giovedì 10 settembre 2009

PD 5 - Pensieri e parole

Dopo aver parlato di come vorrei che fosse il Pd, adesso comincio a dire cosa vorrei che facesse.
Ripeto quello che ho già detto nel primo di questi piccoli ragionamenti che non riescono a trovare né apprezzamenti, né contraddittori scritti (ringrazio, a proposito, Simonetta Cortolezzis), anche se quelli parlati, detti di persona non sono mancati: il mio intento non è quello di imporre alcunché al Pd (sarebbe assurdo), ma semplicemente di esplicitare quelli che secondo me e molti altri che hanno avuto passione politica, pur senza sottoscrivere tessere, sono delle scelte fondamentali perché il partito possa coagulare attorno a sé e far tornare a votare molti delusi, e perché abbia maggiori possibilità di allacciare alleanze con una sinistra che prima o dopo dovrà finirla di cullare quel “cupio dissolvi” che la sta togliendo dalla vita del Paese.
Una delle cose che più si desidererebbe è sicuramente quella di tornare a sentire prese di posizioni nette davanti ad avvenimenti e a scelte del governo che, invece, riescono a passare quasi sotto silenzio. L’accusa non è quella di mancanza di pensiero, perché poi, nelle riunioni e nelle chiacchiere i ragionamenti escono chiari e netti; l’accusa è che ai pensieri non seguono le parole in una continua attenzione a non sbilanciarsi per non scoprire il fianco né di fronte agli avversari esterni, né davanti a quelli interni.
Un esempio? Ho atteso invano che la maggior parte del partito insorgesse davanti alle frasi più volte ripetuta da organismi economici internazionali, governo e Confindustria che la crisi – riassumo in maniera grezza – è ormai quasi conclusa e che comincia la risalita economica, ma non per il lavoro che, invece, continuerà a reclamare vittime anche nel 2010.
Quello che mi sarei aspettato da sentire – e con voce indignata e magari anche sopra le righe – dalla maggior parte dei dirigenti del Pd è che questa dichiarazione è stupida e, quindi, inaccettabile. Come si può parlare di crisi finita, se la gente continua a perdere il lavoro, se sempre più famiglie non riescono più a far fronte a debiti e mutui, se non riescono ad arrivare a fine mese?
Attenzione: la mia non è un’affermazione comunista che fa rivivere antiche e non risuscitabili lotte di classe. È anche una considerazione di schietto capitalismo, di quel capitalismo economico, ben s’intende, che si basa sull’incremento della produzione di beni materiali e di servizi, e non di quel capitalismo finanziario che si fonda, invece, esclusivamente sulla circolazione di denaro fittizio e sulla creduloneria di tantissime persone che spesso credono di avere a che fare con persone serie e invece si trovano davanti a truffatori in giacca e cravatta.
Se non c’è lavoro la crisi non può passare perché non ci sono stipendi, quindi, non ci sono i mezzi per far girare quel mercato che, in una società come la nostra, è l’unico propellente possibile per lo sviluppo. Molti lo dicevano anche quando gli imprenditori cominciavano a delocalizzare: sono stati accusati di comunismo e oggi si vede che erano semplicemente persone capaci di ragionare con la loro testa. Oggi quel messaggio andrebbe ripreso.
E il Pd dovrebbe farlo non soltanto per il mercato, ma per ogni uomo e ogni donna di questa Italia perché il lavoro non significa soltanto stipendio, ma anche dignità e coscienza di essere utile a se stesso e agli altri.

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