” è una locuzione di comodo: dietro quel paravento ci sono uomini che decidono le sorti di interi Paesi. E sono loro che andrebbero fermati con leggi e strumenti appositi; proprio come vengono fermati i ladri e gli assassini.

sabato 12 novembre 2011

Stato di necessità, stato di costrizione

Ancora una volta il nostro impoverimento culturale – e segnatamente quello del vocabolario – ci condanna a non capire bene quello che ci sta accadendo e, quindi, a non avere in mano tutte le carte necessarie per prendere le giuste decisioni. In questo caso mi riferisco al fatto che ogni giorno continuiamo a sentire che la politica italiana sta agendo in stato di necessità, mentre dovremmo dire che sta agendo in stato di costrizione. Per capirci: salvarsi da una situazione pericolosa in stato di necessità è, per esempio, fuggire verso zone più elevate quando – giusto per attenersi alle cronache italiane – sta arrivando un’alluvione; salvarsi da una situazione pericolosa in stato di costrizione è accettare di agire seguendo gli ordini di chi ci punta una pistola alla tempia.
E in questo momento l’Italia vive e agisce innegabilmente in stato di costrizione, sia perché chi ha avuto grande parte nel farla precipitare dov’è ora sta ricattando chi dovrà ereditarne le macerie per tentare di ricostruire, sia in quanto ormai appare commissariata da burocrati europei che non sanno andare al di là delle colonne di numeri che illustrano un deficit e, quindi, non riescono a vedere – o forse non gliene interessa proprio – le distruzioni che la salvezza dell’economia ingenererà nel tessuto sociale di varie nazioni, tra cui, appunto, anche l’Italia.
Come giustamente ha detto Andrea Baranes a Zugliano, nel corso di un dibattito su Banca Etica, probabilmente stiamo assistendo allo scontro finale tra finanza e democrazia, uno scontro di cui non si riesce a prevedere l’esito finale perché in questa incompatibilità di tempi tra una realtà in cui assoluta rapidità significa guadagno e una in cui relativa lentezza vuol dire ragionamento e quindi capacità di scelta oculata, si inseriscono diverse variabili tra le quali mi limito a segnalarne due: il fatto che la finanza, continuando a distruggere economia e lavoro alla fine non avrà più niente con cui abbuffarsi e la constatazione storica che la fame e la disperazione portano inevitabilmente a sommovimenti che una volta vedevano il popolo scendere nelle strade con falci e forconi e che oggi speriamo continuino a essere sempre pacifici.
Ma non diamo soltanto la colpa alla finanza, perché anche la politica ha le sue belle colpe. Come si può giustificare, infatti che uno Stato possa preferire tagliare scuole e ospedali piuttosto che tagliare la spesa militare di 150 milioni di euro per l’acquisto di 130 cacciabombardieri il cui solo nome è in netto contrasto con l’articolo 11 della Costituzione? E come si può accettare che il governo italiano si lasci chiedere, senza reagire con sdegno, dai burocrati europei cosa si abbia intenzione di fare sulla gestione dell’acqua “malgrado” ( proprio “malgrado”!) il risultato del referendum di pochi mesi fa? E, ancora, è possibile pensare che uno Stato vada in fallimento se non paga puntualmente gli interessi sui debiti e che non sia già in fallimento se affama i suoi cittadini tagliando istruzione, sanità, stipendi, pensioni e così via? Ed è possibile che, se davvero la politica pensa che siamo sull’orlo del baratro, non intervenga per tassare i patrimoni magari perché pensa di riuscire a mantenere integre le proprie ricchezze.
Tutto questo è in gran parte frutto della troppo lunga permanenza di Berlusconi e dei suoi al governo e ora guardo con grande timore a cosa Monti vorrà e a cosa potrà fare perché una maggioranza politica, comunque la si guardi, non c’è.
In questo quadro dovrebbe essere già implicita una risposta ai signori Silvan e Bruno Rossi che dicono che tutta la politica è sporca e che l’uno vale l’altro. Ma vorrei anche ricordare loro che il centrosinistra ha prodotto Prodi che ci ha portato in Europa, mentre il centrodestra ha partorito Berlusconi che dall’Europa è quasi riuscito a portarci fuori, e che il centrosinistra si basa su concetti di socialità e solidarietà, mentre il berlusconismo si fonda sull’individualismo e la supremazia. Ovviamente ognuno è libero di scegliere tra queste opzioni, ma non bisogna far finta che non siano tali. Io ho scelto la solidarietà e continuerò a rifiutarmi di accettare i camuffamenti delle parole e della realtà.

giovedì 3 novembre 2011

Le leggi di Carlo M. Cipolla

È inutile negarlo: in questo momento più che il futuro ci preoccupa il presente perché Berlusconi sta cadendo esattamente come ha dominato per tanti anni: creando danni e provocando macerie che costringeranno questo Paese a una ricostruzione morale e materiale che durerà decenni.
E sta creando danni agli altri anche se questi danni non porteranno benefici a se stesso. Carlo M. Cipolla, nel 1976, nel suo "Le leggi fondamentali della stupidità umana" diceva che «Una persona è stupida se causa un danno a un'altra personao a un gruppo di persone senza realizzare alcun vantaggio per sé o ddirittura subendone un danno»E mentre prima Berlusconi era molto attento a curare i propri interessi, ora sta danneggiando inesorabilmente anche se stesso,
Vedere, per esempio che convoca un Consiglio dei ministri dichiarando che lo fa perché punta ad andare al G20 con un decreto sullo sviluppo già in funzione e che poi, per paura di perdere ulteriori pezzi di alleati per strada, esce da palazzo Chigi senza nessun provvedimento se non quello, non strutturale, di far accelerare la dismissione dei beni dello Stato, fa capire che se prima avevamo i nostri motivi per dubitare profondamente dell’integrità dell’uomo, oggi possiamo dubitare ancor di più anche della sua lucidità mentale.
Non può seriamente credere, infatti, che le sue messe in scena siano accolte dal consesso internazionale come sono accolte da Minzolini, Fede, Sallusti, Feltri e Belpietro.
E allora, se non lo crede, è esempio di stupidità perché tutto questo farà calare ancor di più il tasso di credibilità dell’Italia retta dal suo governo. Se lo crede, invece, vuol dire che ha perduto ogni contatto con la realtà. In ogni caso se ne deve assolutamente andare via al più presto.
E di questo – tranne lui – si rendono conto tutti: l’intera opposizione che da tanto tempo illumina questa penosa e pericolosa realtà; il Presidente della Repubblica che, senza clamori, sta già consultando tutte le forze politiche; i suoi fedelissimi – tranne i più ottusi, ovviamente – che tentano di rifarsi una verginità vibrando le ultime coltellate al satrapo morente.
A loro – Antonione, Tondo, Paniz e tanti altri – ricordo che senza di loro Berlusconi sarebbe già da tempo soltanto uno sgradevole ricordo. A noi vorrei sollecitare la memoria di quello che è successo in questi anni perché può essere che il momento drammatico e l’attuale situazione parlamentare impongano temporaneamente un governo di larghissime intese, ma poi è indiscutibile che alle prossime elezioni la rotta dovrà essere profondamente cambiata e che in questo lasso di tempo bisognerà stare molto attenti alle possibili e già avvenute contaminazioni.

