martedì 29 giugno 2010

Dracula e i donatori di sangue

Al peggio davvero non c'è mai fine. La giunta di questa regione - a voler essere delicatissimi - non ha mai entusiasmato, ma adesso le prospettive sono da horror. Dare l'assessorato alla Cultura alla Lega, infatti, è come assegnare a Dracula la presidenza dell'Associazione dei donatori di sangue.
Si dirà che dall'altra parte il passaggio del Welfare a Molinaro può far tirare un sospiro di sollievo. È vero, ma soltanto in piccola parte perché la titolarità di un assessorato può voler dire qualcosa, ma l'influenza di questa Lega che si sente dominatrice e l'asservimento del Pdl significa molto di più. E tutti sappiamo bene che il partito di Bossi, nella sua anticostituzionalità diffusa, si fonda su pochi, ma ben precisi caposaldi: soprattutto sull'aterofobia - se proprio non vogliamo chiamarlo razzismo - e sul profondo disprezzo per la cultura nella speranza di riuscire a proporre un simulacro di cartapesta alternativo dedicato specialmente a leggende, riti bislacchi e falsità.
Inoltre, se il passaggio del Welfare a Molinaro e all'Udc (persone e partito che non si capisce bene cosa ci stiano a fare in questa maggioranza) può far sperare in qualcosa di meno schifoso nel breve periodo, nel lungo la distruzione della cultura non potrà che portare acqua alle parti che amano le divisioni, i localismi, il disprezzo e l’odio per chi è sentito diverso.
Ma vi sembra davvero che si possa assistere in silenzio a questa progressiva distruzione  di tutto quanto è stato costruito con fatica in più di mezzo secolo? È davvero inevitabile che le lancette dell'orologio del tempo debbano fare un balzo indietro di questa portata mentre intorno regna la rassegnazione? Vi pare davvero possibile che la colpa sia sempre di qualcun altro e non anche nostra, proprio di ognuno di noi?
Scriviamo, parliamo riuniamoci. A nessuno sarà lecito dire: io non sapevo.

venerdì 25 giugno 2010

La classifica della vergogna

Siamo ultimi. Ed è davvero una vergogna. Ma cosa avete capito? Non sto parlando di calcio. L’eliminazione degli azzurri mi ha provocato un po’ di delusione temperata dalla coscienza che nello sport talvolta si vince, talvolta si perde e che quasi sempre il verdetto è quello giusto. Quello che mi fa davvero vergognare è la vicenda Brancher che fa precipitare l’Italia veramente all’ultimo posto del mondo in quanto a decenza istituzionale, politica e sociale.
Istituzionale perché degrada le istituzioni a servizi per gli interessi personali propri e degli amici; politica perché distrugge sempre di più l’immagine di coloro che dovrebbero cercar di fare il bene dei cittadini; sociale perché sbriciola ulteriormente la coesione di una società in cui si affrontano fazioni sempre più divise su quei temi etici che tanto erano cari a Bobbio e che ora per molti sono soltanto dei fastidiosi impicci.
Riassumiamo. Un signore, Aldo Brancher, caro amico del presidente del Consiglio, viene nominato ministro in un dicastero creato appositamente per lui, di cui non è certo neppure il nome – per non dire delle competenze – unicamente per dargli la possibilità di usufruire del cosiddetto “legittimo impedimento” al fine di evitare di presenziare alle udienze del processo in cui è imputato per appropriazione indebita nella scalata Bpi all’Antonveneta. E il “legittimo impedimento”, immediatamente richiesto, consisterebbe nel fatto che deve sistemare le cose e gli affari del suo nuovo ufficio.
Almeno Lippi, dopo la disfatta della nazionale di calcio ha detto che si assume tutte le responsabilità. Berlusconi, ideatore e firmatario di questa vergogna, sicuramente direbbe che la responsabilità è di quei comunisti che non ci sono proprio più, ma di cui ci sta facendo venire davvero una struggente nostalgia.

