martedì 28 settembre 2010

Da silenziosa a sonnacchiosa

Forse la cosa più incredibile di questo mondo, almeno nei Paesi cosiddetti democratici, è vedere la quantità di persone povere, di quelle che non arrivano a fine mese, o che vi arrivano con difficoltà, di quelle che sentono ancora vivi in sé i concetti e i valori di uguaglianza e di solidarietà – e, tutte insieme, avrebbero sicuramente una stragrande maggioranza – abbiano lasciato che il denaro diventasse l’unico vero dio davanti al quale tutto – loro compresi – bisogna sacrificare.
L’esempio della proposta dell’unificazione delle due Università esistenti nel Friuli Venezia Giulia va esattamente in questo senso: non è tenuto in nessuna considerazione il fatto che, soprattutto in cultura, la molteplicità di apporti corrisponde a un aumento esponenziale di ricchezza intellettuale, né che intere generazioni abbiano lottato per dare anche al Friuli un centro di irradiazione culturale legato al territorio e alle sue tradizioni. E neppure il proponente si sente in crisi perché da una parte, sia pure da alleato, sostiene il federalismo e dall’altra il centralismo.
Il fatto è che della cultura interessa ben poco alla classe politica che oggi ha in mano il potere; se, poi, non le dà addirittura fastidio. Il fatto è che la voglia di accorpamento universitario va esattamente nella stessa direzione della riforma Gelmini per la scuola: tagli di finanziamenti che corrispondono anche a tagli di qualità. E se poi scomparirà la capacità della nostra nazione di reggere il passo di altri che sulla cultura e sulla ricerca investono davvero, quelli saranno problemi di coloro che arriveranno al potere in futuro.
Ma ancora più incredibile è che nessuno insorga non soltanto quando si taglia il bene pubblico per non spendere troppo, ma che la pace regni sovrana quando anche la pubblica utilità viene distrutta nel nome del guadagno. Grida vendetta al cielo, infatti, il fatto che la sanità si vanti di aver chiuso i bilanci con utili di milioni di euro, mentre diminuiscono i posti letto per le degenze e mentre medici e infermieri continuano a lamentarsi di essere in cronico sottorganico.
Una volta si parlava di maggioranza silenziosa. Ora sarebbe meglio parlare di maggioranza sonnacchiosa. Per svegliarla occorrerebbe, se non una voce unica, almeno non quel brusio discordante di baruffe intestine a cui purtroppo in troppi si sono rassegnati.

martedì 7 settembre 2010

Non è ignoranza, ma disprezzo

La conclusione alla quale sono giunti Berlusconi e Bossi nel vertice di Arcore sarebbe grottesca se non rischiasse di diventare drammatica. I due capi della maggioranza, infatti, hanno intenzione di andare da Napolitano a chiedere le dimissioni di Fini che, secondo loro, non dovrebbe più essere presidente della Camera perché non più super partes.
L’enormità della cosa è tale che rischia di far perdere di vista alcuni punti fondamentali.
Il primo: probabilmente sperano che qualcuno dica che neppure il presidente del Senato Schifani è – come infatti non è – super partes. Ma non è questo il punto perché nessuno si aspetta che il presidente di un ramo del Parlamento dimentichi d’un tratto la sua storia politica. E infatti negli oltre sessant’anni della Repubblica le polemiche su questo tema non sono state poche, ma nessuno finora si era mai sognato di chiedere le dimissioni dell’accusato.
Il secondo: se le dimissioni le chiedessero loro, o tentassero di far votare la sfiducia alla Camera, la cosa avrebbe almeno un qualche fondamento giuridico, ma chiedere a Napolitano che imponga le dimissioni a Fini è un non senso costituzionale e logico talmente enorme che viene naturale pensare che venga proposto soltanto per tendere una trappola all’obbligata risposta negativa del Presidente della Repubblica.
Il terzo: anche in questa azione appare evidente l’insofferenza che Berlusconi e Bossi – guarda caso i più convinti sostenitori della legge porcata che permette loro di essere designatori e “proprietari” degli eletti – hanno per il Parlamento, soprattutto quando non sono più sicuri di poter contare su una maggioranza schiacciante. Perché è evidente che se è il Parlamento che ha eletto Fini, deve essere il Parlamento stesso a detronizzarlo.
Il quarto: il rischio maggiore per chi vuole che finalmente questa maggioranza cessi di spadroneggiare sull’Italia e di rovinarla è quello di pensare che si tratti di ignoranza di chi non sembra conoscere la Costituzione. In realtà, invece, loro la conoscono benissimo, ma la disprezzano profondamente perché profondamente disprezzano le regole, a meno che non possano chiamarle in loro soccorso.
E il disprezzo delle regole non è proprio soltanto di Berlusconi, ma di tutto il berlusconismo. Per rendersene conto, basta leggere cos’ha detto il presidente della giunta regionale del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, a Pordenone per supportare il suo vicepresidente Ciriani che vorrebbe importare nella Destra Tagliamento il “modello Marchionne” per attirare, con l’esca di minori diritti e salvaguardie per i lavoratori, altre industrie su questo territorio. Tondo ha detto: «Il patto è una parola superata; servono i fatti, quello che si fa».
Non servono molti commenti su cosa Tondo pensa degli accordi tra due parti, quando questi patti diventano fastidiosi per la parte sua. Serve invece impegnarsi per mandare questi signori a casa nel più breve tempo possibile.