lunedì 31 ottobre 2011

Leadership e democrazia

Questa volta vorrei non parlare di Berlusconi: per lui mi limito a segnalare che quel signore, dopo aver incentivato per legge il gioco d’azzardo via internet, è entrato anche in quel giro di affari creando un altro gigantesco conflitto di interessi.
Questa volta vorrei cominciare un ragionamento – anzi, se possibile, un dialogo – sul PD. E vorrei cominciare da quello che è accaduto alla Leopolda di Firenze dove Matteo Renzi ha radunato i “rottamatori” dando una poderosa mano a innalzare il tasso di litigiosità all’interno di un partito che dovrebbe vincere a mani basse le prossime elezioni purtroppo non tanto per la bontà dei programmi propri, quanto per l’impresentabilità di quelli altrui.
Devo confessare che il personaggio non mi è particolarmente simpatico perché mandare a casa delle persone soltanto guardando la carta d’identità, o il numero dei mandati, senza preoccuparsi della qualità di quelle persone, mi sembra una evidente generalizzazione che, come tutte le generalizzazioni e le eccessive semplificazioni, è una pericolosa sciocchezza che, tra l’altro, si dimostra tale già in alcune frasi pronunciate da Renzi stesso. Eccone una: «La storia nuova la scrivono i pionieri e non i reduci», dimenticando evidentemente che la nuova storia dell’Italia democratica è stata scritta nella Costituzione dai reduci della Resistenza e che sono stati i pionieri delle “novità” sociali a tentare di riportarci a quella storia vecchia, evidentemente dimenticata da troppi, ma altrettanto evidentemente mai morta.
Ma su almeno una cosa con Renzi sono d’accordo e confermo quello che ho già scritto qualche commento fa: i politici si occupano di alleanze, ma agli elettori interessano i programmi, o, meglio, gli obbiettivi.
E vedo di andare oltre rilevando che non sono pochi coloro che individuano una delle cause delle difficoltà del centrosinistra nella mancanza di “leadership”. Io, invece, sono convinto che quello che serva – e scusate il neologismo che faccio mio mutuandolo da Claudio Scarpa, pensatore ancor prima che teatrante – sia una “teamship”.
La crisi di leadership, infatti, può anche essere vera, ma vedo questa affermazione come uno dei modi per tentare di lavarsi mani e coscienza. In questo modo, infatti, ognuno può dire: «Quello che succede non è colpa mia, perché io non posso essere un leader in quando non ne ho la statura, la prearazione, la cultura e, se i leader a disposizione sono davvero scarsetti, se non del tutto impresentabili, non posso farci niente». Se invece la crisi è di “teamship”, allora la cosa mi riguarda perché nel team, nel lavoro di gruppo, c’entro anch’io; perché sono chiamato anch’io, comunque e sempre, a dare il mio contributo. E se non lo faccio sono anch’io a danneggiare la comunità.
Questa crisi di “teamship”, non è inevitabile. In Friuli una prova la si è avuta – evidente – 35 anni fa, quando un intero popolo, a prescindere da situazioni e convinzioni diverse – sociali, religiose, linguistiche, politiche – è riuscito a compiere quel miracolo che chiamiamo ricostruzione dal terremoto del 1976. E sono convinto che se in quella circostanza ci fossimo trovati nella situazione politica attuale non ne saremmo venuti fuori. E non soltanto per la caratterizzazione politica della conduzione attuale della Regione, ma perché quella volta importanti non erano i leader, bensì i team. O, meglio, i leader erano importanti perché si sentivano tali soltanto fino a un certo punto, visto che poi sapevano confrontarsi, mediare e decidere con gli amici e con gli avversari. Mentre oggi di questi tre verbi resta vivo – e non sempre – soltanto il terzo.
Credo che siano molte le cose che hanno portato a questa situazione, ma che quella più importante, anche se i più lo vedono come un ininfluente tecnicismo, sia stato il passaggio dal proporzionale al maggioritario, perché con il proporzionale e con quelle coalizioni non corazzate che obbligava a fare, gli amministratori della cosa pubblica erano obbligatoriamente abituati a confrontarsi, a discutere, a mediare – che poi è la vera essenza della democrazia – ed erano anche costretti a capire il vero pensiero dell’altro, a saperne cogliere le cose buone e a buttare quelle cattive. Oggi ogni valutazione finale sulle cose da fare è demandata soltanto al conteggio della quantità di voti che si hanno a disposizione.
Quella volta, insomma – visto che cultura è andare a fondo nelle parole, capire ed elaborare – si è fatta vera cultura facendo vera politica. E questo è importantissimo perché sono convinto che quella che stiamo attraversando non sia soltanto una crisi economica, ma, soprattutto, una crisi culturale. E come si può uscire da una crisi culturale senza cultura? Soprattutto pensando che la caratteristica principale della cultura è la responsabilità e non la voglia di apparire.
Un'ultima cosa: sono perfettamente d'accordo sul fatto che come deve sparire il berlusconismo, così deve sparire l'antiberlusconismo. Ma non prima di un minuto dopo che il berlusconismo sarà scomparso dalla faccia dell'Italia.

venerdì 28 ottobre 2011

Per quanto voi vi crediate assolti …

Oggi il Times di Londra, che una volta il centrodestra definiva “autorevole”, scrive in prima pagina che «Berlusconi si deve dimettere immediatamente». E continua con parole inequivocabili sottolineando che è stata «la codardia politica del Presidente del c
consiglio che ha messo in pericolo l’intera Eurozona» e rincarando, per chi avesse ancora un dubbio, con un’altra frase inequivocabile: «Questo clownesco primo ministro la cui noncuranza, irresponsabilità e codardia politica ha tanto esacerbato la crisi attuale».
E davanti a quello che sta accadendo in Italia e che sembra sia lucidamente visibile più dall'estero che da noi, mi torna ripetutamente in testa il verso «Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti», della “Canzone di maggio” di Fabrizio de Andrè, uno dei pochi poeti che non soltanto hanno saputo coniugare poesia e società, ma ci hanno permesso di intravvedere il futuro attraverso le sue parole.
Mi torna in mente perché In Italia a essere convinti che Berlusconi sia finito sono ormai quasi tutti ed è una corsa disperata a rifarsi una verginità mettendo in rilievo tutte le proprie cose buone e nascondendo quelle cattive, sperando nella scarsa memoria della gente.
Mi riferisco a Fini, senza il cui ennesimo appoggio, Berlusconi non sarebbe mai riuscito a combinare tanti disastri; a Casini che lancia anatemi sul Pdl ma ancor’oggi si allea con lui dove, come in Molise, annusa possibilità di vittoria; a Bonanni e Angeletti che adesso (adesso!?) si accorgono che questo governo se ne frega del lavoro e dei lavoratori pur di difendere i ricchi tra i quali Berlusconi è il più ricco di tutti; a Bertinotti che per le 35 ore ha fatto crollare il miglior governo del dopoguerra; a parte del Pd (non soltanto a D’Alema e a Veltroni) che continua a privilegiare le alleanze rispetto ai programmi mentre gli elettori vogliono programmi e non alleanze a prescindere; a quelli come me che limitandosi al voto e al disprezzo («La politica? Una cosa con cui non voglio sporcarmi») ha reso possibile la nascita e lo sviluppo del berlusconismo con la sua distruzione di uomini, valori e istituzioni.
In questo quadro fanno quasi tenerezza quelli che ancora credono che Berlusconi sia un politico e non uno sgangherato approfittatore. Uno dei lettori di questo blog, che in pubblico preferisce celarsi sotto l’anonimato di uno pseudonimo (ognuno si dia una sua risposta sul perché), scrive: «Tutti pronti ad insultare, tutti pronti ad insegnare, tutti pronti a dire quello che bisogna fare, tutti pronti a criticare, nessuno invece è pronto a mettersi in prima fila a dare l’esempio; bravi, complimenti, se questa è l’alternativa siamo messi veramente bene!».
Può anche essere che lei abbia ragione, ma bisognerebbe avere una controprova: tenti lei di convincere Berlusconi a ritirarsi dalla prima fila per far vedere se gli altri sono capaci non solo di dare il buon esempio, ma anche di lavorare non esclusivamente pro domo sua.

