martedì 26 maggio 2009

Laicità e dogmatismo

Don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana scrive che il presidente del Consiglio non può avvalersi del Lodo Alfano in campo etico. «Non esiste per nessuno – sono le sue parole esatte – l’immunità morale». E le sue parole sono sposate in toto da padre Bartolomeo Sorge, direttore di Aggiornamenti sociali, il mensile dei gesuiti.
Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, si rivolge al governo presieduto dallo stesso Silvio Berlusconi sottolineando che «Troppo spesso nell’attuale difficile congiuntura economica, i lavoratori sono stati scaricati come fossero un’inutile zavorra, una qualunque merce di scambio sottoposta alla legge della domanda e dell’offerta. Non è accettabile una concezione meramente mercantile del lavoro umano» e chiedendo subito dopo «un fisco più equo e più attenzione per la fascia dei precari» per i quali sono previsti degli «ammortizzatori sociali davvero modesti». Niente di strano visto che la Chiesa annovera tra i peccati più gravi, tra quelli di «straordinaria malizia che gridano vendetta al cospetto di Dio», l’«oppressione dei poveri» e il «defraudare della mercede gli operai».
Visto il risalto che l’attuale maggioranza di governo ha dato alle parole della Chiesa, esaltandone il magistero, quando questa si è scagliata contro testamento biologico, fecondazione artificiale, uso delle cellule staminali, si sarebbe stati portati a credere che anche in questa circostanza i fedeli del Cavaliere avrebbero ripetuto ossessivamente le parole di prelati e sacerdoti. E, invece, nulla. Di tutto questo i tre telegiornali di Mediaset , il Tg1 e il Tg2 non hanno detto nulla, o hanno affogato un breve cenno delle parole della Chiesa tra una notizia e l’altra, avendo cura di non far capire molto. I giornali, invece, tranne quelli di famiglia e di bottega, ne hanno parlato diffusamente, ma si sa che l’impatto delle televisioni è nettamente più forte. E il silenzio più totale si è registrato anche da parte dei portavoce del presidente del Consiglio, dagli autodefiniti devoti, pii o atei che fossero, da tutti coloro che fino a poco fa chiamavano la Chiesa in causa per far credere che a sinistra esistesse soltanto il regno di un ateismo sordo a ogni richiamo morale.
Al di là delle considerazioni sulla scarsissima coerenza dei più vicini al cavaliere, credo che questa sia un'ottima occasione per richiamare alla memoria il significato di laicità. Perché laicità e fede non si oppongono pregiudizialmente; perché laico può essere il credente e il non credente, e perché entrambi possono esprimere, invece, il più vuoto dogmatismo. Laico è il credente non superstizioso, aperto alla ricerca, agli interrogativi, desideroso di confrontarsi con tutti, anche con coloro che si dicono non credenti. E così è laico ogni non credente che sviluppa senza assolutizzazioni il proprio relativo punto di vista, la propria ricerca e il proprio dialogo anche con il credente. Laicità, poi, è il contrario di opportunismo.
Che inoltre il dogmatismo legato alla Chiesa abbia comunque uno spessore ben diverso da quello preteso da un uomo che si crede al di sopra delle regole che toccano agli altri, mi sembra talmente evidente da non meritare ulteriori  commenti.

