mercoledì 20 gennaio 2010

Diritti e privilegi

Ho letto con interesse l’intervista fatta al segretario regionale della Cisl, Giovanni Fania: su molte cose mi sono trovato perfettamente d’accordo con lui, mentre su altre vorrei effettuare dei distinguo.
Mi pare ineccepibile, per esempio, contestare il fatto che «quando le cose vanno bene gli utili restano all’impresa e quando vanno male il prezzo lo pagano i lavoratori».
Molto d’accordo sono anche quando sostiene che in questa regione il 2010 rischia di diventare una tragedia per 20 mila persone tra over 45, donne e immigrati. Ma ci aggiungerei anche i giovani che, per la quasi totalità, non riescono più a trovare né lavori attinenti agli studi da loro fatti, né stipendi degni di questo nome.
Ma c’è un punto sul quale proprio non mi riesce di essere d’accordo. Quello in cui, parlando della spesa sanitaria, Fania dice che «è solo demagogia illudere la gente che tutto va garantito a tutti». Non voglio discutere sul concetto di base: io sono convinto che ogni uomo abbia il diritto di essere curato al meglio; lui evidentemente no, ma ne ha tutti i diritti. Desidero soltanto fare un appunto sull’uso delle parole: quando un “diritto” non tocca tutte le persone, bisogna chiamarlo con il suo nome vero che è “privilegio”.
Ognuno ha diritto a pensarla come vuole, ma ci sia risparmiata, per favore, l’ipocrisia.

domenica 17 gennaio 2010

Le vacanze e le necessità

Guardi la tv e capiti su un blocco di pubblicità che si conclude con uno spot che parla di “buoni vacanze” e vedi una famiglia triste per la crisi che improvvisamente sorride e sparisce in un vortice, presumibilmente verso lidi lontani. La scenetta si conclude e si vede che si tratta di uno dei tanti spot istituzionali – questa volta firmato dal ministero del Turismo – di cui il governo abbonda per farsi pubblicità soprattutto nell’imminenza degli appuntamenti elettorali.
Questa volta, però, in periodo di crisi sempre profonda, la cosa appare davvero surreale, tanto da indurre ad andare sul sito internet del ministero interessato per vedere se non si tratta di uno scherzo di dubbio gusto. E invece è tutto vero.
Apri il sito ad appare lei, il ministro Maria Vittoria Brambilla con quella chioma di un improbabile arancione carico, con quel suo sorriso ingessato e con un telefono appoggiato tra spalla e orecchio a dimostrare che ha sempre tantissimo da fare, ma che un istante di tempo per guardare un elettore in qualche modo riesce a trovarlo.
E vicino a lei scorre un testo che comincia con «Cari italiani, sono lieta di potervi comunicare che è diventato finalmente esecutivo il decreto da me varato che stabilisce l’erogazione di “buoni vacanze” da destinare alle famiglie disagiate». E poi continua tra varie amenità come quella che sottolinea che queste famiglie disagiate potranno «trascorrere momenti di relax e di riposo a un costo ridotto» e conclude trionfalmente: «Una vera e propria azione concreta al servizio delle molteplici esigenze della famiglie italiane».
E allora capisci che lo scherzo - che non fa assolutamente ridere - non consiste nello spot, ma nel fatto che il presidente del consiglio abbia preteso che a sedere su una poltrona ministeriale andasse una simile persona, incapace di capire che i denari a disposizione dello Stato, in un momento in cui ci sono milioni di italiani che stanno tirando la cinghia, mentre centinaia di migliaia di cassintegrati tra pochi mesi diventeranno disoccupati, dovrebbero essere utilizzati in altro modo e non per finanziare vacanze. Incapace di avere la sensibilità per capire che forse quel “relax” non è tanto facile da raggiungere se manca il lavoro e se vacilla la fiducia nel futuro per se stessi e soprattutto per i propri figli.
Ma forse la Brambilla è ancora sintonizzata sulle precedenti parole del “capo”, quando negava che esistesse la crisi e che la colpa era tutta dei pessimisti. Qualcuno dovrebbe avvertirla che anche Berlusconi ha dovuto ammettere, per giustificare l’ennesima promessa non mantenuta sul taglio delle tasse, che la crisi invece c’è.

domenica 10 gennaio 2010

Da Rosarno alla cassa integrazione

Quello che è accaduto a Rosarno travalica ampiamente i confini della politica - o almeno di quella politica alla quale siamo abituati in Italia - per invadere gli spazi dell'etica. E quello che ne traiamo riguardo alla nostra nazione non è certamente consolante visto che sono in tanti a non voler vedere che se la polizia ha difeso gli immigrati vuol dire che sono stati gli italiani ad aggredire; visto che i ministri di questo governo sanno soltanto dire che bisogna essere «meno tolleranti», con i più deboli ovviamente; visto che, mentre tutti avevano parlato di cosche fin dal primo scontro, soltanto in un secondo momento i nostri politici hanno ammesso che forse la 'ndrangheta c'entra qualcosa.
E d'altro canto è quello stesso Paese che difende i tifosi veronesi che ululano appena Balotelli tocca la palla giustificandoli con il fatto che il giovane giocatore interista è antipatico. Ovviamente è soltanto una combinazione che lo stesso trattamento non venga riservato ad alcun giocatore di pelle bianca, tutti notoriamente simpaticissimi, e che invece tocchi, sia pure con intensità leggermente minore, a quasi tutti coloro che hanno la pelle "abbronzata" come direbbe il presidente del consiglio di questa Italia.
E, d'altro canto, questo è il Paese in cui il governo si gloria del fatto che la percentuale di disoccupati italiani è tra le minori dell'intera Europa, ma tace, eppure lo sa benissimo, che contemporaneamente ci sono centinaia di migliaia di lavoratori in cassa integrazione e che questi tra qualche mese, a esaurimento della cassa stessa, andranno ineluttabilmente a ingrossare a dismisura il numero dei disoccupati.
O forse, a quel punto, il governo dirà che sono i lavoratori italiani a volere la disoccupazione rifiutando di andare a sostituire gli immigrati, che da Rosarno se ne sono andati, nella raccolta dei pomodori. Eppure la paga è allettante: 20 euro per dieci ore di lavoro; netti, però, visto che si tratta di lavoro nero. E ci sono anche vitto e alloggio: avete visto che intriganti catapecchie servono da dormitori?
Ma in tutto per la mentalità di questa Italia importante è ciò che appare, non ciò che è.