martedì 25 ottobre 2011

Il quarantesimo trucco

L’inadeguatezza politica ed etica di Silvio Berlusconi è già abbondantemente evidente per chi non fa finta di non vedere, ma per apprezzare appieno la bassezza non soltanto fisica del personaggio, occorre ancora una volta scrutare le sue vicende private.
Questa volta, per la sua quarantesima legge ad personam approfitta delle pieghe del Decreto sviluppo imposto all’Italia dall’Europa, e ci piazza una norma (tre righe mimetizzate a pagina 203 della bozza) che dai commentatori, e anche da alcuni dei suoi, viene graziosamente definita "taglia-legittima" o "anti-Veronica".
La questione è semplice: se Berlusconi morisse con le leggi attuali, il controllo di Fininvest passerebbe di diritto alla seconda moglie Veronica Lario e ai figli di seconde nozze Barbara, Eleonora e Luigi con una quota del 56,1%, mentre a Marina e a Piersilvio resterebbe il 43,9%. Nel Decreto sviluppo Berlusconi, tentando di cambiare le carte in tavola sulle regole della “legittima”, vuole consentirsi di lasciare fino al 53,38% dell'impero di famiglia ai due primogeniti e di ridimensionare Veronica e i suoi figli con il 46,62%.
Non intendo minimamente entrare nelle beghe familiari berlusconiane, ma mi sembra inevitabile sottolineare che questo signore continua a restare a palazzo Chigi non per fare il bene dell’Italia che è stata lasciata andare scientemente allo sbando sperando di non perdere consensi elettorali con provvedimenti legislativi non troppo simpatici, ma per curare gli interessi propri; giudiziari o economici che siano.
E particolarmente repellente mi pare il trucco di piazzare la norma nel Decreto sviluppo che con le eredità non c’entra proprio nulla. Repellente, ma furbesco perché Berlusconi punta a non discuterne neanche chiedendo la fiducia per un provvedimento che – dirà sicuramente - «ce lo chiede l’Europa» in tutta fretta. Perché è noto che la democrazia altro non è che un fastidioso rallentatore.
E, a proposito di Europa, è ridicolo e intollerabile che Berlusconi, dopo i risolini di scherno di Sarkozy e Merkel, affermi in un comunicato che «nessuno ci può dare lezioni». Ridicolo perché in realtà moltissimi europei potrebberodare lezioni a lui e al suo governo.
Intollerabile in quanto è offensivo che la particella pronominale “ci”: con quel signore la maggior parte degli italiani ha in comune soltanto il colore della copertina del passaporto.

lunedì 24 ottobre 2011

Le reazioni illuminanti

L’improvvida uscita di Fontanini sul suo sogno di classi separate per i disabili ha sortito due benefici effetti.
Il primo riguarda il fatto che finalmente la gente si è stufata di assorbire qualunque schifezza senza reagire: gli ululati di protesta e gli inviti urlati a finirla da parte del pubblico è una cosa che fa davvero ben sperare per il futuro.
La seconda è la considerazione che le reazioni del giorno dopo siano state anche più indicative degli avvenimenti che le hanno originate per capire meglio chi stia governando questa regione e questa nazione. Perché Lega e Pdl ragionano nello stesso modo sia in Friuli Venezia Giulia, sia in Italia.
Il giorno dopo Fontanini, come ampiamente previsto, ha detto di essere stato frainteso e poi, visto il putiferio, ha chiesto scusa di «aver sbagliato i termini» pensando, così, di poter cancellare tutto. Ma a far capire esattamente come stanno le cose sono stati il senatore leghista Mario Pittoni, che ovviamente ha difeso lui e le sue idee, e soprattutto il presidente regionale Renzo Tondo che, dimostrando piena vicinanza a Fontanini, ha affermato che «gli è scappato il piede sull’acceleratore». Cioè, traducendo: non è che abbia sbagliato strada, ma soltanto che, sulla strada giusta, sia andato un po’ più veloce di quanto ci si aspettava e di quanto volevano le convenzioni.
Se poi di tutto questo l’elettorato si renderà conto e se chi dovrebbe farlo riuscirà a metterlo in rilievo davanti agli occhi di coloro che nelle urne dovranno scegliere il prossimo Parlamento e il prossimo Consiglio regionale, non è dato di sapere e, anzi, le ultime esperienze inducono al pessimismo.
È molto difficile, infatti, essere ottimisti davanti a un Paese che non scende immediatamente in strada per esprimere a viva voce il desiderio di mandare a casa un governo che nel 2004 ha deciso di cancellare quasi completamente il debito soltanto a un Paese al mondo: ad Antigua e Barbuda, trascurando nazioni decisamente più disgraziate come il Burundi e Haiti, soltanto per fare due esempi. Il fatto che poi Berlusconi proprio lì abbia comperato le ville di cui tanto si parla in questi giorni è ovviamente soltanto casuale.
Ma, sempre continuando a parlare della maggioranza e dei suoi misfatti, e con il fondato sospetto che ogni altra cosa che verremo a sapere ci piacerà molto poco, dobbiamo parlare di più, invece, dell’attuale opposizione e della necessità di fare fronte comune per riportare l’Italia a livelli decenti, o almeno senza più razzismi, classismi e conflitti di interesse.