domenica 17 maggio 2009

Il reato e la colpa

Premetto che non conosco Jennifer Millia: non so neppure che faccia abbia. E che non intendo assolutamente dare l’idea di voler influenzare un giudizio che non spetta a me. Vorrei soltanto approfittare di queste fotografie che ritraggono personale sanitario sorridente accanto a pazienti gravi e inconsapevoli di quello che sta accadendo accanto a loro per cercar di distinguere tra la gravità del reato e la colpa di chi lo ha commesso.
Sulla gravità del fatto non si discute, ben al di là di quanto prescriva la legge sulla privacy. È pur vero che non stiamo parlando né di imperizia, né di incuria, ma la gravità dell’azione è assoluta perché le foto sono state scattate vicino a persone in possibile fin di vita e neppure la familiarità con la morte e con la sofferenza, con cui medici e infermieri sono costretti a convivere quotidianamente soprattutto in certi reparti, può cancellare il rispetto per gli altri. Non è possibile che i degenti perdano il loro valore di esseri umani e diventino soltanto parte dello sfondo di un ambiente di lavoro.
Ovviamente non mi sogno minimamente di dire che medici e infermieri, pur nella sofferenza in cui sono immersi, non debbano mai sorridere, non debbano mai parlare di altre cose, non cerchino di darsi una parvenza di normalità. Anzi, al di là delle necessità lavorative, medici e infermieri devono vivere il più possibile normalmente perché altrimenti la loro psiche finirebbe per esserne compromessa.
Però – sempre secondo me – certe ostentazioni vanno al di là del lecito: sorridere, fare gesti scherzosi, mettersi in posa e farsi fotografare mentre nella medesima immagine si vedono anche volti di persone che potrebbero essere agli ultimi atti della loro vita resta comunque qualcosa di non accettabile.
E il fatto che magari, per puri scopi di sopravvivenza, questo diventi un ostentato modo di essere non è certamente un’attenuante se non, forse e parzialmente, per chi, da poco entrato, inconsciamente si senta obbligato ad assumere le abitudini dei colleghi per sentirsi accettato dal gruppo.
Jennifer, quindi, molto probabilmente ha accettato, assorbito e replicato un modo di fare che già c’era e a questo punto viene logico chiedersi cosa abbia fatto l’Azienda ospedaliera per prevenire ed evitare comportamenti di questo genere, quanto abbia saputo dare ai propri dipendenti codici comportamentali che evidentemente la società non è più in grado di fornire.
Ma c’è un’altra colpa di cui Jennifer è apparentemente responsabile: quella di essersi accostata a mezzi così potenti come internet e Facebook senza saperli dominare, senza essere capace di restringere a un ristretto gruppo di amici – così ha detto che avrebbe voluto fare – un album di una cinquantina di immagini che invece è finito in pasto al mondo intero.
Dico “apparentemente responsabile” perché in realtà la colpa è nostra, dell’intera società, di una società che ha perduto la coscienza che il progresso tecnico è buono soltanto se governato con l’intelligenza perché, in caso contrario, è il progresso a diventare padrone e l’uomo schiavo. E di questo abbiamo prove ogni giorno e non soltanto nel mondo del lavoro, anche se è il più esposto a rischi di questo tipo.
Ci siamo consegnati, mani e piedi legati, ai computer perché ci era comodo pensare che grazie a programmi ben costruiti potevamo, da un momento all’altro, diventare fotografi, artisti, ingegneri, architetti, impaginatori, scrittori, registi, ragionieri e praticamente tutto quello che volevamo. Era comodo pensare che non occorressero più sacrifici per raggiungere una qualsiasi meta. E, del resto, questo si inserisce alla perfezione in una società che proclama incessantemente che ottenere il risultato è l’unica cosa che conta, anche se per raggiungerlo è necessario imbrogliare o drogarsi.
E così, alla fine, molti hanno pensato di saper far tutto, mentre, invece, tutti sappiamo fare molto poco. E certi piccoli errori causati dall’ignoranza, dalla sufficienza, o dalla disattenzione, finiscono per diventare catastrofi che alla fine non fanno male soltanto alle vittime, ma anche al colpevole che rischia di veder spazzata via la propria vita per una somma di gravi colpe in totale incoscienza di dolo. Incoscienza sua, non della società in cui il colpevole è cresciuto ed è stato allevato.

giovedì 14 maggio 2009

I numeri del razzismo

Mentre diventano legge le tre vergogne volute dalla Lega e appoggiate da Berlusconi, merita fare alcune considerazioni numeriche sulla realtà dell’immigrazione, dei “respingimenti” e del diritto d’asilo.
Le cifre fornite dagli organismi governativi e da quelli internazionali concordano nel dire che nel 2008 il 70 per cento degli immigrati giunti in Italia attraversando il Mediterraneo ha presentato domanda d’asilo e che di questi il 50 per cento ha ottenuto una qualche forma di protezione. Cioè, per dare una dimensione reale alla decisione di Maroni di rimandare in Libia chi da lì è fuggito, statisticamente tra i primi 500 migranti oggetto dei respingimenti italiani, 350 persone avrebbero chiesto asilo e a 175 questo sarebbe stato concesso dalle commissioni preposte: 175 persone alle quali è stato negato un diritto fondamentale che avrebbero avuto e che è stabilito dagli accordi internazionali e dalla Costituzione italiana. Ma l’attuale presidente del Consiglio – si sa  – pensa alla Costituzione come a un fastidio da superare. Più o meno come il Parlamento con le sue discussioni e i suoi voti.
Ma andiamo avanti con i numeri. Sempre gli stessi organismi attestano che soltanto il 15 per cento di coloro che entrano in Italia attraversano il Mediterraneo, mentre l’85 per cento continua ad arrivare via terra, o con aerei e permesso turistico. E tra questo 85 per cento coloro che chiedono asilo sono percentualmente molto di meno di quelli che sbarcano a Pantelleria o sulle coste siciliane, o perché, come i rumeni, arrivano da Paesi comunitari, o in quanto nei Paesi da dove arrivano ci sono condizioni di grande povertà, ma non di guerra, o di discriminazione etnica, politica, sociale, sessuale o religiosa.
E ora combiniamo questo dato di fatto con un’altra evidenza che arriva dagli organi dello Stato e cioè che tra gli stranieri la maggiore quantità di eventi delinquenziali va ascritta ai romeni seguiti dai rappresentanti di altre popolazioni dell’Est europeo. Mettendo in evidenza questa realtà, ovviamente non intendo demonizzare romeni, albanesi, o moldavi in genere (la generalizzazione è sempre l’anticamera del razzismo), ma vorrei sottolineare un dubbio che sorge spontaneo.
Se la stragrande parte della forza dello Stato viene applicata nel canale di Sicilia e se una nazione come l’Italia calpesta accordi internazionali e leggi fondamentali dello Stato andando incontro consapevolmente alla disapprovazione internazionale (Onu e Unione Europea in testa) per bloccare un flusso di migranti nettamente minoritario rispetto al totale e non particolarmente portato a commettere reati, si è inevitabilmente portati a pensare che coloro che in questo momento governano l’Italia mostrano i muscoli là perché è là che entrano la maggior parte dei musulmani e dei neri. Ed è proprio nei confronti dei musulmani e dei neri che si indirizza quel razzismo che è sempre meno latente e sempre più coltivato come possibile, per quanto orrendo, deposito di voti.
Se i nostri antichissimi valori ci portano a questi modernissimi abissi di illegalità e disumanità, credo che ricordiamo male – come sottolinea anche la Cei – quali sono i valori su cui la civiltà europea si è fondata e si è sviluppata.
Alcuni dicono che dovremmo vergognarci di essere italiani. Credo sia più giusto vergognarsi che siano italiani coloro che hanno proposto e approvato queste leggi.