giovedì 17 giugno 2010

Lavoro per diritti

Possiamo pensarci su quanto vogliamo, ma i fatti sono semplici: la Fiat dice: o voi italiani vi adattate ai ritmi, alle regole e agli stipendi dei polacchi, oppure Pomigliano d’Arco chiuderà. E dico voi italiani e parlo anche di stipendio perché è ovvio che se la linea di tagliare i diritti civili agli operai di Pomigliano passerà, tra non molto gli stessi tagli se li vedranno proporre anche tutti gli altri operai italiani; e perché anche il costo tra non molto entrerà in ballo.
Non accuso la Fiat, anche se fin quando c’era da attingere indirettamente alle casse dello Stato tramite gli incentivi alla rottamazione, si è ben guardata dal fare la faccia cattiva. Accuso l’intera Italia – tutti noi compresi – perché ha lasciato prosperare questa mentalità mostruosa in cui l’unico parametro sul quale si fa base per il ragionamento è il guadagno; e neppure un guadagno a lungo termine, ma quello immediato che decide i destini degli amministratori delegati.
Ma, se davvero abbiamo superato il concetto dello schiavismo, come si può pensare di cedere diritti in cambio di lavoro? Ma, visto che ci riempiamo la bocca con la parola Europa, ci rendiamo conto che la Fiat innesta una lotta tra poveri perché contemporaneamente ricatta (mi spiace, ma non c’è altra parola più adatta) gli operai italiani e, se il ricatto andrà a buon fine, probabilmente affamerà gli operai polacchi che finora ha ritenuto utile sfruttare e che ora sta meditando di abbandonare? Ma se era prevedibile la reazione dei vertici della Confindustria, come si fa a non inorridire davanti a due sindacati come Cisl e Uil che abdicano al loro compito di difendere i lavoratori per difendere soltanto il loro stipendio?
E scarsa soddisfazione sarà pensare che saranno le stesse regole del mercato a distruggere i disegni degli affamatori di uomini perché nel mercato circoleranno sempre meno quei soldi che sono indispensabili per sostenere il consumismo che è l’anima del mercato stesso. Scarsa soddisfazione anche perché il crollo della struttura industriale del Paese sta trascinando ineluttabilmente con sé le classi più deboli. Sempre nella più totale indifferenza di chi ci governa e che crede di essere personalmente al riparo da questi rischi.

domenica 13 giugno 2010

Libertà e diritti

Devo ammettere che sempre più credo di essere diventato un vecchio sospettoso. E la cosa non mi fa per niente piacere. Per cui quando sento Tremonti dire ai giovani industriali che bisogna dare contorni reali alla libertà d’impresa, faccio forza sulle mie reazioni istintive e mi dico che un aumento di libertà non può essere assolutamente un male: chi può essere contrario alla libertà?
Poi ascolto ancora e sento il ministro dire che «l’idea è semplice. Si tratta di aggiungere all’articolo 41 della Costituzione il principio del riconoscimento della responsabilità alla persona. Poi la segnalazione di inizio attività, l’autocertificazione, l’idea dei controlli ex post e infine il riconoscimento della buona fede». Questi passi devono essere affrontati subito, «attraverso una legge ordinaria» e poi «blindati con legge costituzionale».
Torno a leggermi l’evidentemente lacunoso articolo 41 che recita: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».
Ma cosa c’entra «il principio del riconoscimento della responsabilità alla persona»? Chissà. Ma io non sono un costituzionalista e, quindi, devo credere al ministro se dice che questo migliorerà tutto senza disequilibrare un articolo che sembra un mirabile esempio di architettura costituzionale, capace di tutelare i diritti di tutte le parti.
Quasi mi convinco, ma ascolto ancora e sento sempre lo stesso ministro, sempre lo stesso Tremonti, dire: «La via giusta è quella di Pomigliano d’Arco». E qui non serve sapere di Costituzione; basta aver ascoltato Marchionne, amministratore delegato della Fiat che «lapidario nella sua chiarezza», così lo ha definito Bombassei, ha dato regole precise per orari, ritmi, limitazioni ferree alle discussioni, alle proteste, agli scioperi e poi ha concluso che i sindacati possono discutere, ma che, o accettano le su proposte, o Pomigliano chiude e la Fiat va a produrre la Panda in qualche altro Paese in cui il costo del lavoro è minore. La Cgil lo definisce un ricatto e linguisticamente non vedo proprio come si potrebbe chiamarlo diversamente.
E allora, da vecchio sospettoso, mi viene davvero il dubbio che l’aumento di libertà d’impresa visto da Berlusconi e dal suo ministro più potente corrisponda a una diminuzione di diritti per i lavoratori.
A sostegno della mia evidente parzialità, vorrei citare due grandi personaggi. Il socialista Filippo Turati (per Berlusconi probabilmente sarà uno stalinista, ma vi assicuro che era un socialista) disse che «le libertà sono tutte solidali. Non se ne offende una senza offenderle tutte». Il filosofo tedesco Immanuel Kant scrisse in Per la pace perpetua: «La violazione dei diritti avvenuta in un punto della terra è avvertita in tutti i punti». Libertà e diritti, appunto.