martedì 18 ottobre 2011

Libertà e servitù

Normalmente alle accuse personali rispondo personalmente e privatamente all’indirizzo di posta elettronica di chi mi attacca, ma questa volta faccio un’eccezione – e me ne scuso comunque con gli altri lettori – perché ritengo che le parole che Alfonso Sele ha scritto come commento a “L’acquirente” possano essere utili per capire ancora meglio il berlusconismo che sa benissimo di non poter dire «noi siamo senza macchia» e, quindi, si concentra esclusivamente sulle macchie altrui.
E, allora, punto primo: è vero, non ho mai parlato di Penati. Ma non ho mai parlato neanche di Papa, Milanese, Tarantini e di molti altri condannati, arrestati, incriminati, indagati del cosiddetto Popolo della libertà. E mi sono comportato così perché preferivo soffermarmi non sui singoli, ma sul modo di fare politica complessivo dei due schieramenti e dei loro leader. E forse ho sbagliato, perché avrei potuto meglio sottolineare come il Pd abbia sospeso Penati da tutte le cariche da cui poteva toglierlo e come lo abbia costretto a non invocare l’immunità e, quindi, ad accettare, come ogni normale cittadino, il giudizio della magistratura. Il Pdl, invece, difende i suoi che, evidentemente, il capo ritiene fatti tutti a sua immagine e somiglianza, li protegge con l’immunità e attacca in massa la magistratura che diventa “rossa” o giusta a prescindere dalle idee politiche, ma a seconda di chi iscrive nel registro degli indagati. Potrei anche parlare di abissali differenze nel numero dei sospetti di ladrocinio e nella quantità di denaro pubblico sottratto per interessi partitici o privati, ma non intendo farlo perché in politica non è importante la quantità del furto, ma il furto stesso, proprio come concetto di disonestà e di non servizio agli elettori, per essere inesorabilmente fuori. Per capirci meglio: mi fa orrore sentir parlare di salvacondotto per Berlusconi: se è colpevole deve essere rinchiuso in galera, o, vista l’età, almeno condannato in via definitiva.
Lei amabilmente dice che io ho un padrone. Non mi dispiace per niente deluderla: intanto sono in pensione e nella sua gretta visione il mio padrone dovrebbe essere l’istituto di previdenza che mi stacca l’assegno mensile. Poi vorrei segnalarle che queste cose non le dico soltanto su un sito internet del gruppo Repubblica-l’Espresso, ma le sostengo esplicitamente anche in incontri, conferenze e dibattiti organizzati da soggetti completamente diversi. Infine, se fosse un lettore del Messaggero Veneto da molti anni (e i suoi capelli bianchi potrebbero farlo pensare), dovrebbe ricordarsi che le stesse cose le scrivevo su quel giornale quando direttore era Sergio Gervasutti, uomo sicuramente di destra, e la proprietà era diversa.
Il fatto è che il Popolo della libertà e i suoi sostenitori in realtà non sanno cosa la libertà sia. Secondo loro chi la pensa in qualche modo, la pensa così perché qualcuno lo ha pagato. Non gli passa neppure lontanamente per il cervello che le idee siano il più prezioso patrimonio che abbiamo. D’altro canto è comprensibile: quando tutti i parlamentari di Berlusconi – tanto per fare un solo esempio – votano affermando di dare credito alla storiella di Ruby nipote di Mubarak, tutto il mondo non può credere alla loro buona fede, ma soltanto a un’altrui buona mancia. Inoltre la destra dovrebbe ringraziare la libertà di pensiero della sinistra che da sempre proprio sulle idee, anche leggermente diverse, con grande masochismo e grande colpa nei confronti del bene comune, si frantuma e fa vincere gli altri.
Ma credo che anche nella destra ci sia chi la pensa autonomamente e lei mi sembra uno di questi soprattutto quando dice che «Troppa democrazia porta all’anarchia». Lei avrà anche i capelli bianchi, ma il suo sentire politico è sicuramente nero. A prescindere da Berlusconi. O forse rafforzato proprio da lui.

giovedì 13 ottobre 2011

L’acquirente

Per comprendere bene gli abissi di abiezione democratica di cui è capace il berlusconismo nulla è più utile di una sua sconfitta. Basterebbe pensare a quando Berlusconi ha perso per la seconda volta contro Prodi e, imitato da tutti i suoi servitori, ha sollevato il sospetto di brogli elettorali che ha continuato a sventolare anche quando era stato appurato che non c’erano stati né errori sostanziali, né tantomeno dolo.
L’attuale fallimento della maggioranza sulla Legge di bilancio, però, offre nuovi suggestivi scorci sull’inquietante pensiero di Berlusconi che, davanti a un crollo che ha sempre determinato le dimissioni di chi vi è incorso (Goria docet, ma non soltanto lui), ha parlato di un semplice incidente di percorso e di puro inciampo tecnico, in questo sbugiardato dalla stessa Giunta del Regolamento della Camera che ha considerato l’iter della legge ormai definitivamente concluso, lasciando aperte strade tortuose e non facili per recuperare una legge di cui nessuno – tranne Berlusconi, evidentemente – può fare a meno.
A prima vista può anche stupire il fatto che il satrapo di Arcore pensi di risolvere tutto andando alla Camera e chiedendo per l’ennesima volta la fiducia su quello che dice.
Giustamente Napolitano ha inviato una nota ufficiale che, pur un po’ velata dai tradizionali toni quirinaleschi, sottolinea che non bastano tante fiducie per dare forza a un governo se – soprattutto in un momento drammatico come questo – poi affoga nelle polemiche interne tra i suoi esponenti e in molte delle votazioni in cui non siano direttamente chiamati in causa gli interessi personali di Berlusconi.
Può stupire a prima vista, dicevo, perché a pensarci un po’ si vede distintamente che Berlusconi si comporta sempre – e anche in questo caso – come un acquirente; uno che può acquistare aerei, elicotteri, ville, prostitute, onorevoli, senatori, giudici, testimoni, alti funzionari e tutto quanto gli passa per la mente. E poi, come tutti gli acquirenti, se le cose non funzionano tornano in negozio e se le fanno cambiare. Questa volta si tratta di far cambiare voto a un po’ di gente che lui aveva già pagato. Ora non può non pensare che gli basterà ripresentare lo scontrino, oppure mettere nuovamente mano al portafogli – suo o di qualche ente pubblico – per far ridiventare fedele qualcuno che vede l’occasione per aumentare soldi o potere.
Tanto, poi si sa che questo governo cadrà soltanto tra marzo e aprile quando senatori e deputati avranno maturato il periodo di tempo necessario per avere il loro bravo vitalizio. L’acquirente quello non è disposto a pagarlo personalmente. E non gli conviene neppure anticipare il confronto con la giustizia.

venerdì 7 ottobre 2011

Il grande distrattore

Il grande distrattore colpisce ancora. Mentre tutto gli si sta sgretolando intorno e anche nella sua satrapia i topi si stanno rendendo conto che la barca sta affondando, Berlusconi continua a tentare di indirizzare l’attenzione generale su altri argomenti.
Ha detto che la crisi dipende anche dal fatto che «il nome del Pdl non è nel cuore della gente». E ha aggiunto, con il suo consueto spirito greve: «Mi dicono che il nome che avrebbe maggiore successo è Forza Gnocca».
E pare che riesca a distrarre ancora visto che è su quest’ultima frase che molti hanno titolato scegliendo ancora una volta la forma invece che la sostanza. Perché la cosa più fastidiosa (e dovrebbe essere fastidiosa soprattutto per i suoi) e che Berlusconi continua a ritenere talmente scemi coloro che lo votano da andare alle urne influenzati dal nome di un partito e non dal suo programma, né dai risultati che è riuscito a ottenere.
Ma questa volta il gioco gli si ritorce contro sia perché la distrazione è un lusso che non ci si può permettere, sia in quanto è stato lui con le sue televisioni a cancellare la memoria per far concentrare l’attenzione generale soltanto sul presente immediato. E così anche i suoi espedienti che una volta funzionavano, ora trascolorano e svaniscono presto davanti agli spettri di una crisi trascurata e che è sì presente, ma che ormai tutti sanno essere anche destinata a mangiarci una parte del futuro.

