giovedì 27 agosto 2009

Lo storico e il bugiardo

Tutti coloro che hanno voglia di parlare devono averne la possibilità, ma tutti coloro ai quali può accadere, anche per caso, di trovarsi ad ascoltare hanno l'incontestabile diritto di sapere bene chi hanno di fronte.
Dunque, quello di David Irving è un falso problema: ha tutto il diritto di parlare, ma, per rispettare i diritti della comunità, c’è il dovere di presentarlo con il titolo che gli spetta di diritto: quello di bugiardo e non certamente quello di storico, magari seguito da quel termine "negazionista" che sembrerebbe lasciare aperto uno spiraglio alle sue aberranti tesi sul fatto che la shoah non è mai esistita. Aberranti non perché di ispirazione squisitamente nazista – e già questo potrebbe bastare ad abundantiam – ma in quanto del tutto inventate com’è ampiamente dimostrato da testimonianze, confessioni, scritti, fotografie, filmati, documenti di ogni parte. E anche da sentenze che lo hanno condannato in più Paesi.
Insomma, Irving non è uno storico, ma un bugiardo. Ed è ridicolo, ma anche avvilente, vedere che alcuni si ergono a paladini del suo diritto a parlare. Si capisce che “La Destra” lo abbia invitato a Udine, anche se ovviamente non approvo. Si capisce – e quasto lo approvo incondizionatamente – che il sindaco Honsell non permetta che sale comunali siano insozzate da un simile personaggio. Molto meno si può capire che ci sia chi parli di libertà violate e non si preoccupi che qualcuno possa anche finire per credere a bugie conclamate.
Impossibile? Basta pensare che c’è qualcuno che sostiene che Gladio è stata un’associazione di patrioti che non si è mai macchiata di alcun reato. E che purtroppo c’è chi ci crede, sia perché non sa che l’esplosivo che ha dilaniato i carabinieri a Peteano proveniva da un deposito di armi appartenente a Gladio, sia perché nessuno – e personalmente ne sento un profondo rimorso – è andato lì a sbugiardarli con in mano una sentenza definitiva.
È un errore che non bisogna commettere più. Gli storici possono anche sbagliare nelle loro valutazioni. I bugiardi – e Irving lo è – sanno benissimo quello che dicono e perché lo dicono.

sabato 8 agosto 2009

Ma perché solo a settembre?

Una buona notizia c’è. A vedere Berlusconi convocare improvvisamente una conferenza stampa tutto solo, senza nessuno dei suoi fidi o dei suoi viscidi vicino, si capisce che anche lui comincia a sentire che la sua sedia non è più così stabile. Poi può anche passare 45’ a raccontare i suoi sognati successi, altri 2’ a rispolverare l’editto bulgaro per scagliarlo questa volta contro il Tg3, e 30” per dire che lui anche sul piano familiare non ha nulla da rimproverarsi. Ma il dato di fatto è che quel signore si è mosso perché aveva da offuscare il rifiuto della Bce alla tassa sull’oro di Bankitalia, le prime conclusioni della magistratura sulla cocaina che girava alle feste di palazzo, e perché questa volta neppure lui è sicuro che l’Italia saprà inghiottire altri rospi sempre più pesanti che diventeranno indigeribili quando la crisi – per lui inesistente – farà restare chiuse altre industrie a settembre, con il corollario di altre migliaia di posti di lavoro in meno.
Per me – e non solo perché faccio il giornalista – è indigeribile anche l’attacco al Tg3 che ha il torto di non celebrare sempre i suoi pretesi trionfi. Un attacco che segue di due giorni la lezione di giornalismo sportivo in cui ha spiegato che non si può scrivere male della squadra che si segue, perché altrimenti i lettori tifosi non leggeranno più.
Due attacchi al concetto stesso di giornalismo che spiegano meglio di mille articoli come tra Berlusconi e il concetto di democrazia non ci sia neppure il minimo contatto, perché la democrazia non può esistere senza libertà di conoscenza, di pensiero, di parola, di scrittura, di giudizio, di dissenso. Il suo modo di fare mi fa ricordare un’amara frase di Paul Ginsborg: «La legalità impediva la vita normale».
Dario Franceschini ha detto che è ora di finirla con gli attacchi alla libertà di stampa e che se Berlusconi continuerà così a settembre bisognerà chiamare in campo la società per rispondergli a tono. Benissimo. Ma perché a settembre e non subito? Forse le soperchierie vanno in vacanza? Forse il lusso di una vacanza etica e sociale possiamo prendercelo noi?
Ha detto: «Non è più sopportabile che la Rai, con i soldi pubblici, attacchi il governo». Io ritengo che non sia più sopportabile che con i soldi pubblici Berlusconi distrugga nella sostanza e nell’immagine l’Italia.

venerdì 7 agosto 2009

Chi guadagna e chi paga

Sono certo che in qualunque altro Paese del mondo quello che sta accadendo alla Rai avrebbe destato grande scalpore e avrebbe costretto alle dimissioni il direttore generale della Rai, Mauro Masi, fedelissimo di Berlusconi, e, con lui, i responsabili della scelta di non rinnovare il contratto di RaiSat su Sky.
La vicenda ha fatto intervenire criticamente il presidente della Repubblica Napolitano, ha suscitato le proteste di tutti i sindacati presenti in Rai, ha animato le discussioni parlamentari, ma nell’opinione pubblica non è riuscita a fare presa, come se si trattasse di cosa che non ci riguarda, se non marginalmente.
Può non interessare che nella sorda guerra mediatica che oppone Berlusconi a Murdoch, il padrone di Mediaset abbia fatto togliere al concorrente tutta una serie di canali che gli portavano un bel po’ di contatti e collegamenti?
Può non interessare che il fedele servitore di Berlusconi abbia deciso – in contrasto con il presidente della Rai Paolo Garimberti e il presidente della Commissione di vigilanza Sergio Zavoli – di togliere potenzialità alla Rai favorendo così ancora una volta Mediaset?
Può non interessare che la Rai, con questa decisione di Masi, nei prossimi sette anni non incasserà più da Sky 474 milioni di euro (50 l’anno per la trasmissione dei canali RaiSat sulla piattaforma Sky, 7 l’anno dei proventi pubblicitari ricavati dalla Rai su Sky, 75 in totale sui prodotti cinematografici distribuiti da RaiCinema)?
Eppure, almeno per quest’ultima domanda, dovremmo ricordarci che questi sono soldi della comunità, e quindi anche nostri, che dovremo ripagarli con le tasse e che quando la Corte dei Conti, come è già successo con altri servitori dell’attuale presidente del consiglio, condannerà l’azienda per questo comportamento, a pagare non saranno né Masi, né Berlusconi, ma sempre la Rai, cioè ancora una volta noi.
È dai tempi di Craxi che Mediaset guadagna e i cittadini pagano. Non sarebbe ora di finirla?