martedì 5 gennaio 2010

Delega impossibile

Il problema è semplice. O ci rassegniamo a veder scomparire i valori di riferimento in cui per una vita abbiamo creduto, oppure ci impegniamo per difenderli. Delegare ad altri questo dovere non funziona più. Ammesso che, vista la situazione in cui siamo, abbia mai funzionato.
Il fatto è che, in quella che viene definita l’opera di semplificazione, si tendo a ridurre gli elementi di qualsiasi panorama. In quello dei valori, l’unico rimasto sembra essere quello del denaro. Prendiamo alcuni esempi di questi giorni.
L’ospedale di Udine ha come suo massimo obbiettivo per il 2010 quello di ridurre i costi riducendo ancora una volta i giorni di degenza. Poi i malati spesso si lamentano, talvolta protestano e in qualche occasione fanno causa perché sono mandati a casa ancora in condizioni di sofferenza che magari li costringe di nuovo a farsi curare? Non è importante: all’ospedale, inteso come amministrazione, interessa di più curare i bilanci che gli ammalati. I medici sono di parere opposto? Sono dipendenti che devono comunque obbedire, anche se la maggior parte di loro si sente a disagio.
Il comune di Visco ha bisogno di fare cassa e cosa escogita? Semplice: riesce a farsi passare dallo Stato la proprietà della caserma Sbaiz e la mette in vendita al miglior offerente. Quello è l’unico campo di concentramento fascista ancora in piedi in Italia? E chi se ne importa: anche la memoria ha un prezzo. E poi, dicono in comune, se proprio ci tenete, potremmo stanziare i soldi per una bella targa da sistemare da qualche parte in quello che prenderà il posto della caserma.
La politica nazionale continua a lasciarci esterrefatti. Nel Lazio, come in Puglia, il Pd non riesce a sciogliere le beghe interne per la candidatura alla Regione e, piuttosto che ammetterlo, parla di ricerca di contenuti e non di nomi. E noi che pensavamo che fossero proprio i contenuti le basi fondanti di un partito.
E l’Udc? Tuona contro Vendola perché “no global” (chissà da chi l’avranno saputo), ma non si sentono particolarmente a disagio nell’allearsi qua con il centro destra e là con il centrosinistra. Senza contare che spesso riescono anche ad allearsi con i razzisti della Lega.
E, per concludere, Brunetta propone di abolire l’articolo 1 della nostra Costituzione. Una boutade tra il violento e lo sciocco a cui ci ha abituato? Può essere, ma il sospetto è che lo mandino avanti per vedere quali sono le reazioni degli altri. E le prime reazioni sono state sconfortanti visto che molti si sono affannati a dire che sul resto sono disposti a mediare, ma, per favore, la prima parte della Costituzione lasciatela così com’è.
Ma vi pare davvero che si possa delegare agli altri la difesa dei valori in cui crediamo. Sempre che ci crediamo, ovviamente.

venerdì 1 gennaio 2010

L’Iran non è lontano

È curioso e drammatico vedere come la cosiddetta globalizzazione abbia accorciato e quasi annullato le distanze tra i capitali finanziari e allungato a dismisura quelle tra gli uomini. Una volta – non secoli, pochi decenni fa – succedeva esattamente il contrario.
Prendete quello che sta accadendo nell’Iran dove un regime dittatoriale che nasconde il proprio marciume e la propria crudeltà dietro supposte volontà divine sta facendo stragi dei suoi avversari politici, confinandone alcuni, arrestandone molti altri, soprattutto parenti di coloro che più teme e che più desidera poter ricattare, ammazzandone alcuni per strada durante la repressione delle manifestazioni, uccidendone di più in carcere e dichiarando tranquillamente che gli oppositori saranno messi a morte.
L’Iran è lontano, si dirà. Non è così: l’Iran è vicino come era vicino il Cile nei primi anni Settanta, come lo era l’Ungheria nel 1956, come lo era Praga nel 1968. Siamo noi a essere distanti. Siamo noi a non capire più che la democrazia, ma soprattutto la libertà, rischiano la morte dappertutto se in qualche posto può essere cancellata senza troppi problemi.
In altri tempi si scendeva in strada a protestare con la piena coscienza che ben difficilmente le proteste delle nostre città avrebbero potuto smuovere i dittatori – di destra o di sinistra che fossero – ma lo si faceva sia per salvaguardare la propria dignità umana, sia per fare pressione sui nostri governanti che, a loro volta, potevano sentirsi maggiormente pungolati a intervenire a livello internazionale nella sempre difficilissima difesa dei perseguitati.
Oggi c’è un diffuso e terribile silenzio che fa pensare che dell’Iran non importi nulla a nessuno. E, invece, dovrebbe interessare a tutti perché la libertà degli iraniani è la stessa libertà di ogni altri cittadino del mondo.
Sarebbe il caso di dimostrarlo con i fatti. Proviamo a ricordarci che scendere in piazza non è ridicolo: è doveroso.