giovedì 6 ottobre 2011

L'unica strada

Sul fatto che l’attuale maggioranza in Parlamento sia diventata un'evidente minoranza nel Paese ormai nessuno si sogna più di discutere. E, visto che a al Senato e alla Camera non si parla altro che di cose che interessano a Berlusconi e ai suoi dipendenti, sono sempre di più quelli che manifestano l’intenzione di non votare più per il Pdl o per la Lega, anche se la maggior parte di loro afferma di voler rifugiarsi nel non voto e non di dirigersi verso il centro, o verso il centrosinistra (ma questo è un altro discorso su cui bisognerà tornare al più presto).
Il problema è che, pur nella loro lungimiranza, i padri costituzionali non avevano previsto almeno due cose: che il sistema elettorale sarebbe diventato un maggioritario in cui gli elettori non possono più scegliere i loro rappresentanti e che potesse salire al potere una persona con tanti soldi da essere in grado di comperare un bel po’ di parlamentari; né, del resto, che fosse ipotizzabile l’esistenza di tanti parlamentari comprati prima o dopo il loro ingresso a Palazzo Madama o a Montecitorio.
Quindi adesso non si sa come uscire da questo impasse se non attendendo la data di scadenza naturale: quel 2013 prima del quale, però, sicuramente l’omino di Arcore firmerebbe altri disastri, anche sul piano democratico.
A leggere la Costituzione si potrebbe pensare che il Presidente della Repubblica possa sciogliere le Camere anche in presenza di una maggioranza che si autosostiene a prescindere dalla sua reale rappresentatività. Ma non mi sembra una strada percorribile, sia perché non si può caricare sulle spalle di Napolitano una simile responsabilità, sia perché sicuramente Berlusconi e i suoi definirebbero “golpe” questo e non quello fatto dall’attuale presidente del Consiglio con la compera della maggioranza e si rischierebbe seriamente uno scontro violento nelle piazze.
La strada, dunque, sembra soltanto una; una strada che non è percorribile per i pigri perché chiede un impegno comune, solidale, continuo e probabilmente anche non a brevissimo termine. Visto che la democrazia è etimologicamente il “potere del popolo”, che l’articolo 1 della Carta sottolinea che «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», a noi non resta che ribadire platealmente e senza soluzioni di continuità che la democrazia rappresentativa si basa su una delega e che questa delega non c’è più.
Insomma al popolo spetta di tornare nelle strade e nelle piazze a manifestare con sempre maggiore frequenza e decisione per far giugere la voce del dissenso anche a coloro che quardano soltanto la televisione. A ogni categoria corre l’obbligo di alzare la voce per rendere chiari a tutti i disastri combinati nei rispettivi campi di competenza. I giornalisti non devono esitare nella scelta tra il rispetto dell’articolo 21 della Costituzione e l’eventuale galera - una galera che non sarebbe certamente infamante - perché ci si oppone alla nuova probabile legge sulle intercettazioni e sulla loro pubblicazione.
E ai politici dell’opposizione incombe l’imperativo morale di comportarsi come questo drammatico frangente richiede: finirla di massacrarsi a vicenda per piccole posizioni di supremazia e di eventuale potere interno; scrivere e diffondere un programma che sia serio, breve, chiaro e comprensibile per tutti; assicurare che subito saranno abrogate le leggi "ad personam", "ad aziendam", "ad castam" approvate dai dipendenti di Berlusconi e che stanno rendendo irrespirabile l’aria italiana; dare certezza che contemporaneamente, cioè subito, si provvederà a mettere in approvazione una legge che ridia fiato al lavoro, una sul conflitto di interessi e una nuovamente democratica sul sistema elettorale.
E, se questo avverrà davvero, allora quasi sicuramente le fortissime contraddizioni interne tra base e vertice della Lega e, in parte, anche del cosiddetto Popolo delle libertà scoppierebbero e farebbero diventare superfluo qualunque intervento del Presidente della Repubblica.
Se, invece, non ci renderemo conto che la responsabilità di questa situazione ricade in parti diverse su di noi, su ciascuno di noi, allora temp proprio che l’unica via d’uscita sia attendere la fine naturale dell’uomo che compra. E vergognarsi profondamente di noi stessi.

martedì 27 settembre 2011

Veder perdere non è identico a vincere

Dovremmo essere un po’ contenti. Intendo dire noi, quelli che non vedono l’ora che il berlusconismo diventi soltanto un orrendo ricordo. Dovremmo essere contenti perché ormai tutto si sta sfaldando intorno al satrapo che ha riempito con le sue gesta molto di più le rubriche di gossip che quelle di politica. All’interno del Pdl crescono sempre di più quelli che gli rimproverano di aver pagato prestazioni sessuali con cariche pubbliche; la base della Lega è sempre più insofferente del fatto che i suoi rappresentanti in Parlamento votino per salvare (dal giudizio, prima ancora che dalla condanna) personaggi su cui pesano terribili accuse di corruzione, concussione, associazione mafiosa e chi più ne ha più ne metta; la Chiesa non usa più mezze parole per dire che si ha bisogno di aria pulita; la Confindustria finalmente conferma che questo governo non ha fatto proprio nulla se non aiutare Berlusconi a fare i propri comodi. E a non sopportarlo sono sempre di più le donne, i giovani, gli anziani, gli studenti, i lavoratori e tante altre categorie.
Dovremmo essere contenti, dicevo, eppure ci resta – o almeno a me resta – una forte amarezza dentro in quanto se è vero che forse stiamo per tornare a respirare un po’ meglio, questo non avviene perché abbiamo ripreso a nuotare con forza, ma perché l’acqua in cui ci troviamo è ancora diminuita e sta diventando sempre più palude.
Pensiamoci. Nel Pdl nessuno – dico nessuno – accusa Berlusconi di disonestà, ma soltanto di favorire altri personaggi che occupano posti appetibili. La Lega si sta rivoltano contro Bossi non per la sua incostituzionalità e per il suo razzismo, ma proprio perché non tiene più in primo piano questi disvalori preferendo appoggiare Berlusconi per salvare il suo posto di governo. Quello che dice la Chiesa è sacrosanto, ma dovremmo domandarci perché soltanto da un po’ di tempo, per parte della gerarchia, i dieci comandamenti siano diventati importanti anche per il satrapo e non soltanto per noi. Gli industriali lo hanno mollato perché si sono accorti che non dà loro vantaggi e non certamente perché deprimendo l’economia, deprime anche il lavoro, gonfia la disoccupazione e rende sempre più difficili i rapporti sociali.
Forse in un momento così drammatico dovremmo accontentarci di veder sparire Berlusconi e annaspare disperatamente i suoi servitori, ma a me resta in bocca un gusto amaro: quello di non essere riusciti a convincere la maggioranza degli italiani della necessità di effettuare una scelta che si basi su valori apparentemente scomparsi come l’etica, la solidarietà, il rigore politico ed economico, la giustizia, il rispetto per il prossimo e per l’ambiente.
Perché veder perdere un avversario come Berlusconi significa la fine dello sprofondamento dell’Italia, ma per vedere il nostro Paese risalire non basta veder perdere gli altri: occorre far vincere quei valori apparentemente scomparsi.

