lunedì 31 maggio 2010

Bavagli e manette

Per primo ne parla il procuratore antimafia Piero Grasso;  un approfondimento arriva da Walter Veltroni; la conferma, definitiva e ufficiale, la firma Carlo Azeglio Ciampi, allora presidente del Consiglio e poi presidente della Repubblica: la strage di 5 persone del maggio 1993 all’Accademia dei Georgofili di Firenze e le bombe che esplosero quasi contemporaneamente a San Giorgio in Velabro e a San Giovanni in Laterano a Roma causando altri 22 feriti, furono sicuramente eseguite dalla mafia, ma videro coinvolti anche pezzi deviati dello Stato che ne disegnarono la regia.
Al di là del relativo sconcerto davanti alla conferma di connivenze tra malavita e parti deviate di istituzioni, relativo perché da sempre se ne sussurrava, ma mai lo si era detto chiaro e forte, e al di là del disagio causato dal rendersi conto che ci sono voluti 17 anni perché queste verità fossero portate a galla da persone, pur degne, che sapevano e che avrebbero dovuto parlare prima, la cosa che più lascia senza fiato è che anche questi fatti continueranno a restare avvolti dal mistero e non perché non si riuscirà a dipanare la matassa di complicità e di connivenze, ma perché non si lascerà neppure cominciare l’opera di chiarificazione.
Il Pd domanda che si vada fino in fondo alla questione, i Verdi presentano una denuncia alla Procura di Roma. E il Pdl che fa? Per bocca dell’ineffabile Fabrizio Ciccitto, dice un no netto perché, afferma, è una «caccia alle streghe» e un tentativo di «ricreare nel Paese un clima giustizialista».
Ma cercare la verità su fatti terribili che non sono opinione, ma realtà è una caccia alle streghe? Tentare di capire chi ha davvero gestito la strategia della tensione e chi ha stretto patti con Cosa Nostra è essere giustizialisti? Cercare assassini e mandanti non è una cosa che ogni Stato, anche non tanto libero e non tanto democratico, dovrebbe fare sempre?
Questa è davvero la prova che in realtà la legge contro le intercettazioni non disdegna di mettere il bavaglio alla stampa, ma che il suo scopo principale è quello di mettere le manette alla magistratura.

venerdì 14 maggio 2010

Felicemente isolato

In un momento di dilagante sfiducia è davvero gratificante trovare almeno alcuni motivi per essere contenti e oggi per questa personale rasserenazione devo ringraziare direttamente Renzo Tondo e Silvio Berlusconi.
Il primo, intervenendo nella polemica legata ai manifesti sponsorizzati dal Comune di Udine per la giornata mondiale contro l’omofobia, dice che Honsell ha isolato politicamente il capoluogo del Friuli. Neppure gli passa per la testa che l’isolamento in un mare di amministrazioni targate Pdl e Lega possa essere una bella cosa, apprezzata da un buon numero di cittadine e cittadini. Anzi, probabilmente dalla maggioranza degli udinesi, visto che sono stati loro a eleggere Honsell.
Neppure è assalito dal sospetto che parlare di isolamento di questo comune è una specie di autoaccusa perché lascia capire che la Regione da lui presieduta si comporta diversamente – probabilmente anche a livello di contributi – quando deve trattare con le amministrazioni di centro-destra rispetto a quando deve farlo con quelle di centro-sinistra.
Il secondo motivo di gioia è dato dalla frase di Berlusconi che, parlando degli ultimi scandali legati al costruttore Anemone, ha detto: «Licenzierò chi ha sbagliato». Non dice «indurrò alle dimissioni», o «espellerò dal partito», o «additerò anch’io al pubblico ludibrio». No! Dice proprio «Licenzierò», confermando così che ministri, sottosegretari, senatori, deputati, eletti e designati vari (anzi, nella maggior parte dei casi queste ultime due categorie coincidono) in tutte le amministrazioni sparse per la penisola sotto il simbolo del Pdl, lui li ritiene null’altro che dipendenti.
Grazie, dunque, a Tondo e a Berlusconi: mi hanno fatto rendere conto di quanto sia felice di essere isolato.