martedì 12 maggio 2009

Una Costituzione fatta a brandelli

Istintivamente, con il cuore, si sarebbe portati a dare ragione al signor Manzella e dire ad alta voce che «l’Italia non è assolutamente un Paese razzista». Ma se questo fosse vero, allora ci troveremmo di fronte a un paradosso: quello di trovarci in un Paese assolutamente non razzista guidato da un governo razzista.
Perché non altrimenti può essere descritto un governo in cui il ministro degli interni fa bloccare i barconi in mezzo al mare e fa rimandare i poveri migranti da dove sono venuti senza neppure ascoltare se chiedono asilo come loro è assicurato dalla nostra Costituzione. E poi esulta per questa sua illegalità.
Perché non altrimenti può essere descritto un governo in cui il presidente del consiglio dà ragione al suo ministro e aggiunge che l’Italia non è e non dovrà mai essere un Paese multietnico, confermando così, tra l'altro, che molto raramente gira per strade che non siano la ben frequentata via dei Coronari, visto che non conosce l'Italia.
Perché non altrimenti può essere descritto un governo che se ne fa un baffo delle esplicite accuse di inumanità dell’Onu, della Comunità europea, della Conferenza episcopale italiana.
E – mi scusi il signor Manzella – a me riesce molto difficile effettuare dei «distinguo» su questioni di xenofobia, aliofobia e razzismo, soprattutto se i distinguo si basano su discorsi economici derivanti da costosi accordi con Gheddafi, sulla capacità del colonnello di badare ai suoi confini (lo fa sicuramente in maniera più efficace di quanto faccia per sorvegliare il rispetto dei diritti umani), su ragionamenti che fanno identificare «tante volte» la delinquenza con coloro che entrano in Italia perché evidentemente, se la si pensa così, qualche reato può giustificare la sottrazione dei diritti umani nei confronti dei connazionali del delinquente (io questo lo chiamerei proprio razzismo).
L’altra ipotesi è che Berlusconi in realtà non sia razzista, ma vada a solleticare le smanie razziste di una parte dell’elettorato con la paura che dia qualche voto alla Lega sottraendolo a un Partito delle libertà nel quale non tutti sono d’accordo con le tesi del loro leader, ma in cui l’unico che ha il coraggio di alzare la voce e di dire quello che pensa è il presidente della Camera Gianfranco Fini, forse anche perché si sente ormai al riparo dallle ire del capo. Ma anche questa ipotesi non è particolarmente confortante se pensiamo che chi fa questo squallido giochetto elettorale è la persona che decide le sorti del Paese.
E, a proposito del Pdl, un altro paradosso è costituito dal comportamento dei cattolici e dei cosiddetti “atei devoti” al suo interno: sono immediatamente pronti a sostenere a gran voce le tesi dei vertici della Chiesa cattolica quando alza la voce su questioni come il caso di Eluana Englaro, o sulle cellule staminali, sull’inseminazione artificiale, ma diventano improvvisamente sordi e muti quando tuona contro coloro che si comportano in maniera disumana contro i più deboli. Stante il fatto che la Chiesa – piaccia o non piaccia - va avanti coerentemente con il suo credo e con la sua morale, come si fa a essere laici o fedeli a seconda delle circostanze? Non viene forse il sospetto che, per coloro che si dichiarano fedeli, non sia l’etica a suggerire il tipo di reazione, ma piuttosto la convenienza o meno per la parte politica per cui si parteggia?
Il signor Alexandre, dal canto suo, vuole portarci costantemente al paragone con la Francia. Mi perdoni, ma di problemi suoi l’Italia ne ha davvero molti, tanti da non riuscire a preoccuparsi di quelli dei vicini. Per quanto riguarda il fatto che il governo italiano (mi scusi se non lo definisco “il nostro governo”) non faccia brutta figura all’estero, lo spieghi, per favore, più che a noi che siamo obbligati a conviverci, ai più accreditati organi di stampa non italiani, oltre che all’Onu, alla Comunità Europea, al Vaticano e a qualche altro.
L’accusa principale, sia chiaro, va a noi che non siamo stati in grado di impedire democraticamente, con il voto, che questo scempio avvenisse. E che adesso stiamo ancora troppo zitti e divisi davanti a una Costituzione fatta a brandelli.