domenica 11 settembre 2011

Assuefazione non è normalità

Non si può non dirlo: dopo tanti mesi di schifezze, la nausea che ti assale è tale che già ti rende difficile leggere le porcherie presidenziali: figurarsi a scriverne. Eppure non è davvero il tempo di lasciar perdere perché quelli che Berlusconi, i suoi fedelissimi e i suoi prezzolati si ostinano a definire “affari privati” proprio non sono tali: e non soltanto perché molti dei suoi traffici sessuali sono stati pagati – e sono pagati ancora – con denaro pubblico, visto che il compenso è avvenuto con l’elezione a cariche pubbliche, o con la concessione di lucrosi appalti, ma perché davvero il nostro Paese avrebbe avuto – e avrebbe – bisogno di un vero presidente del consiglio e non di uno che lo fa a tempo perso.
Berlusconi, invece, a tempo pieno si è dedicato soltanto a difendere se stesso e le proprie aziende e a organizzare i propri trastulli pseudo giovanili, mentre alle necessità dell’Italia, e quindi degli italiani, ha riservato soltanto infastidite briciole delle sue giornate. Ovviamente se si eccettuano gli insistiti e lunghissimi monologhi autocelebrativi con i quali ha continuato a dire che aveva fatto miracoli per l’Italia e la sua economia fino al giorno prima di confessare che siamo sull’orlo del fallimento.
Che qualcosa stia cambiando anche nella maggioranza nei confronti del proprio magnate lo si sta notando sempre più chiaramente, sia perché una crescente parte della Lega parla di staccarsi da una nave che sta affondando, sia in quanto i tentativi di giustificazione dei pidiellini stanno virando sempre più decisamente verso motivazioni pseudo-politiche. Eccone alcune: «Le spallate si possono dare soltanto in Parlamento con il voto di fiducia» (con il piccolo particolare che non di fiducia si tratta, ma di prestazioni di voto già pagate in anticipo); «Entrare in crisi adesso sarebbe come dare ragione agli speculatori» (perché? A negare ottusamente la crisi non lo si è già fatto); «Non si può bloccare il governo mentre sono alle porte importanti riforme» (quali? Quelle di cui finora – a parte del massacro della giustizia – non si è mai parlato?). Soltanto i più ottusamente incapaci di annusare l’aria, come Gasparri e Brunetta, continuano a prendersela con le intercettazioni, come se la colpa di una malattia fosse il medico che la individua e non il virus che la provoca.
Ma nessuno di loro si rende ancora conto che assuefazione alla puzza non vuol dire normalità olfattiva e che l’anormalità prima o dopo viene sempre risolta facendo sparire dalle proprie vicinanze la sorgente del fetore. E che quando l’origine della puzza se ne andrà anche loro finiranno di ammorbare l’aria con i loro vaniloqui.

venerdì 2 settembre 2011

Per favore, non distraetevi

Per favore, non distraetevi. L’arresto di Tarantini e di sua moglie, la fuga di Lavitola, i verbali che confermano sia che il presidente del Consiglio è un convinto sostenitore materiale del mercato del sesso, sia che è ampiamente ricattabile, non devono distrarre nessuno dalle schifezze che quel signore sta compiendo con quella manovra economica che dovrebbe salvare l’Italia e che rischia sempre più concretamente, invece, di diventarne la pietra tombale.
Che Berlusconi fosse del tutto indegno, sia a livello etico, sia a livello politico, di siedere a palazzo Chigi molti lo sapevano già e agivano di conseguenza quando andavano a votare; altri lo sapevano, ma votavano per lui e i suoi sodali ritenendo che la teorica difesa dei propri interessi fosse più importante della difesa degli interessi generali; altri ancora – e in questo aiutati anche da “distrazioni” ecclesiastiche e politiche – si rifiutavano di vedere lo scempio che quel signore ha fatto dei valori costituenti di questa nazione, di quelli etici del sentire comune della stragrande maggioranza degli italiani, e del concetto di politica intesa come lavoro di ricerca del bene di una società.
Ora non ci sono più possibili alibi di interesse perché Berlusconi ha trascinato davvero tutti in quel materiale di cui lui dice di essere fatta l’Italia, dai giovani ha cui ha negato un futuro con leggi e provvedimenti che rendono sempre più precaria l'istruzione e difficilissimo l'ingresso nel mondo del lavoro, alle donne e agli uomini che lavorano che sempre più sentona vacillare le loro sicurezze, alle donne e agli uomini che non hanno più un lavoro e che si sentono derubati anche della loro dignità, agli anziani che sempre più si sentono un peso per quegli altri che invece dovrebbero essere loro grati per quello che hanno saputo costruire.
L’unica salvezza per Berlusconi potrebbe essere quella di distrarre nuovamente tutti attirando l’attenzione generale sui suoi "puttanai" piuttosto che sulle sue "puttanate". Scusate i francesismi di quest’ultima frase, ma anche i giri di parole talvolta possono far rischiare di distrarsi. E distrarsi questa volta potrebbe essere un peccato davvero mortale.

mercoledì 31 agosto 2011

Stupida illusione

Ammettiamolo: in molti ci eravamo stupidamente illusi che da una calamità come quella della crisi economica, potesse – anzi, dovesse – far nascere almeno un frutto positivo: quello di cominciare a far pagare anche quelli che finora ben poco hanno dato, rispetto a quanto avrebbero dovuto dare, alla comunità.
Già dalla prima stesura della manovra ci si era accorti che i grandi ricchi e i loro grandi capitali avrebbero potuto continuare a dormire sonni tranquilli perché sarebbero stati soltanto sfiorati dal cosiddetto “contributo di solidarietà”, mentre avrebbero potuto continuare a non pagare nulla sul non dichiarato e anche su quello che avevano portato all’estero e riportato pulito in Italia con una regalia berlusconiana.
La seconda stesura ha tolto anche ogni residua illusione: niente contributi di solidarietà, niente patrimoniali, soltanto fumosi impegni ad andare a toccare le evasioni più evidenti. E, mentre l’elettorato che interessa a Berlusconi può tirare un sospiro di sollievo, chi ha sempre pagato dovrà pagare sempre di più, e molti saranno letteralmente derubati dei soldi che hanno pagato per riscattare la laurea e che oggi si vedono stracciare il contratto che avevano firmato con lo Stato e allungare la vita lavorativa di cinque o più anni.
Molte cose si potrebbero dire sulle schifezze partorite dall’orrida commistione delle fantasie berlusconiane e leghiste, ma credo che due siano le più importanti. Si possono tramutare in due domande.
La prima riguarda il mercato e chi ci crede ciecamente: com’è possibile che L'economia riprenda quota se saranno sempre meno i denari nelle mani della stragrande maggioranza della popolazione? Se il lavoro è sempre più tartassato, se sempre più giovani saranno tenuti lontani dal mondo del lavoro a meno che non accettino – a termine, s’intende – condizioni da schiavitù mentale, lavorativa ed economica?
La seconda è una domanda ancora più drammatica: si rendono conto i berlusconiani e i leghisti che, portando sempre più gente alla disperazione, stanno ponendo solide basi alla rinascita di quella lotta di classe che hanno sempre detto di aborrire e che tante distorsioni e tanti lutti ha provocato? Perché questa volta la guerra è stata dichiarata dall’alto e non dal basso.