martedì 11 maggio 2010

Quando la cultura dà fastidio

Devo ammettere che mi stupisco per come riescano a stupirmi ancora le immancabili prese di posizione di esponenti del centro-destra e della Lega contro le manifestazioni culturali, che quasi sempre hanno successo anche perché permettono a molta gente di evadere da quella prigione televisiva di squallore urlato ed esibito che è stato realizzato dapprima da Mediaset e che poi ha ampiamente contagiato e corrotto anche le reti Rai.
A leggere le dichiarazioni di Massimo Blasoni (Pdl) e di Pietro Fontanini (Lega) contro vicino/lontano cadono le braccia. Non tanto per la loro pochezza, ma per la tristezza che l’Italia sia scesa tanto in basso da poter eleggere personaggi simili: «Si è rivelata più una kermesse politica che una manifestazione culturale». È stato «l’ennesimo palcoscenico attraverso cui fare politica mascherata da cultura». «Non ci può essere alcun dibattito quando le prese di posizione degli invitati sono a senso unico». «Sempre gli stessi ospiti, tutti schierati e lontanissimi dal sentire della gente comune». Sono queste alcune frasi pronunciate dai due brillanti esponenti della destra.
Allora, per prima cosa, è evidente che in loro manca totalmente la coscienza che tutto nella vita è fare politica e, quindi, anche il fare cultura è fare politica. Loro sono convinti che fare politica sia soltanto esercitare – e auspicabilmente senza essere disturbati – il potere che viene dato dai voti e che, quindi, il fare politica sia riservato soltanto a chi ha vinto. Non sono neppure sfiorati dal sospetto che la base della democrazia consista nel fatto che non sempre la maggioranza – qualunque maggioranza sia – è contemporaneamente anche nel giusto.
Ove queste due categorie coincidessero sempre, non ci sarebbe più motivo per andare alle urne e, infatti, tutte le dittature hanno sempre messo in pratica questa inevitabile conseguenza alla loro convinzione di essere sempre dalla parte del giusto.
Molto interessante, poi, è il concetto del dibattito che, evidentemente deve essere quello al quale ci hanno abituato i talk show: un urlio continuo e sgangherato in cui vince non chi ha più idee, ma chi ha più voce. Il dibattito vero a loro fa orrore e lo evitano scientemente salvo poi lamentarsi perché non ci partecipano.
Basterebbe pensare a come hanno ridotto il povero e glorioso Mittelfest da quando se ne sono impadroniti. Un esempio per tutti: l’incontro dedicato a Gladio in cui gli ineffabili gladiatori hanno potuto atteggiarsi a eroi salvatori della patria e nel quale nessuno ha potuto ricordare che è stato appurato senza dubbio alcuno che è stato da uno dei loro nascondigli di armi – quello di Aurisina - che è uscito l’esplosivo che ha dilaniato i carabinieri a Peteano.
Padoa Schioppa, riferendosi a vicino/lontano, ha detto: «Manifestazioni come questa sono la risposta più bella all’indifferenza; sono un seme di cittadinanza fecondo». E prima o dopo, anche se a Blasoni e a Fontanini darà molto fastidio, quel seme finirà per dare frutti non solo di cittadinanza, ma anche e soprattutto di umanità nei confronti dei più deboli e di chi non è esattamente come noi.

giovedì 6 maggio 2010

Proporzionale e maggioritario

Riservandomi di tornare in seguito su quella benedetta ventata di passione che sta nuovamente innervando alcuni leader del Pd (può portare alla maleducazione, ma davanti all'illegalità e alla spudoratezza la maleducazione è il male minore), oggi, 6 maggio, vorrei collegarmi a un ricordo del terremoto del 1976, o, per essere più precisi, a quell’unione unica tra tutte le parti politiche che ha permesso il successo della ricostruzione e che non mai più avuto neppur pallide imitazioni nemmeno nei momenti più gravi.
Il dubbio che mi viene è – diciamo così – più antropologico che politico e riguarda la reale capacità di noi italiani di adattarci a un sistema maggioritario e bipolare. È un dubbio che nasce, appunto, ripensando alla concordia di intenti creatasi in quegli anni tra tutte le parti politiche, anche con quelle che non facevano parte di quello che allora era ancora chiamato “l’arco costituzionale”.
Forse l’avvicinarsi tra parti lontane fu facilitato dall'abitudine alla continua opera di ragionamento e smussamento degli spigoli più vivi ai quali costringeva il sistema proporzionale che obbligava anche a pensare e ragionare almeno un po', prima di dichiarare. Oggi quello maggioritario induce, invece, a confronti netti e a irrigidimenti spesso pregiudizialmente incapaci di ascoltare non soltanto la parte politica opposta, ma addirittura la voce della porzione di popolazione che a quella parte fa riferimento.
Io non credo che il valore della governabilità, in nome del quale è stato scelto il maggioritario, sia un valore al quale tutto si debba sacrificare, anche grandi porzioni di democrazia. Tenendo poi presente che il massimo della governabilità è sempre stato rappresentato da una dittatura monocratica.
Una precisazione: al referendum tra proporzionale e maggioritario ho votato per il maggioritario. So benissimo che il mio voto da solo è stato ridicolmente ininfluente sul risultato finale, ma continuo a pentirmi di avere votato così: lo considero un terribile errore di valutazione.

domenica 2 maggio 2010

Le accuse e la reazione

Un solo, breve pensiero dopo aver visto l'almeno parzialmente condivisibile requisitoria di Marco Travaglio contro il Pd e l'appassionata difesa effettuata da Pierluigi Bersani davanti alle telecamere di Annozero. Ebbene, a prescindere dalle argomentazioni pro e contro, la cosa che mi sembra più importante è stata la reazione del segretario: non arrabbiata, ma indignata e appassionata, desiderosa di far vedere cose che forse non si erano notate, orgogliosa di un lavoro che non ha ancora dato grandi frutti, ma che è proceduto onestamente e con impegno per seguire una strada fatta da valori che poco appaiono sugli schermi televisivi, ma che sono pilastri fondamentali nella filosofia politica e sociale del centrosinistra.
Credo si debba ringraziare profondamente Travaglio per avere innescato questa reazione che, però, è stata totalmente diversa da quella vista nei maggiorenti politici dopo l'attacco di Nanni Moretti a piazza Navona. Non è stata una difesa di sé, ma delle proprie idee e della propria condotta.
E quando si finisce di parlare di sé e si riprende a parlare di idee e lavoro con una passione che fa vibrare la voce, tutto sommato la speranza di tornare a far presa sui milioni che non vanno più a votare perché totalmente disillusi tortna a fare capolino.
Forse è poco, ma davanti al nulla assoluto di qualche giorno fa è già molto. Adesso tocca a noi riuscire a dimostrare che siamo disposti a indignarci e a lavorare. perché accusare soltanto i vertici e non noi stessi è l'errore più drammatico che si possa fare.