venerdì 11 giugno 2010

Ci si deve mettere la faccia

Giornate orrende, queste, per il nostro Paese. L'ennesima fiducia usata per approvare al Senato la legge sulle intercettazioni lascia capire che tra circa un mese lo stesso sistema sarà adottato alla Camera e che noi in quel momento avremo perso una bella fetta di libertà e di democrazia.
Dico "noi" non riferendomi alla mia categoria secondaria, quella dei giornalisti, ma a quella primaria, quella dei cittadini. Perchè saranno tutti a soffrirne. Tutti tranne, ovviamente, coloro che pensano che prima o poi avranno o già hanno qualcosa da nascondere e hanno la possibilità di imporre a tutti l'ignoranza.
Perché questa legge prima ancora di colpire la libertà di stampa, colpisce la lotta al crimine, blocca i movimenti investigativi delle forze dell'ordine e dei magistrati. Poi, dopo questo, colpisce la stampa impedendo di far sapere quel poco che resterà da sapere. E così riesce anche a mutilare la democrazia perché chi non sa non può decidere.
Potrei scrivere pagine e pagine su queste cose, ma la cosa più importante da dire è che nulla cambierà se tutti noi non ci impegneremo in prima persona, nelle rispettive competenze, ma anche nelle chiacchiere di ogni giorno perché questo obbrobrio venga cancellato al più presto.
Mugugnare non basta più. Bisogna parlare e urlare, se serve. Bisogna arrabbiarsi davvero. Ho sempre odiato il concetto di clandestinità. Disapprovare in silenzio oggi non sarebbe alto che clandestinità. Questo è uno di quei momenti in cui non si può delegare nulla a nessuno, né a partiti, né a sindacati, né a nesun'altra organizzazione. Tutti devono metterci propria la faccia.

giovedì 10 giugno 2010

A casa non basta

In questi ultimi tempi ho scritto poco su questo blog, anche perché mi rodeva dentro la frequente critica che per cambiare la situazione non bisogna attaccare Berlusconi, ma proporre qualcosa di meglio e di credibile. Ho sbagliato. E la prova la si è avuta più chiaramente di sempre nel suo show alla Confartigianato, quando ha attaccato la Costituzione in maniera ancora più violenta ed esplicita del solito chiedendo da cancellarla in toto e di riscriverne un'altra; con la medesima irresponsabile facilità con cui si potrebbe scrivere un compitino dal titolo "i miei desideri personali".
Capisco bene che per uno che ha giurato più volte il falso sulla testa dei suoi figli, giurare il falso sulla Costituzione deve apparire meno che niente, ma così non può essere per noi. Bersani ha perfettamente ragione quando dice: «Su quelle pagine ha giurato, quindi se non gli piacciano se ne vada a casa». Perché,  anche se alcuni preferiscono non ricordarlo, una repubblica è la casa di tutti i suoi cittadini e non soltanto di chi temporaneamente è designato a governarla.
E poi se, con questo "inferno" di regole, tutti coloro che l'hanno preceduto sono riusciti a portare l'Italia dalla disastrosa situazione del dopoguerra a quella posizione di preminenza di cui lui tanto si vanta, allora probabilmente sarebbe il caso che Berlusconi, se non riesce a governare, più che andare a casa, debba andare a nascondersi. Anche se mai sarà possibile dimenticare i disastri etici e materiali che ha firmato.
Non credo che per tornare a sentire di vivere in una democrazia si debba necessariamente trovare da presentare qualcosa di meglio di Berlusconi. La vera impresa sarebbe riuscire a trovare qualcosa di peggio.