sabato 30 luglio 2011

Indignarsi non basta

Talvolta sono assalito dal dubbio di essere un po’ troppo manicheo. È giusto che guardi con una sorta di disprezzo etico i berlusconiani e i leghisti? È giusto ascoltare con sospetto tutte le loro proposte? È giusto temere che stiano per sovvertire tutte le regole della democrazia e per instaurare un regime?
Ebbene, sì: è sicuramente giusto? La vicenda del cosiddetto “processo lungo”, appena approvato al Senato, non può lasciare dubbi di sorta: per salvare Berlusconi da tutti i suoi processi, decidono di permettere agli avvocati della difesa di presentare liste infinite di testimoni così da arrivare con irrisoria facilità alla prescrizione per decorrenza di quei termini che già sono stati abbondantemente ridotti. Ma questo incredibile squilibrio del processo a favore della difesa non riguarderà soltanto Berlusconi (scusate, mi dà un po’ di orticaria chiamarlo presidente del Consiglio), ma ogni imputato capace di pagarsi buoni avvocati e soprattutto decine, centinaia o anche migliaia di comparse disposte a lasciarsi convocare come testimoni, anche per andare a dire cose decisamente ininfluenti sulla vicenda in dibattimento. Un giornale che certamente non può essere accusato di estremismo comunista, “Famiglia Cristiana”, titola con splendida sintesi: «La mafia ringrazia».
Ma cosa ci vuole ancora per capire che quel signore è sceso in politica (lui sì che è davvero sceso, visto il bassissimo livello a cui è riuscito a portare la politica) soltanto per i suoi interessi personali, economici e/o giudiziari che siano? Cosa ci vuole ancora per capire che per servire i suoi interessi sta distruggendo la democrazia, l’etica, la società, l’economia di un intero Paese?
Ma, attenzione: basta prendersela soltanto con lui. E basta anche indignarsi soltanto con i parlamentari che votano ciecamente qualunque cosa egli desideri per sé. È ora di arrabbiarsi anche con coloro che lo votano nelle urne, che gli permettono di mandare in Parlamento una quantità di servitori disposti a qualunque bassezza. È ora di mettere alle strette anche coloro che si adattano ad allearsi
È ora di interloquire con forza con quelli che tracciano indolentemente la X sui simboli del Pdl e della Lega (che vota tutto quello che chiede e che, in più, è anche dichiaratamente razzista) perché non è più ipotizzabile che quegli elettori davvero possano credere che votare Berlusconi sia l’equivalente di fare una scelta liberale. Almeno per un po’, dimentichiamo le divisioni tra destra e sinistra e cominciamo a parlare davvero di divisioni tra onesti e disonesti, tenendo presente che la locuzione “Partito degli onesti” nel linguaggio berlusconiano ha lo stesso valore di quello che ha “Popolo delle libertà”: nessuno.
Parliamo con tutti, arrabbiamoci, protestiamo, scendiamo in piazza. Come giustamente ha detto Ingrao, indignarsi non basta. Le donne ci hanno dato l’esempio e hanno scelto per loro uno slogan che ora, con il loro permesso, deve essere esteso a tutta l’Italia: “Se non ora, quando?”.

martedì 26 luglio 2011

Urgente questione di fiducia

Credo che il Pd, se non vuol far perdere quel capitale di fiducia e di entusiasmo che amministrative e referendum hanno forse inopinatamente portato al centrosinistra, non possa far altro che espellere – e anche in fratta – il senatore Alberto Tedesco. Non lo dico perché sappia con certezza che è colpevole delle accuse a lui ascritte: spetta alla magistratura e non a chi legge giornali e ascolta interviste assumere il ruolo di giudice in faccende penali. Lo dico perché è sicuramente colpevole di indegnità politica.
Tedesco, al di là di quella richiesta ai colleghi di permettere il suo arresto – richieste che si è rivelata una sceneggiata, visto quello che è successo dopo il voto negativo del Senato alla concessione degli arresti – ora non soltanto sta recitando la parte della vittima perseguitata da democristiani e comunisti perché una volta era socialista e attacca indiscriminatamente Bersani, Bindi, Letta, Veltroni e Serracchiani. Ma fa ancora di peggio: ricorda al PD da cui minaccia di uscire, restando comunque attaccato alla poltrona di senatore, che lui e i suoi candidati contano per 48-50 mila voti che valgono un deputato, un senatore e un parlamentare europeo.
È questo che deve farlo espellere da un partito di centrosinistra – se tale davvero è – perché non è ammissibile che si possa pensare che innocenza e colpevolezza siano dipendenti dalla quantità di voti che uno riesce a raccattare. Non è accettabile un ricatto che assomiglia moltissimo a un voto di scambio: i miei voti nell’urna in cambio dei vostri per la mia impunità. Non è accettabile che una qualunque persona che si dice di centrosinistra ragioni esattamente come un Berlusconi qualsiasi: è il popolo che mi giudica, non la giustizia.
Se Tedesco non se ne va da solo deve essere assolutamente accompagnato al più presto alla porta: non necessariamente perché sia colpevole di malversazioni varie, ma perché è sicuramente colpevole di egocentrismo e berlusconismo. Se il PD non lo farà tradirà già in anticipo la fiducia di tanta gente che forse sarebbe anche disposta a tornare a votare con un entusiasmo che da tanto tempo non provava più.
Il discorso per Penati è diverso, ma le conclusioni sono identiche: lui, più dignitosamente, si è autosospeso dalle sue cariche, ma non si è dimesso. Però le testimonianze contro di lui sono troppe per poter pensare che si tratti soltanto di casi di mitomania. E viste le cariche di grande responsabilità che ha ricoperto all’interno del partito toccherebbe a lui togliersi almeno temporaneamente di mezzo per evitare che lo stesso PD possa essere infettato dal sospetto. Se non lo fa lui, sia il partito a chiederglielo con pressante urgenza. Perché è ora che il centrosinistra torni ad agire in prima persona e non soltanto a reagire davanti alle decisioni e alle azioni altrui.
Si tratta di fiducia, materia terribilmente scarsa in questi decenni e che ora sarebbe un delitto sprecare. Un delitto contro tutti gli italiani.

lunedì 25 luglio 2011

Le notizie e le smentite

Quasi cento giovani sono stati uccisi da un folle aliofobo (laddove gli altri sono tutti quelli che non sono religiosamente, socialmente, politicamente esattamente come lui) in Norvegia. Dolore e sgomento riempiono l’animo e avrebbero il diritto di macinare a lungo nella nostra anima, perché purtroppo nulla come i drammi, riesce a farci pensare, ragionare, a conoscere noi stessi, a capire che la storia si ripete nelle sue bassezze più orrende, a meno che non si faccia qualcosa per impedirlo: magari con l’impegno della testimonianza, spesso con la parola e con il ricordo.
Ma in Italia neppure il momento della riflessione è concesso perché davvero tutto viene usato per fare propaganda: anche i morti, anche una strage. “Libero” di Belpietro subito dopo le stragi titola: “Con l’Islam il buonismo non paga. Norvegia sotto attacco: un massacro”. Poi, saputo che di tutt’altro si tratta, è costretto per l’ennesima volta a fare marcia indietro e dice: “Abbiamo scritto che la responsabilità della tragedia nel Nord Europa ricadeva sui fanatici di Allah perché tutto lo faceva pensare, a partire dall’immediata rivendicazione di un gruppo jihadista. Solo nella notte le autorità norvegesi hanno fatto sapere che il sospettato numero uno è sì un fanatico, ma biondo e sedicente cristiano nemico dei musulmani. Dunque abbiamo offerto una lettura sbagliata, ma con qualche ragione”.
Intanto vorremmo capire perché gli assassini musulmani sono musulmani mentre gli assassini cristiani sono “sedicenti” cristiani, e anche come mai non si è tenuto in alcun conto che fin dall’inizio la polizia norvegese aveva parlato di una pista interna, ma le cose più interessanti sono le ragioni che qui riassumo: insomma, questi musulmani non fanno altro che delinquere e fare attentati e quindi è normale che se un attentato succede si pensi a loro; anzi, se il civile Occidente produce qualche scalmanato, le ragioni della sua fissazione va cercata proprio nell’atteggiamento che Belpietro vede comune negli islamici.
Il cugino di “Libero”, “il Giornale” di Feltri e Sallusti, dà ampio spazio in prima pagina quando l’attentato sembra islamico; il giorno dopo, quando è chiaro che di tutt’altro si tratta dà il primo titolo sull’argomento a pagina 12. I morti sono passati da 17 a 92? Si vede che non è molto importante. Mi chiedo se a Feltri sarebbero bastate le prime 12 pagine per parlare della strage se la firma fosse stata davvero islamica.
In questi momenti, da giornalista, divento profondamente triste: che la mia categoria non sia fatta soltanto da galantuomini lo so bene e da molto tempo, ma gli abissi che vengono toccati eticamente e deontologicamente sono davvero sempre più profondi. Da qualche parte si invoca l’Ordine dei giornalisti affinché prenda provvedimenti contro gli autori di questi scempi del giornalismo, ma l’Ordine non può farlo perché si balocca da sempre tra l’obbligo di sanzionare chi non segue le regole professionali e la necessità – se la malafede non è provata al di là di ogni dubbio – di lasciare a tutti la libertà di pensiero e di parola.
E, allora, non sarebbe il caso di scioglierlo davvero questo Ordine che da strumento per garantire gli esterni dai soprusi degli interni si è tramutato in una specie di autoassicurazione reciproca per gli iscritti?
Ma la realtà è che non bisogna soffermarsi soltanto su un giornalismo bacato, ma occorre rendersi conto che i folli aliofobi si nutrono proprio di grandi titoli sbagliati e di smentite piccole e nascoste.

mercoledì 6 luglio 2011

Sembra una maledizione

Sembra davvero una maledizione. Berlusconi infila un disastro dopo l’altro, sia nelle urne (amministrative e referendum sono stati chiarissimi), sia nell’opinione pubblica che ha protestato con tale veemenza per il comma truffa, che il proprietario della Fininvest aveva voluto infilare nella Finanziaria per aiutare la Fininvest, da costringere lo stesso Berlusconi a ritirarla ancor prima di scontarsi con la rettitudine istituzionale di Napolitano.
L’unico posto dove ancora riesce a vincere è, grazie alla dispendiosa campagna acquisti effettuata in questi mesi, il Parlamento dove può ancora contare con una maggioranza di parlamentari che non corrisponde più assolutamente alla maggioranza reale del Paese.
Ebbene, in questa situazione, con la possibilità di dimostrare che nemmeno in Parlamento ha più la maggioranza effettiva, con la probabilità a portata di mano di mettere ancora più a nudo le fratture interne alla maggioranza e di farla definitivamente crollare, il Pd si mette a fare astratta psicologia di primogenitura e si astiene, rifiutando di votare sì a una proposta dell’Idv di abolire le Province e di mandare clamorosamente sotto Berlusconi e i suoi in una votazione parlamentare di grande impatto anche sull’opinione pubblica che, in momenti di grandi sacrifici, domanda la riduzione degli sprechi in politica.
Insomma, ho sempre votato per partiti di centrosinistra - e molto spesso per il Pd o per i suoi predecessori - e non me ne pento affatto, anche se talvolta ho ingoiato rospi praticamente indigeribili mettendo la crocetta accanto al nome di certi candidati imposti e a mio parere indegni. Ma adesso la situazione è troppo grave per continuare a far finta di niente. O vi decidere a finirla con i vostri astrusi giochetti di apparente potere, oppure potete anche tranquillamente andarvene a casa.
Tanto, peggio di così non potrebbe comunque andare. Almeno lo spero.

martedì 5 luglio 2011

Polverizzato ogni record di indecenza

Polverizzato per l'ennesima volta ogni record di indecenza.
Berlusconi fa infilare di nascosto tra le pieghe della Finanziaria un piccolo comma che permetterebbe – se approvato dal Parlamento e controfirmato dal presidente della Repubblica – alla Fininvest di non pagare subito alla Cir di De Benedetti i 750 milioni di euro di risarcimento cui è stata condannata in primo grado per il Lodo Mondadori. Sempre che la condanna fosse confermata in appello.
Ma il record di indecenza non è del presidente del Consiglio che gioca con le carte truccate, bensì di Libero, giornale fiancheggiatore che bisogna sforzarsi di guardare almeno per capire come la pensano quei signori. Sulla copertina di oggi, martedì 5 luglio 2011, campeggia una vignettona a colori, firmata da Benny, in cui si vede, con sullo sfondo l’edificio che ospita la Mondadori a Segrate, un Berlusconi sorridente che fa lo sgambetto a De Benedetti mentre sta per tagliare un traguardo su cui c’è la scritta “500 milioni” (chissà perché, poi, questo sconto del 33 per cento che è ripreso anche nella parte scritta?).
Ma non basta: il titolo è “Silvio fa fesso De Benedetti”; l’occhiello è “Scherzetto nella manovra”, mentre uno dei catenacci recita: “Alla vigilia del verdetto sul Lodo Mondadori che può costare 500 mln al Cav, una leggina fa slittare i maxi-indennizzi”.
Insomma: adesso non basta più imbrogliare, truccare le carte, cambiare le regole del gioco quando più fa comodo; adesso è anche il momento di vantarsi delle proprie furbizie che irridono alla giustizia, di vantarsi di approfittare della propria posizione pubblica per curare i propri interessi privati.
Berlusconi ha cominciato a seminare i suoi frutti velenosi, che hanno sgretolato in molti il concetto di valore etico, con le sue televisioni ben prima di scendere in politica. Ora vuole raccogliere i frutti del suo lavoro fino in fondo. Ognuno di noi deve fare tutto il lecito e il possibile per fermare lui e i suoi sodali. Anche cancellando tutte quelle lotte intestine all’opposizione che non fanno altro che prolungare il suo regno.